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CAPITOLO 18 ~ parte prima

Luca

Sai Rose,

a volte dimentico che noi due non ci siamo mai conosciuti di persona.

Sei entrata a far parte della mia vita tre anni fa e, da allora, non l'hai più abbandonata.

Ho il cuore in gola; dopo tutto questo tempo, lei sta per arrivare.

Sarò pronto?

Se penso alle circostanze che mi hanno portato fino a qui, se penso che stavo quasi per sposarmi, se penso a ciò che accadde la sera del mio addio al celibato, mi sembra così irreale.

Di Costanza non ti ho mai raccontato nulla, ma forse è giunto il momento di fare un po' di chiarezza col passato, per essere pronti per ciò che sta per succedere.

Lei fu la mia prima ragazza. Ci frequentammo per cinque anni, tra alti e bassi, fino a quando vinsi la borsa per il dottorato, ma prima di trasferirmi a Berkeley la lasciai, consapevole che non era la persona giusta per me. Avevo scoperto, infatti, che mi tradiva da tempo con un ragazzo della nostra compagnia. Tuttavia la cosa mi aveva lasciato indifferente, per non dire sollevato. Avrei dovuto capire in quell'occasione che non avevamo un futuro insieme, ma la mia ostinazione nel cercare di prendere sempre la decisione migliore per tutti, tranne che per me stesso, mi portò a ritornare sui miei passi due anni più tardi.

Durante la mia permanenza in California non ci sentimmo quasi mai, fatta eccezione per qualche messaggio sporadico su Facebook per i rispettivi compleanni. Una volta ritornato in Italia, però, mi riavvicinai a lei. Con Costanza era facile, non dovevo spiegarle nulla della mia vita disastrosa, lei sapeva già ogni cosa.

Ci eravamo ritrovati in una situazione, sotto certi versi, simile: entrambi avevamo dovuto accettare che non avremmo realizzato i nostri sogni. Io, infatti, ero dovuto ritornare a Vinci per via della morte della mia famiglia e avevo deciso di rinunciare alla mia carriera accademica; Costanza, invece, non era riuscita a sfondare come designer a Milano e, dopo una serie di avvilenti lavori sottopagati, aveva dovuto ripiegare sul gestire il negozio di arredamento della sua famiglia.

Avevo avuto l'ingenua speranza di riuscire a diventare col tempo una coppia come Liz e Marcello, convincendomi che sposandola avrei dato una vera stabilità a Sole. Volevo con tutto me stesso che mia nipote avesse la possibilità di vivere una vita normale come gli altri bambini che avevano un padre e una madre. Mi ero incaponito con quell'idea, tentando di nascondere a me stesso la verità: Costanza non avrebbe mai amato Sole, come io non sarei mai stato in grado di amare lei.

Se mi guardo indietro, mi rendo conto solo ora di quanto sia stato arrogante nel pensare che la vita di Sole non andasse bene. Le mie sorelle sono sempre state delle figure materne eccezionali e io ho cercato di fare del mio meglio come surrogato di padre. Eravamo e siamo una famiglia sui generis che ha vissuto una tragedia immane, ma che è rimasta insieme nonostante tutto, e ognuno di noi ha fatto enormi sacrifici per dare la migliore vita possibile alla nostra nipotina. So che abbiamo commesso tantissimi errori come genitori, ma spero che Sole un giorno possa perdonarci e ricordare solo l'amore incondizionato che abbiamo sempre provato per lei.

Se sono qui a spiegarti ciò è per arrivare a raccontarti di quell'estate del 2018 quando la mia vita così ben organizzata e pianificata fu sconvolta proprio per colpa tua, Rose.

Mi avevi mandato quella ragazza dai capelli rossi e la pelle di porcellana a distruggere le mie certezze, a risvegliarmi da quel torpore rassicurante che ormai era diventata la mia vita, a farmi risentire vivo in un modo così travolgente che nemmeno con tutta la mia volontà di ferro ero riuscito ad arginare quell'impulso di toccarla, baciarla, farla mia e solo mia, ogni volta che ne incrociavo lo sguardo da dietro le sue folte ciglia fulve.

Quella sera di fine agosto, quando avevo rincorso Nicole nel corridoio implorandola di fermarsi, alla sua richiesta di darle un buon motivo per farlo, non ero stato in grado di proferire parola. Avevo avuto paura, Rose, non lo nascondo. Se avessi ammesso con me stesso quello che sapevo ormai da troppo tempo, non sarei più stato in grado di tornare indietro e temevo le conseguenze di quella decisione sulla mia vita.

