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CAPITOLO 3 ~ parte seconda

Passai la giornata seguente a camminare per le vie di Firenze, pensando a come avrei potuto fare per leggere il diario. Non volevo affidarmi a un traduttore esterno perché mi sembrava irrispettoso nei tuoi confronti, Rose.
Dalle poche pagine che avevo potuto leggere, temevo che fossero celati altri segreti dolorosi e personali che avevi custodito gelosamente per anni; condividerli con un estraneo mi avrebbe portata a tradire la fiducia che avevi riposto in me.
Potevo imparare l'italiano, ma mi ci sarebbero voluti mesi, se non anni, per essere in grado di comprendere quanto scritto in quelle pagine.

L'unica opzione che mi rimaneva era chiedere aiuto a tua cugina.

Mi fermai in via de' i Calzaiuoli in una graziosa pasticceria dotata di wifi e, gustando un bignè al pistacchio, iniziai a fare ricerche sul sito web del B&B La Vite di Bacco.

Avevo letto che la struttura era gestita da Anna Nenciarini, dunque la signora era sempre in vita e questa era senza dubbio un'ottima notizia. Mi misi a visionare le camere a disposizione, sperando di riconoscere la tua, Rose, ma non notai nessuna che corrispondesse alla descrizione fatta nel diario. Forse negli anni il casolare era stato ristrutturato per renderlo più adeguato a una struttura ricettiva moderna e, anche se era stato mantenuto il tipico gusto delle case di campagna toscane, con grosse travi a vista sul soffitto e cotto a rivestire i pavimenti, della mobilia e dell'ulivo dipinto sulla parete, descritti da te, non vi era più traccia.

Presi coraggio e prenotai una camera singola per due notti. Non sapevo ancora come avrei affrontato l'argomento con la signora Nenciarini, ma l'indomani sarei arrivata a Vinci per scoprirlo.

Ritornata in hotel, mi misi a sfogliare il tuo diario, cercando di carpire il significato di qualche frase, ma fatta eccezione per alcune parole comuni non ebbi successo e dopo poco mi addormentai, esausta dal jet lag.

La mattina seguente venni svegliata dalla signora delle pulizie. Avevo dormito quattordici ore senza accorgermene e, riposata come non mai, mi incamminai verso la stazione di Santa Maria Novella.

Il proprietario dell'hotel mi aveva dato indicazioni precise per raggiungere Vinci: avrei dovuto prendere un treno con destinazione Pisa e sarei dovuta scendere alla fermata di Empoli, città dalla quale partivano gli autobus per Vinci.
Arrivata in paese, avrei poi raggiunto il B&B La Vite di Bacco apiedi.

Il treno regionale 502 procedeva lento, fermandosi a ogni paesino della campagna fiorentina. Era una giornata molto afosa, l'aria condizionata all'interno della carrozza non funzionava e i passeggeri sbuffavano, madidi di sudore, cercando di sventolarsi con ventagli di fortuna.

Osservai il panorama fuori dal finestrino che piano piano stava mutando; la periferia di Firenze cedeva il passo alle dolci colline verdi, su cui facevano capolino file di cipressi allineati ordinatamente.
All'improvviso la voce squillante dell'altoparlante mi risvegliò dai miei pensieri: «Prossima fermata: Empoli. Next stop: Empoli».

Seguii la gente che si dileguava in fretta nel sottopassaggio e mi ritrovai fuori dalla stazione.

Ero proprio lì allora, dove tu, Rose bambina, risalivi via Roma in cerca dei tuoi familiari.
Ebbi un tuffo al cuore, come se l'eco di quella ferita ancora aperta risuonasse tra le pieghe del tempo.

Inspirando a fondo, mi diressi verso la pensilina dei bus e salii su quello diretto a Vinci.

«Per il museo leonardiano dovete scendere qui!» disse ad alta voce l'autista.

Vedendo che il bus si svuotava dei turisti, anche io saltai giù di corsa dal pulmino, emozionata all'idea di essere così vicina alla meta.
Mi guardai per qualche minuto intorno alla ricerca di un'insegna che mi indicasse la strada da seguire per arrivare al B&B, ma non scorgendola, chiesi aiuto alla guida turistica che stava radunando il gruppo di visitatori, in procinto di iniziare il tour presso il museo.

