CAPITOLO 17 ~ parte prima
Bussammo alla porta di Anna ma nessuno rispose.
«Starà ancora dormendo?» chiesi a Luca.
«Proviamo a entrare» mi propose lui, facendomi segno di seguirlo.
Era la prima volta che mi recavo nell'appartamento di Anna. Le persiane di tutte le finestre della casa erano accostate, ma la luce tenue del mattino iniziava a riempire ogni stanza, permettendoci di percorrere il corridoio buio che conduceva alla sua camera da letto.
Sulle pareti i volti di persone a me sconosciute ci osservavano da un tempo lontano. Riconobbi, però, i visi sorridenti di Marcello e Liz, Anna giovane donna con in braccio un bambino che Luca mi spiegò essere suo padre Renato, l'ultimo compleanno di Sole, dove comparivo pure io insieme alla famiglia Corsini.
Non c'era dubbio: tua cugina aveva una passione smisurata per le fotografie con le quali aveva tappezzato tutto il corridoio. E poi... il mio cuore ebbe un sussulto. In una foto color seppia, Anna, vestita da meravigliosa sposa d'inverno, rideva felice, gli occhi colmi di gioia, in compagnia di una giovane ragazza dai capelli corvini che le assomigliava moltissimo. Tu, Rose.
«Ho visto questa foto migliaia di volte, ma non ho mai chiesto a mia nonna chi fosse la ragazza con lei! Rose è sempre stata parte della mia vita e io non lo sapevo!» esclamò Luca, quando gliela indicai.
Una folata di vento leggero ci richiamò e, attratti dal profumo intenso di fiori che aveva portato con sé, ne seguimmo la scia fino alla camera di Anna.
Il letto era sfatto, la porta finestra spalancata, ma tua cugina non c'era, Rose.
Tuttavia Luca non sembrava preoccupato. «So dov'è andata.»
Pochi passi più in là, nel cortile dietro al casale, intravedemmo la figura esile di Anna, intenta a scegliere una rosa.
Quando fummo dinanzi a lei, la donna alzò lo sguardo su di noi e, avvicinando il fiore al suo naso, ne inspirò il profumo ancora una volta.
«Ti ricordi quando nonno ti portava a cogliere la più bella per me?» domandò a Luca.
Lui fece un passo in avanti e, prendendole le cesoie dalle mani, recise la rosa più rossa e carnosa che era nascosta dalle altre, porgendola ad Anna. «Nonno avrebbe scelto questa.»
«Mio marito Guido era un vero romantico, Nicole, ed era divertente da morire. Adoravo quando si lasciava andare e dimenticava per un attimo i suoi modi composti da nobile. A molti poteva sembrare algido e freddo, ma in lui c'era una tenerezza indescrivibile che concedeva solo a pochi fortunati di conoscere.»
«Noi siamo stati tra questi» confermò Luca, dandole un bacio delicato sulla fronte.
Anna ci rivolse un sorriso ironico. «Allora, ditemi: che cosa vi porta qui alle sette di mattina? Immagino non sia solo per il piacere della mia compagnia...»
Luca e io ci guardammo, aspettando che l'uno parlasse al posto dell'altra.
«Qualcosa mi dice che c'entra quel quaderno che Nicole si porta dietro ovunque» provò a indovinare lei, continuando ad ammirare il suo roseto.
Luca era spiazzato da quelle parole come la sottoscritta. «E tu come fai a saperlo?»
«Sono vecchia, è innegabile, ma non ancora del tutto rimbambita, sai, Tesoro?» rispose Anna, divertita dall'espressione stupita del nipote.
«Tesoro... tesoro» ripetei io, scoppiando in un pianto incontrollabile. Dio, quanto mi era mancato sentirlo dire! Tu, Rose, mi avevi chiamato così la prima volta che c'eravamo incontrate su quel vialetto di Carlos Avenue e lo avevi continuato a fare fino alla fine. Io ero il tuo tesoro e tu saresti stata per sempre il mio, perché ci eravamo trovate e custodite anche oltre la morte.
Anna, preoccupata, mi strinse in un abbraccio. «Vieni qui! Che succede, Nicole?»
«Oh, perdonami, perdonami tanto...» mi scusai tirando su col naso.
«Sta' tranquilla, non è successo niente. È tutto a posto. Vedrai... anche questa passerà.»
Non c'era dubbio che quella donna fosse tua cugina. Il tempo e lo spazio vi avevano tenute separate, ma vi assomigliavate più di quanto avessi potuto mai immaginare.
«Sediamoci un momento così mi racconti, va bene?» mi propose Anna, accarezzandomi una guancia.
Ci accomodammo tutti e tre al tavolino in ferro battuto vicino al roseto e, prendendo coraggio a due mani, dissi: «La mia migliore amica è morta a maggio. È per lei che sono qui. Mi ha chiesto di consegnare il suo diario a una persona da cui fu separata contro la sua volontà, ma che ha continuato ad amare tutta la vita».