Non appena Nicole aveva richiuso la porta dietro di sé, avevo avuto la sensazione, però, che la genuina felicità ricevuta quell'estate mi stesse scivolando via tra le dita.

Tuttavia non mi sarei mai aspettato ciò che accadde il giorno seguente.

Nicole

Quel venerdì sera, risalendo il viale di cipressi dietro a La vite di Bacco, mi concessi di ammirare quel luogo per l'ultima volta. Mi riempii gli occhi di tutta la bellezza che mi aveva circondata in quei mesi indimenticabili perché sapevo che mi sarebbe mancata come l'aria, non appena salita sull'aereo per San Francisco.

Il mio viaggio dall'altra parte del mondo era davvero giunto al termine. Ma dov'era casa mia ora? Redwood City senza di te, Rose, per me era soltanto una delle tante cittadine della Bay Area, niente di più. Grazie a te avevo conosciuto una famiglia eccezionale che mi aveva cambiata in un modo così profondo e inaspettato che stentavo a riconoscere la donna che ero diventata alla fine di quell'estate. In un baleno venni travolta dalle immagini dei momenti vissuti in compagnia dei Corsini: le perle di saggezza delle gemelle sulla vita e sull'amore, passeggiando all'ombra dei cipressi; gli occhi penetranti di Anna, di chi aveva vissuto una vita intera, che mi scrutavano dentro e trovavano sempre una risposta che non sapevo di avere; gli scherzi e il buon cuore di Fynn; le mani della piccola Sole che mi intrecciavano i capelli e mi sfioravano il viso, la sua risata cristallina come un sorso d'acqua fresca di un ruscello di montagna che riusciva a rimettermi in pace con me stessa e col mondo, anche dopo una brutta giornata; il respiro dolce della mia beniamina quando si avvicinava per baciarmi la fronte. Sole... Come avrei fatto a lasciarla? Amavo con tutta me stessa quella piccolina in un modo che non avrei mai immaginato possibile, un affetto così grande che sentivo che il mio cuore non poteva contenerlo.

E poi arrivarono tutti insieme i sorrisi, le risate, gli abbracci e le lacrime condivisi con Luca e quell'attimo di assoluta perfezione, vissuto qualche settimana prima proprio in quel luogo, quando ci eravamo abbandonati l'una all'altro.

Mentre ripensavo a tutto questo, il mio sguardo si posò sulla figura esile di Anna, intenta a curare le sue rose. Tua cugina si accorse della mia presenza, mi rivolse un sorriso e mi fece cenno con la mano di andare da lei.

«Che facevi lassù sul poggio?» mi domandò quando la raggiunsi.

«Stavo cercando di... di imprimere nella mente ogni singolo particolare di questo luogo» le risposi, sapendo che aveva già capito.

«Riconosco quello sguardo, Nicole. È lo sguardo di chi ha preso una decisione, è lo sguardo di chi si appresta a dire addio. Te ne vuoi andare, non è vero?» mi chiese Anna.

Rimasi in silenzio. Quella donna aveva la tua stessa capacità di leggermi dentro, Rose.

Anna mi fece segno di seguirla in casa dove sul manichino che aveva in camera sua aveva appeso il vestito color pavone. «L'ho modificato in base alle tue misure. Lo proveresti per me?»

Tirando sul col naso, annuii in silenzio e andai a provarmi l'abito. Quando feci ingresso nella sua stanza, Anna chiuse gli occhi per un istante, cercando di ricacciare indietro le lacrime.

«Ti sta d'incanto» mi disse. Ed era vero, Rose. Quel vestito era meraviglioso, mi calzava alla perfezione. Mai mi ero sentita così a mio agio in un abito elegante, ma forse non si trattava solo del fatto che quell'indumento fosse stato realizzato alla perfezione dalle mani esperte di tua cugina o che la stoffa fosse di pregiatissima qualità.

Io mi sentivo bene con quel vestito addosso perché Anna aveva cucito al tessuto anche il suo affetto per te e per me.

Non riuscii a trattenermi e, guardandomi allo specchio, feci una piroetta su me stessa, gonfiando la gonna come una bambina.

Tua cugina mi prese le mani. «Voglio che lo tenga tu. Ti appartiene, Nicole!»

Le sorrisi ma poi la mia attenzione fu catturata dalla partecipazione di nozze color malva posta sul suo comodino.

«Anna, promettimi che non dirai a Luca che sto per partire» mormorai in un soffio.