La guida, una donna inglese di circa cinquant'anni, mi spiegò che avevo sbagliato fermata perché il B&B era a Santa Lucia, una frazione di Vinci in cima alle colline, a circa tre chilometri dalla piazza del Museo, e che, purtroppo, avrei dovuto aspettare quaranta minuti per la successiva corriera.
Non mi persi d'animo e, facendo affidamento sul mio spirito di sportiva, mi incamminai lungo la strada per La Vite di Bacco.

Mezz'ora dopo, sotto il sole rovente della Toscana, trascinando dietro di me un trolley che a ogni passo sembrava più pesante, mi fermai stremata a bordo strada per bere un sorso d'acqua.

All'improvviso, da lontano vidi avvicinarsi una nuvola di polvere da cui sbucò una coppia di anziani a bordo di una vecchia Ape Piaggio.

«Vuole un passaggio, signorina?»

Li guardai interdetta e risposi, in un mix di italiano e spagnolo, un laconico: «Non comprende».

L'anziano scese dall'Ape, puntando il dito indice su di me e, scandendo le sillabe con lentezza, mi chiese: «Dooo - veee?»

Tirai fuori il cellulare mostrando la prenotazione al B&B e l'uomo, sorridendo, mi fece segno di salire sul retro aperto del veicolo. Esitai un secondo, ma poi decisi di accettare il passaggio; la coppia simpatica mi ispirava fiducia e, senza pensarci oltre, caricai la mia valigia nell'Ape Piaggio, di certo il mezzo più piccolo in cui avessi mai viaggiato.

Reggendomi alle sponde laterali per non cascare, mentre il minuscolo veicolo arrancava con fatica su per le colline coperte dagli ulivi, sorrisi a me stessa, pensando in quale stravagante avventura tu, Rose, mi avessi cacciata anche quella volta.

L'Ape imboccò una strada sterrata, circondata da file di cipressi secolari, che conduceva a un grande casolare in pietra, finemente ristrutturato, sulla cui facciata si arrampicava uno spettacolare glicine dalle diverse sfumature di lilla.

«La vite di Bacco» lessi in un soffio, quando l'Ape frenò dinanzi all'ingresso del B&B.
Salutai i signori che mi avevano accompagnata e, dopo essermi sistemata i capelli arruffati in una treccia come meglio potevo, attraversai il portico che dava sul cortile.

Il casolare era costituito da due unità distinte e, nel mezzo a esse, un pratino all'inglese portava a una terrazza con piscina a sfioro e vista mozzafiato sulle colline circostanti.

Era un luogo incantevole.

Una risata cristallina mi sorprese alle spalle. Non ebbi il tempo di vedere bene chi fosse, ma scorsi solo una manciata di riccioli dorati che si nascondevano dietro a un cespuglio. Incuriosita, seguii quella vocina e vidi che apparteneva a una bellissima bambina che indossava un vestitino in pizzo san gallo bianco.

Dietro a una cascata di riccioli color del grano, due occhi nocciola mi osservavano divertiti. Soffermandosi a fissare i miei piedi, la bambina scoppiò a ridere, esclamando: «Americana!»

Stupita dalla sua strana reazione, la seguii dentro la reception del B&B, dove trovai una donna di circa trent'anni, dai capelli mossi castano scuro, intenta a scrivere al computer. Non appena mi vide, mi sorrise sgranando gli occhi.

«Benvenuta a La Vite di Bacco! Io sono Tania. Come posso aiutarla?»

Mi ero ripromessa di esercitarmi col mio italiano mediocre ogni volta che ne avessi avuto occasione, perciò provai ad azzardare una frase: «Bongiono Segnora, teeengo uuno reservasione por uuna... dannazione, come si dice stanza?» dissi ad alta voce, cercando dal mio telefono il termine corretto su Google translate.

