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CAPITOLO 2

Quel venerdì mattina di maggio, in molti si presentarono a darti l'ultimo saluto, Rose.

L'odore pungente d'incenso si mescolava nell'aria al profumo delle decine di ortensie celesti, che ornavano l'altare della Chiesa di Saint Matthias.

Io sedevo in un angolo della seconda fila, accanto a Marta, la quale, per tutta la cerimonia funebre, aveva cercato di nascondere le lacrime, soffiandosi di continuo il naso. Era stata proprio lei a trovarti quel giorno; all'inizio aveva pensato a uno dei tuoi soliti scherzi ma, dopo averti visto, le erano bastati pochi secondi per capire che stavi morendo.

La prima fila era occupata dai tuoi parenti, Rose, di cui io avevo ignorato l'esistenza fino ad allora. In realtà, scoprii in seguito che erano i figli del fratello di Pete, che vivevano in Idaho e che tuo marito aveva mantenuto quando erano rimasti orfani di padre. La cognata di Pete si era risposata dopo qualche anno e aveva diradato sempre di più le visite, fino a farsi sentire solo a Natale, tramite un biglietto di auguri prestampato. Nonostante ciò, Pete aveva proseguito a inviare ogni mese dei soldi per il mantenimento dei nipoti.

I tre uomini erano sulla sessantina, i volti paonazzi di chi non ama essere al centro dell'attenzione evidenziavano ancora di più il loro disagio in quel contesto. Contorcendosi le mani, continuavano a guardarsi attorno, scrutando la Chiesa che si riempiva in silenzio.

Tu giacevi serena in mezzo alla navata in una piccola bara foderata di velluto nero. Avevo scelto io stessa il vestito da farti indossare, quello blu cobalto con la gonna plissettata, che tanto amavi e, prima di far chiudere il feretro, ti avevo messo un ultimo filo di rossetto scarlatto perché, come amavi ripetermi, "una ragazza deve essere sempre presentabile, soprattutto al suo funerale".

Durante la cerimonia ascoltai i ricordi dei presenti e scoprii come tu avessi aiutato un'infinità di persone. Tuttavia non avevi mai fatto parola con me delle attività di volontariato che avevi svolto, né delle generose offerte che avevi elargito.
In tanti riferirono aneddoti commoventi e buffi, ma il più toccante fu quello della signora Doherty, presidentessa dell'associazione in supporto delle vittime di violenza domestica di Redwood City.
La donna raccontò come tu avessi avuto la capacità di instaurare un rapporto di fiducia con loro e come avessi spinto molte di quelle a cominciare una nuova vita e a interrompere le relazioni tossiche e violente col proprio partner.

Una frase mi toccò in particolar modo: «Rose aveva il raro dono dell'empatia. Il tuo dolore era il suo. Il suo coraggio diventava il tuo. Solo chi aveva affrontato un viaggio all'inferno come lei poteva essere in grado di traghettarti verso la speranza».

Mi resi conto in quel momento che tu non mi avevi rivelato nulla della tua vita prima del matrimonio con Pete. Mi chiesi quanti segreti avessi avuto che ignoravo e, soprattutto, perché non mi avessi reputata abbastanza forte da condividerli con me.

Avevo sempre avuto la presunzione di conoscerti a fondo, Rose, ma realizzai allora che il tuo passato mi era del tutto sconosciuto. Sapevo che eri nata in Italia, ma non avevo idea del motivo per cui l'avessi lasciata per venire in California. Avevo dato per scontato che fossi emigrata alla ricerca di un futuro migliore, come la maggioranza degli italiani che erano arrivati negli Stati Uniti negli anni '50. Durante il funerale, però, il dubbio che ci fosse un'altra ragione m'assalì all'improvviso, insieme al senso di rimpianto per non averti chiesto spiegazioni e per non avere trovato il tempo di farti narrare tutta la tua storia.

Immersa in quei pensieri, alla fine della funzione mi diressi verso l'uscita della chiesa e, fuori sul sagrato, incappai in Ben. Non lo vedevo dalla sera in cui lo avevo sorpreso con Cindy. «Ciao, Nicky, come va?»

«Benissimo, siamo al funerale della mia migliore amica...» risposi sarcastica.

Lo incalzai: «Perché sei venuto?»

«Volevo sapere come stavi. Mi sento in colpa per quello che ti ho fatto passare negli ultimi mesi e poi ho saputo che hai perso il tuo lavoro e ora Rose... Non è un bel periodo, vero, Nick?»