«Scappare non ti servirà a niente. Dopo tutto quello che abbiamo vissuto credo che tu abbia capito che non puoi fuggire da te stessa e da ciò che provi!» mi rispose lei.

«Si sposa tra una settimana. Come puoi chiedermi di rimanere?» esclamai con una tale disperazione nella voce che la vidi sussultare. Anna annuì serrando le labbra per non cedere all'emozione di quel saluto che riteneva ingiusto e mi accarezzò il volto con le sue mani nodose.

«Io non potrò mai ringraziarti abbastanza per quello che hai fatto per me e per Rosa. Mi hai riportato un pezzo del mio cuore che pensavo di aver perduto. Ricordati che qui tu avrai sempre una casa e una famiglia ad aspettarti.»

Le rivolsi un sorriso carico di gratitudine e, dopo essermi asciugata le lacrime coi palmi delle mani, l'abbracciai forte. Ero certa che avrei conservato per sempre nel cuore il ricordo prezioso di quel momento al profumo di rose e di pulito.

Luca

Era venerdì trentuno agosto, giorno del mio addio al celibato. Scesi le scale in fretta, pensando di trovare gli amici di sempre pronti a portarmi a festeggiare in Versilia ma, quando aprii la porta della veranda che dava sulla terrazza, la vidi.

Nicole era appoggiata con le mani sul cornicione e guardava il meraviglioso panorama di Vinci, Sunsetz dei Cigarette after sex risuonava lieve nell'ora più bella della giornata mentre il sole iniziava a calare dietro le colline e irradiava una luce calda che faceva risplendere ancora di più la sua lunga chioma rossa.

Come lingue di fuoco scintillanti, i capelli raccolti da un lato ne delineavano l'inarcatura della schiena, spingendosi fino al fondo di essa, e il vestito color blu pavone faceva risaltare il suo incarnato rosa cipria.

Nicole si voltò a guardarmi e mi sorrise con dolcezza.

Rimasi per qualche istante senza fiato: non avevo mai visto così tanta bellezza in tutta la mia vita.

Col cuore in gola e il passo incerto, mi avvicinai a lei e le porsi la mano.

«Balla con me» le chiesi in un soffio. Nicole me la prese e appoggiò il suo viso al mio petto. Potevo sentire i nostri cuori battere all'unisono mentre danzavamo lenti sulle note di quella canzone che speravamo non finisse mai.

«Nicole, io...» mormorai.

«Ti prego, non dire nulla» mi interruppe lei, posandomi con delicatezza due dita sulla bocca e, riabbracciandomi, disse: «Amo questa canzone».

La strinsi forte a me; l'odore della sua pelle era un richiamo irresistibile per le mie labbra che raggiunsero in un attimo l'incavo del suo collo e, baciando più e più volte quel lembo così morbido e sensuale, mi domandai come avessi fatto a vivere senza.

Non mi ero mai sentito così straordinariamente felice e spaventato allo stesso tempo. Mi fermai e le presi il viso tra le mani, coi pollici le accarezzai le guance e la fissai negli occhi per alcuni attimi interminabili. La volevo con tutto me stesso. Volevo i suoi sorrisi sinceri che mi mettevano sempre di buon umore, i suoi sguardi curiosi che mi accendevano dentro, i suoi abbracci spontanei che avevano il calore di casa.

Nicole abbassò gli occhi, ma avvicinandomi a pochi millimetri dalla sua bocca, le intimai di guardarmi, trattenendo a stento il desiderio per lei.

Oh, Rose, se solo avesse potuto sentire quello che provavo! Era la ragazza più dolce, divertente e tenace che avessi conosciuto in tutta la mia vita; aveva la capacità di farmi impazzire, nel bene e nel male, come nessuno mai, ma tra le sue braccia io mi sentivo in pace e il mondo svaniva. C'eravamo solo noi.

E proprio nel momento in cui le nostre labbra si stavano per sfiorare, gli schiamazzi dell'allegra combriccola dei miei amici ruppe la bolla in cui fluttuavamo. Nicole sciolse l'abbraccio e si dileguò in fretta tra la calca che premeva per raggiungermi, mentre io venivo preso d'assalto dai miei amici che mi davano pacche sulla schiena, gridando al cielo promesse di una notte memorabile.

Nicole si girò verso di me un'ultima volta, ma scorgendo l'espressione sul suo volto, sentii una fitta al cuore. Perché mi guardava in quel modo? Nei suoi occhi c'era così tanta malinconia che per un attimo ebbi la sensazione che mi stesse dicendo addio.