«Camera! Sì...» annunciai trionfante, alzando lo sguardo. Solo allora mi accorsi che, insieme alla donna, si era affacciato da dietro al bancone anche un giovane uomo, che mi guardava con aria divertita. Indossava una camicia celeste che risaltava l'incarnato olivastro abbronzato, e dalla bocca carnosa, semichiusa in un accenno di risata, una fila di denti bianchi faceva capolino.

Il giovane si passò una mano nei folti capelli neri scompigliati e sorrise incuriosito, in attesa che dicessi qualcosa.

Il mio cuore iniziò a battere all'impazzata e, mentre quegli occhi castani così profondi continuavano a scrutarmi, mi sentii andare in fiamme per la vergogna della figura da sciocca che avevo appena fatto.

«Perché non incontro mai un italiano che parli la mia lingua? Non ce la posso fare, sono solo una povera imbranata!» esclamai, presa dallo sconforto.

La bambina, che per tutto il tempo era stata lì a fissarmi, mi strinse la mano e, con un tono dolce e rassicurante, mi incoraggiò con un semplice quanto spiazzante: «Don't fuckin' worry about it

Il ragazzo si coprì il viso per nascondere l'imbarazzo e una risata mal celata e io strabuzzai gli occhi, scoppiando a ridere.

«Ha davvero pronunciato la frase che ho sentito? Ma, soprattutto, l'ha davvero detta in inglese?»

«Sole Elizabeth Corsini,» disse in tono severo la donna con un perfetto British English, «quante volte ti abbiamo detto che non devi dire le parolacce, né in inglese né in italiano? Ah, ma se incappo in Fynn lo sistemo io per le feste! Lo so che è lui che ti insegna queste cose! Scusati con la nostra ospite, da brava!»

«Mi dispiace tanto... sembravi così triste...» sussurrò la bambina dispiaciuta, «Volevo solo farti star meglio.»

Mi inginocchiai davanti a lei e le accarezzai la testa.
«Era da tanto tempo che non ridevo così di gusto, mi hai proprio aiutata. Grazie, Sole!»

La piccola, rasserenata, si congedò da me correndo in cortile.

«Di solito non accogliamo così i nostri ospiti...» mi spiegò il giovane in inglese, con un lieve e delizioso accento italiano.

«Mio fratello ha ragione, se c'è una cosa a cui teniamo è proprio la buona educazione» aggiunse la donna, sorridendo imbarazzata.

«Luca, ora però aiutiamo la nostra ospite a sistemarsi nella sua camera!» e, a quelle parole, Tania non riuscì a trattenere una risatina.

"Luca... si chiama Luca" pensai tra me e me mentre ascoltavo i due discorrere.

«Immagino che lei sia la signorina Green.»

«Nicole, per favore. Chiamatemi solo Nicole» la corressi subito, arrossendo, mentre sentivo addosso gli occhi del ragazzo.

«Hai una prenotazione per due notti» lesse Tania dal monitor del suo computer.

«Solo fino a domenica?» si scappò dire lui che, accortosi dell'impeto con cui aveva espresso il suo dispiacere, si giustificò così: «Peccato, la prossima settimana iniziano le visite guidate al nostro frantoio...»

«Non ho programmi per l'estate e, se mi dovessi trovare bene, potrei essere sempre qui...»
Dannazione, Rose, che cosa mi era preso? Di sicuro in eredità mi avevi lasciato anche la tua sfacciataggine!

Guardando con occhi stralunati il fratello, che non smetteva di fissarmi, Tania gli diede una gomitata e gli fece cenno di aiutarmi coi bagagli.

Luca mi prese la valigia, invitandomi a seguirlo.

«Mi scuso per prima. Sole è il nostro piccolo vulcano, ma non è sempre facile contenerla.»

«Tua figlia ha i tuoi stessi occhi, sai?» gli feci notare, stupendomi di nuovo della mia stessa audacia.

«Sole è mia nipote in realtà e ha gli stessi occhi di tutti noi Corsini,» mi rispose lui con un velo di malinconia, «più cresce, più assomiglia a suo padre.»