Lo incenerii con uno sguardo e feci per andarmene, ma Ben mi trattenne per un braccio e mi disse: «Nicole, sono qui per darti una buona notizia. Ho convinto Cindy a ritirare la denuncia nei tuoi confronti, almeno non dovrai affrontare anche un processo. Alla fine è grazie a te se lei si è separata dal marito e può stare con me. Per questo motivo, ho deciso di chiudere anche un occhio su quello che hai combinato alla mia barca. In parte me lo merito, forse...»

«Dopo tutto il dolore, l'umiliazione e la rabbia che mi hai fatto provare, hai il coraggio di dirmi che forse te lo sei meritato?» gli domandai ad alta voce, attirando su di noi l'attenzione dei presenti.

«Sta' calma, Nicky, non è il caso di agitarsi» mi rispose Ben che, cercando di sembrare risoluto, ma tradendo una palese preoccupazione, aggiunse: «Non vorrai mica finire un'altra volta nei guai?»

Quelle parole mi fecero tornare in quando un agente di polizia si era presentato alla porta di casa mia, per scortarmi in centrale in qualità di persona informata sui fatti. Cindy mi aveva denunciata perché le telecamere di sorveglianza dell'elegante villetta a schiera di Menlow Park avevano inquadrato la targa della tua Cadillac rossa, mia cara Rose, e a Ben era bastato guardare un paio di secondi i filmati della sicurezza, per capire che le figure impacciate del video appartenevano a noi due, criminali da strapazzo.

Con molta probabilità, a causa della troppa vodka bevuta, le precauzioni adottate da te si erano rivelate del tutto inutili e, solo in nome dell'amicizia trentennale che ti legava al custode del porto, i video di sorveglianza del Westpoint Harbor erano provvidenzialmente spariti, evitandoci ulteriori grane con la legge.

Guardai Ben nauseata e, serrando i pugni, indecisa se sferrargli un destro in pieno viso, mi chiesi come avessi fatto a perdere sette anni della mia vita con un idiota del genere.

In quel momento, un uomo distinto sulla sessantina si avvicinò, porgendomi una busta bianca.

«Buongiorno, Signorina Green, sono l'avvocato Schwimmer. Questo è l'invito a comparire alla lettura del testamento della Signora Carroll, che avverrà lunedì pomeriggio alle quindici, presso il mio studio. Arrivederci» e, in pochi secondi, l'uomo si dileguò tra la folla.

Il lunedì seguente, mi recai allo studio Schwimmer&Partners per conoscere le tue ultime volontà, Rose.
L'avvocato Schwimmer diede un'occhiata fugace ai presenti da dietro gli occhiali, calcati sulla punta del naso e, dopo un colpo di tosse per richiamarne l'attenzione, iniziò la lettura del testamento. I nipoti di Rose, seduti in prima fila, scrutavano con diffidenza gli altri pittoreschi personaggi che riempivano la stanza, infastiditi e meravigliati dalla loro presenza.

Oltre a Marta, riconobbi una decina di volti visti durante il funerale e rivolsi un sorriso timido alla signora Doherty, la quale ricambiò con un amichevole cenno di mano.

«Prego i signori presenti di accomodarsi e fare silenzio. Procediamo con la lettura del testamento di Rosa Maria Nenciarini Carroll» annunciò in tono deciso l'avvocato.

"Nel pieno possesso delle mie facoltà mentali, io sottoscritta Rosa Maria Nenciarini Carroll, nata a Empoli, Italia, il 14 aprile 1933, dispongo della mia successione come segue:

l'appartamento e la mobilia al numero 4040 di Carlos Avenue a Lewis, George e Thomas Carroll, in ottemperanza alla promessa fatta a mio marito Pete prima di morire;

50000 dollari all'associazione per le vittime di violenza domestica di Redwood City;

50000 dollari destinati al fondo per la tutela degli orfani di violenza domestica di Redwood City;

50000 dollari a Marta Suarez per gli anni condivisi di servizio e di preziosa amicizia;

20000 dollari alla casa di riposo di Redwood City, col vincolo di destinare tale somma alle attività ricreative;

10000 dollari al club di body painting di Sausalito.

Dispongo, inoltre, che tutti i miei abiti, gioielli e beni personali di ogni sorta siano lasciati a Nicole Green;

il saldo del conto corrente presso la Bank of America a Nicole Green;

le mie ceneri mortali alla signorina Nicole Green che ne disporrà in piena autonomia, nel modo in cui riterrà più opportuno.