Continuai a fissarla fino a quando non scomparve dalla mia vista anche l'ultima ciocca di capelli rossi.

Come un automa seguii i miei amici che, tra canzoni goliardiche e prese in giro, mi fecero salire su un pulmino, pronti per raggiungere la movida della Versilia.

«Luca, ripigliati!» mi avevano urlato più volte i miei amici durante il tragitto in autobus, ma io mi sentivo disconnesso dalla realtà; continuavo a pensare a Nicole tra le mie braccia e alla sua espressione prima di rientrare in casa. Avevo il presentimento che non l'avrei ritrovata al mio ritorno e il solo pensiero di aver rovinato tutto mi faceva impazzire. L'avevo persa per sempre?

«Bello, ma che hai? La rossa ti ha fatto proprio girare la testa... te lo ricordi che ti sposi tra una settimana?» mi chiese con un sorriso che tradiva preoccupazione il mio migliore amico Ale.

È strano, Rose, come in quel momento quelle semplici parole sortirono in me un effetto così forte. In quell'istante mi parve tutto chiaro e così semplice che iniziai a ridere da solo come un pazzo. Non potevo rinunciare a Nicole.

Come risvegliato dallo stato di torpore in cui ero piombato, fissai Ale per alcuni secondi e poi esclamai: «Ma io non mi sposo! No, assolutamente no! Non posso farlo! Grazie, Ale!» e, baciandolo su entrambe le guance, continuai a ripeterlo a ciascuno dei miei amici. Anche il resto della ciurma si aggregò alla mia risata, tuttavia dopo un paio di minuti, i ragazzi iniziarono a scambiarsi delle occhiate preoccupate perché capirono che non stavo scherzando.

A un tratto scattai in piedi e urlai all'autista di accostare e, mentre l'allegra combriccola cercava di bloccarmi, io corsi dal guidatore con fare minaccioso e sibilai tra i denti: «Ferma questo stramaledetto autobus. Ora!»

Alla piazzola di sosta in prossimità di Marina di Pietrasanta, circondato dai miei amici che ormai si erano resi conto che ero irremovibile, chiamai più volte Costanza, anch'essa in Versilia per il suo addio al nubilato. Alla quarta telefonata per fortuna mi rispose.

«Ciao Amore, ti manco di già?»

«Dimmi dove sei. Ti devo parlare subito» le ordinai impaziente.

Costanza mi diede le indicazioni su dove incontrarci e dopo venti minuti ci ritrovammo tutti assieme in un locale alla moda sulla spiaggia di Forte dei Marmi.

La intravidi in mezzo alla folla, fasciata in un mini abito color argento, con un Moscow mule in mano quasi finito. Quando la incrociai, le ragazze si misero in coro a commentare quanto il mio gesto fosse romantico, ignare di quello che stava per succedere. I miei amici, invece, che sapevano che cosa sarebbe accaduto di lì a poco, si disposero seduti a ferro di cavallo verso la mia direzione per non perdersi la scena.

La verità è che nessuno di loro sopportava Costanza: aveva, infatti, la rara capacità di mettere a disagio tutti coloro con cui si relazionava, reputandosi sempre migliore degli altri sotto ogni aspetto. In realtà era una persona insicura e annoiata, che non riusciva mai a essere del tutto felice, cosa che avevamo avuto in comune fino a quell'estate, prima che incontrassi Nicole.

Insospettite dallo strano comportamento dei ragazzi, anche le sue amiche si avvicinarono e cominciarono a fare domande, ma loro le zittirono e consigliarono di rimanere in silenzio per godersi lo spettacolo.

Poco più in là, io cercavo di tenere a bada Costanza, alticcia, che tentava di baciarmi con insistenza. Scansando ogni approccio, le presi allora le mani per tenerla ferma. «Basta! Calmati un attimo e ascoltami. Sono venuto qui per dirti che non possiamo più sposarci. Io non ti amo, anzi credo di non averti mai amata davvero perché fino a oggi non sapevo neanche cosa significasse. Mi dispiace ferirti e, se solo potessi, ti eviterei tutto questo, ma non posso più nascondere a me stesso ciò che provo.»

Costanza strizzò gli occhi un paio di volte e poi mi chiese con voce stridula: «Scusa, Luca ma... che stai dicendo? Tu mi vuoi dire che solo oggi ti sei reso conto di non amarmi? Anzi, se ho capito bene, di amare un'altra?»