Dopo essere saliti di un piano, ci fermammo davanti alla porta numero otto.

«Bene, questa è la tua camera. Se hai bisogno di qualsiasi cosa, mia sorella è alla reception. Comunque io sono Luca» e, mordendosi il labbro inferiore, mi guardò un'ultima volta prima di scendere le scale.

Elettrizzata dai nuovi incontri, mi buttai sul grande letto a baldacchino a ripensare al ragazzo che avevo appena conosciuto.
Non riuscivo a togliermi dalla mente quegli occhi caldi, intensi che mi scrutavano, e quelle labbra che dovevano essere tanto morbide da baciare.
In che stato mi ero ridotta, Rose? Si poteva essere più sciocchi di così? Mi era bastato uno sguardo di troppo per sentirmi in balia dei miei ormoni impazziti.

Mi infilai nella doccia per scacciare quei pensieri, cercando di razionalizzare quanto successo e concentrandomi su come mi sarei dovuta comportare, una volta di fronte ad Anna Nenciarini.

Terminato di asciugarmi, indossai un vestito di lino leggero e aprii la finestra della stanza che dava sul cortile, per pettinare i miei lunghi capelli rossi alla luce del sole.

Un profumino invitante mi riempì le narici e in quel momento il mio stomaco brontolò, ricordandomi che non avevo ancora pranzato.
Presi il mio telefono, che segnava già le quattordici e, guardando con desolazione l'ultimo pacchetto di crakers avanzato nel mio zaino, decisi di scendere al piano di sotto alla ricerca di qualcosa di più sfizioso da sgranocchiare.

Alla reception non trovai nessuno, quindi mi misi a gironzolare per il cortile, incrociando solo qualche turista asiatico intento a fotografare il panorama, fino a quando non sentii i rumori inconfondibili di una tavolata in festa provenire dal retro del B&B.

Facendomi guidare da quel chiacchiericcio conviviale, avanzai di qualche metro a osservare la scena che si presentava dinanzi ai miei occhi: da un lato della tavola, Tania versava il vino rosso nei bicchieri dei presenti e un ragazzone muscoloso, con la barba incolta e la pelle del viso bruciata dal sole, addentava un pomodoro maturo; dall'altro lato, Luca teneva in braccio la piccola Sole, con la quale giocava a fare lo spadaccino con una carota e un sedano. Seduta vicino a lui, una donna anziana, di cui non riuscivo a scorgere il viso, affettava una grossa forma di pane.

«Ti sei persa, cara?» mi chiese una voce alle mie spalle. Sobbalzai nel vedere Tania accanto a me, che reggeva una grande ciotola di fumanti spaghetti al pomodoro.

«No, scusami, Tania, stavo solo facendo una passeggiata ma... tu eri lì?»

Mi girai di scatto e vidi che la stessa ragazza con cui avevo parlato poche ore prima era sia alla tavola che vicino a me.

«Non ti preoccupare, non ci vedi doppio! Siamo gemelle e io sono Lucrezia! Ti stringerei la mano ma, come vedi, le ho entrambe occupate» rispose sorridendomi. Le due sorelle erano identiche e anche Lucrezia parlava un impeccabile British English.

«Che fai lì in piedi? Vieni a tavola! Hai l'aria affamata!»

Senza accorgermene, mi portai una mano all'altezza dello stomaco.

«Non vorrei disturbare...» mormorai, ma la donna non mi diede il tempo di aggiungere altro e, con passo veloce, mi precedette.

«Apparecchiate un posto in più, abbiamo un'ospite a pranzo!»

Tutti i commensali si voltarono verso di me e io, stringendomi nelle spalle, li salutai con un timido: «Ciao».

«Nicole sta accanto a me!» urlò Sole, correndo nella mia direzione.

Mentre la prendevo in braccio, i miei occhi incontrarono quelli verdi dell'anziana signora: occhi che avevo visto e in cui mi ero specchiata migliaia di volte, occhi che sapevano leggermi dentro. I tuoi occhi, Rose. Ebbi un tuffo al cuore. Quella donna era sicuramente Anna Nenciarini.

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