Nomino mio esecutore testamentario l'avvocato Jacob Schwimmer.

In fede

Redwood City, 27 Marzo 2018 "

«E a quanto ammonterebbe il saldo del conto corrente lasciato alla Green?» chiese bruscoThomas Carroll, guardando accigliato l'avvocato.

«Ci stavo arrivando, signor Carroll» rispose seccato Schwimmer.

«Decurtate le spese del servizio funebre e quelle legali relative all'esecuzione testamentaria, l'ammontare è di 207 mila e 35 dollari.»

Rimasi letteralmente a bocca aperta mentre l'avvocato proseguiva a parlare.

«Signorina Green, la Signora Carroll mi ha incaricato di consegnarle questa lettera di persona, insieme a... beh... sé stessa.»

https://youtu.be/smX6xCPDbrE

Restai un tempo indefinito seduta in macchina, con in grembo l'urna contenente le tue ceneri, Rose. Continuavo a toccarne con delicatezza la superficie liscia e fredda, come se potessi ancora mandarti un'ultima carezza. Le lacrime iniziarono a rigarmi il volto e, per la prima volta da quando eri mancata, realizzai che non ti avrei mai più rivista seduta nel portico ad aspettarmi, per condividere insieme un altro pezzo di vita. In quell'istante capii che avevo perso tutta la mia famiglia con te, l'unica famiglia "vera" che avessi mai avuto.

"L'amore si trova dove meno te lo aspetti" ti piaceva ripetermi, facendomi l'occhiolino. Io lo avevo trovato nella casetta giallo limone di Carlos Avenue.

Ripensai, allora, a quella mattina in cui Marta mi aveva chiamata per chiedermi aiuto.
Mi ero precipitata fuori e, ancora in pigiama, avevo attraversato col cuore in gola il vialetto che mi separava da casa tua, Rose. Nel frattempo, Marta balbettava al 911 l'indirizzo dove inviare l'ambulanza. Ero entrata nella tua camera, invasa dalla luce calda del mattino, e mi ero avvicinata al tuo letto, dove giacevi come addormentata, il viso rivolto alla finestra e un mezzo sorriso impresso sul volto.

Il tuo petto si muoveva di scatto e il fiato si faceva sempre più corto, accompagnato da un suono rauco e basso che riempiva la stanza. Ti avevo accarezzato il viso e, scostando una piccola ciocca di capelli biondi dalla tua fronte, avevo passato il mio braccio dietro alla tua nuca, sdraiandomi accanto a te.

Non mi ero mai accorta di quanto tu fossi piccola fino a quel momento.

«Non sei sola,» ti avevo mormorato all'orecchio «io sono qui con te e non me ne vado. Ti voglio bene, Rosina mia.»

Avevo continuato a ripeterti quelle parole come una sorta di mantra, per darti conforto, per farmi coraggio. Avevo cercato di abbracciarti, ma il tuo petto sconquassato dal respiro affannato non ti dava tregua.
Mentre Marta pregava, e già in lontananza si sentivano le sirene dell'ambulanza imboccare Carlos Avenue, tu avevi aperto all'improvviso gli occhi nella mia direzione e, esalando il tuo ultimo respiro, come se Dio ti avesse rimandata da me per un'ultima manciata di secondi, mi avevi guardata con tutto l'amore del mondo. Te ne eri andata via così, sorridendo alla vita ancora una volta, in una mattina qualunque di maggio.

Mi asciugai le lacrime con un lembo della camicetta che indossavo, e aprii la lettera che mi avevi lasciato.

"Cara Nicole,
in questi ultimi mesi ti ho osservata con attenzione e non ti nascondo che ho provato più volte l'irrefrenabile voglia di darti due ceffoni. Che cosa stai facendo della tua vita? Ti rendi conto che non puoi andare avanti in questo modo? Stai sprecando la cosa più preziosa al mondo: il tuo tempo. Non posso più vederti così apatica ed è giunta l'ora che tu reagisca.

Sì, è vero, hai scoperto che il tuo fidanzato ti tradiva con una collega, non hai legami, non hai un impiego e, se stai leggendo questa lettera, la tua unica amica di ottantacinque anni, per giunta, è appena morta. So che riassunta così, la tua vita può sembrare avvilente, ma in realtà, non ti rendi conto di quanto tu sia fortunata.