«È così» risposi conciso, guardandola negli occhi. La verità non aveva bisogno di tanti giri di parole, ormai mi era così chiara che non riuscivo a credere di aver impiegato tanto tempo ad ammetterla a me stesso.

«Io...io... ti distruggo!» urlò lei, balzando in piedi e, gesticolando senza freni, aggiunse: «Che verme sei a dirmelo in questo modo una settimana prima delle nozze? Ai miei parenti che arrivano venerdì glielo racconti tu? E il mio vestito da sposa? Con quello che è costato, cosa me ne faccio ora? Dimmelo! Rispondimi, idiota!»

«Mi assumo ogni responsabilità e sono pronto ad affrontare le conseguenze delle mie azioni con la tua famiglia» affermai senza esitazione.

«Ah sì, è vero! Tu pensi di essere un grand'uomo, razza di ameba! Ti rendi conto che in tre mesi non abbiamo mai fatto sesso?»

Era vero. L'ultima volta che l'avevo toccata era stata dopo che con Nicole, Rose, avevo letto il racconto della festa a Villa Baldi.

Ero scappato via dal casale perché turbato dall'emozione che mi aveva colpito scoprendo il tuo diario. Le parole che avevi utilizzato per raccontare il colpo di fulmine tra i miei nonni erano le stesse che potevano descrivere ciò che sentivo per quella splendida ragazza dai capelli rossi che, con la sua disarmante semplicità, mi aveva fatto perdere la testa al primo sguardo il giorno del suo arrivo a La vite di Bacco.

Giunto all'appartamento della mia fidanzata, non le avevo dato nemmeno il tempo di parlare. L'avevo presa sul divano, provando a togliermi dalla testa la sensazione che avevo vissuto quando avevo incrociato lo sguardo di Nicole, ma più affondavo in Costanza, più percepivo gli occhi blu della splendida americana addosso a me, come se mi avessero lasciato un marchio indelebile che nessuna nottata di sesso scadente avrebbe potuto mai cancellare.

Rimasi in silenzio, lasciando sfogare Costanza in santa pace. In fondo ne aveva tutto il diritto.

«Va' pure da quella insignificante baby sitter perché tanto lo so che è per lei che mi stai mollando. Ho visto come la guardi ogni volta che la incontri!» e, in un impeto di rabbia, Costanza mi rovesciò addosso il Moscow mule avanzato.

Non mi scomposi; cercai di asciugarmi gli occhi e i capelli come meglio potevo mentre un brusio di risatine si levò dai nostri amici che guardavano la scena rapiti. «Comunque non mi importa! Sono io che ti lascio, che lo sappiano tutti!» urlò Costanza in direzione degli amici che erano intenti a commentare ogni singola parola.

A quel punto le avevo detto quello che doveva sapere perciò feci per andarmene, ma lei mi trattenne per un braccio.

«Per la cronaca sono quattro mesi che vado a letto col nuovo commesso del mio negozio!» e, pensando di avermi inferto un colpo basso, si girò verso i nostri amici alla ricerca di sostegno. A quella rivelazione la compagnia di ragazzi ammutolì in attesa della mia risposta.

Mi fermai un istante e, girandomi verso di lei, con estrema sorpresa dei presenti, le dissi sollevato: «Grazie, Costanza, sono felice per te ma ora ... devo proprio andare! Buona vita!» e, dopo averle dato una pacca sulla spalla, mi misi a correre alla ricerca di un passaggio per tornare al più presto a Vinci.

Nicole

Mentre osservavo la luna dal finestrino del taxi che mi stava conducendo all'aeroporto, avevo l'impressione che l'intensità della luce delle stelle scemasse sempre di più, mano a mano che il veicolo scendeva giù dalle colline di Vinci, allontanandosi da quel luogo che mi aveva insegnato ad amare.

Ripensai ai saluti con le gemelle, Fynn e Anna e all'addio a Sole. Vedere quegli occhi nocciola che si riempivano di lacrime e sentire quelle braccine che mi stringevano forte, come se non volessero farmi andare più via, aveva reso il saluto straziante. Avevo fatto promettere a Tania e a Lucrezia di portare la mia beniamina a trovarmi in California e, solo dopo un solenne giuramento, la piccola si era decisa a staccarsi da me.

E Luca... Luca avrebbe compreso che ero andata via per lasciarlo libero di proseguire la sua vita che, senza volere, avevo sconvolto.

«Capirà» continuavo a ripetermi con la morte nel cuore.

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