Sei a un bivio e io voglio aiutarti un'ultima volta.

Nel secondo cassetto della mia scrivania ho lasciato una busta verde che contiene un biglietto aereo di sola andata per Firenze.

Vicino alla città del Giglio vi è un piccolo paesino che ha dato i natali a Leonardo e, proprio a Vinci, abita mia cugina Anna che gestisce un Bed&Breakfast, La vite di Bacco.

Trovala e portale il mio diario.

Non fare quella faccia! lo so che la stai facendo Ti verranno le rughe!

Allora, cosa decidi di fare? La scelta è soltanto tua.

Baci baci dalla tua Rose

P.S.

Ti voglio bene, Tesoro.

P.P.S.

Puoi leggere il mio diario... se andrai in Italia!

P.P.P.S.

Smettila di mangiarti le unghie!"

Mi tolsi le dita dalla bocca. La lettera mi aveva strappato un sorriso e pensai che, anche da morta, riuscivi a rimettermi in riga.

Un turbinio di domande mi affollarono la testa. Non potevo andare dall'altra parte del mondo e presentarmi alla porta di una sconosciuta, dicendo di essere l'amica della cugina morta, che non vedeva da una vita. No, non potevo. O forse sì.
L'idea di allontanarmi da Redwood City iniziò a farsi spazio nella mia mente: avevo i soldi che mi avevi lasciato e il biglietto aereo, magari mi sarei potuta fermare solo qualche giorno a Firenze e avrei consegnato il diario a tua cugina, sempre che fosse ancora viva.

Tornata da mia madre, passai la serata a pensare a cosa scegliere di fare e, infine, senza esserne venuta a capo, mi addormentai alle prime luci dell'alba.

Nel pomeriggio, mi recai a casa tua per prendere la busta verde. Lewis Carroll, che in tutti quegli anni non avevo mai incontrato, mi aprì la porta. L'uomo non pareva affatto felice della visita, ma avendo assistito alla lettura del testamento della zia deceduta, era consapevole che avessi tutto il diritto di entrare nell'abitazione.

Con grande sgomento, vidi che i nipoti avevano già cominciato a fare l'inventario dei tuoi beni e a imballare parte della mobilia.

Un pezzo alla volta, la piccola villetta gialla limone di Carlos Avenue, in cui il tempo si era fermato agli anni '60, sarebbe stata smantellata e nessuno, passando di lì, avrebbe saputo che donna straordinaria ci aveva vissuto per più di cinquant'anni.

Con gli occhi velati dalle lacrime, aprii la tua camera da letto e richiusi subito alle mie spalle la porta. Le voci degli operai e dei nipoti non appartenevano a quel luogo. Altre voci avevano riempito quelle stanze: voci felici; voci straziate dalla mancanza del proprio grande amore; voci che avevano riscoperto, giorno dopo giorno, la voglia di vivere.
Lì avevo passato tanti pomeriggi con te, Rose, a chiacchierare e a provare improbabili abiti delle decadi precedenti, tra risate, smalti dai colori eccentrici e qualche bicchierino di troppo.

Io sapevo di aver alleviato in parte la pena struggente che avevi provato dopo la morte di Pete, ma speravo, in cuor mio, che anche tu avessi capito quanto la nostra amicizia mi aveva aiutata a sopravvivere, dopo l'abbandono di mio padre e la fine della storia con Ben.

Mi tolsi le scarpe, memore di quanto detestassi la gente che calpestava la tua moquette color panna, e avvertii la piacevole sensazione di camminare su un pavimento che pareva ricoperto dal soffice manto di un peluche. Feci scorrere l'anta a specchi del guardaroba principale, scelsi la pelliccia sintetica color pavone che, a detta tua, aveva spopolato negli anni '80, la indossai e strofinai la guancia sul colletto, ancora impregnato di tabacco al mentolo e Chanel numero 5. Quello era l'ultimo abbraccio a te, mia Rosina.

Allo scrittoio col ripiano in alabastro, come era stato scritto nella missiva, trovai una busta color verde oliva. Al suo interno erano presenti il biglietto aereo e un biglietto da visita sgualcito del B&B La vite di Bacco.

Con indosso la tua pelliccia, uscii dalla casa a testa alta e, con passo sicuro, percorsi quel tratto di Carlos Avenue per l'ultima volta.

Avevo preso la mia decisione.

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