Anna socchiuse leggermente gli occhi, osservandomi con ancora più attenzione.
«Anna, la persona per cui sono venuta qui in Italia... sei tu» e, pronunciando quelle parole, le porsi il tuo diario, amica mia.
«No... non è possibile... è davvero suo?» mi chiese, il labbro tremante mentre pronunciava quelle parole e sgranava gli occhi, riconoscendo all'istante la tua grafia, Rose.
«È il diario di Rosa. Mi ha chiesto di portartelo affinché tu sappia che cosa è accaduto.»
Anna si portò una mano alla bocca, soffocando un gemito sommesso. Luca scattò subito verso di lei e la cinse con un braccio.
«Sto bene. Lasciatemi sola, per favore.»
«Sei proprio sicura, nonna?»
«Ti prego, Luca. Ne ho bisogno!» gli disse rivolgendogli una supplica, gli occhi verdi, velati di lacrime, più splendidi del solito.
In silenzio, ci alzammo e lasciammo Anna col tuo diario, Rose.
Trascorremmo la mattina a controllarla da lontano, impedendo a chiunque di avvicinarsi a lei e, nonostante le rimostranze delle gemelle, riuscimmo nell'intento.
«Che sta leggendo la nonna bis?» mi domandò Sole, sopraggiunta all'improvviso.
«La storia di un pezzo della sua vita che nessuno le aveva mai raccontato prima.»
A quelle parole Tania e Lucrezia mi rivolsero uno sguardo interrogativo. Dall'espressione decisa sul loro volto sapevo che non avrebbero ceduto fino a quando non avessero conosciuto la verità. Raccontai loro il motivo che mi aveva spinto a venire a La vite di Bacco, la mia amicizia con te, quello che tu e Anna avevate significato l'una per l'altra.
«Non sapevo nulla di Rosa nemmeno io, fino a quando Nicole non mi ha raccontato del diario. È da giugno che lo leggiamo, stanotte lo abbiamo terminato e siamo venuti a portarlo a nonna» spiegò loro Luca, senza distogliere la sua attenzione da Anna.
Passavano le ore e tua cugina continuava a sfogliare una pagina dietro l'altra. Sul suo volto fiorivano sorrisi, risate e molte lacrime.
Vi stavate ritrovando, Rose.
«Nonna non ha mai pianto dinanzi a noi. È sempre stata la roccia della famiglia, anche quando ci fu l'incidente» mi rivelò Tania.
«Non credo di averla mai vista in questo modo... sembra un'altra persona. È così...» mormorò Lucrezia, osservando la nonna.
«Fragile...» terminò la sorella per lei.
L'attività del B&B procedeva come sempre e le gemelle dovettero lasciarci per andare ad assistere gli ospiti, ma a turno tornavano a controllare come stesse Anna o mandavano Fynn a sincerarsene. Per fortuna Sole era stata invitata da un'amica a trascorrere la giornata a casa sua, così avevo la possibilità di rimanere lì vicino a tua cugina, in caso avesse avuto bisogno.
Non l'avrei lasciata per nessun motivo, Rose, perché ero consapevole che presto la sua vita non sarebbe stata più la stessa. Anna sapeva dalle tue lettere che cosa ti era successo, ma solo leggendo il tuo diario, avrebbe compreso davvero che cosa avevi dovuto vivere sulla tua pelle e, soprattutto, capire quanto tu l'avessi amata sempre.
A un certo punto Anna si coprì il volto con entrambe le mani e iniziò a singhiozzare.
Luca, che era rimasto per tutto il tempo insieme a me a controllare la nonna, la raggiunse rapido e, inginocchiandosi dinanzi a lei, le propose di fare una pausa.
«No, no... lasciatemi sola. Io devo continuare» gli rispose lei, bevendo un sorso d'acqua portatole dal nipote.
«Per favore» aggiunse Anna, supplicandomi.
Presi Luca per un braccio e lo trascinai via da lì, rimettendoci a sedere poco più in là per mantenere la distanza che tua cugina, amica mia, aveva richiesto.
Nel pomeriggio le gemelle ci raggiunsero e raccontammo loro tutto di te e di quello che ti era successo, Rose, e più ne discutevamo, più mi sembrava che in quella storia ci fosse qualcosa che non quadrava.
Non riuscivo a convincermi del fatto che Anna ti avesse chiuso la porta in faccia, rifiutandosi persino di rispondere alla tua lettera, quando avevi trovato il coraggio di rivelarle il tentativo di stupro a opera di tuo zio. Di sicuro ammettere con sé stessa che suo padre fosse un mostro del genere non doveva essere stato facile, ma non risponderti, come se le tue parole non avessero avuto un peso, non mi sembrava possibile.
E solo in quel momento capii come ti dovevi essere sentita: la persona che avevi amato con tutta te stessa e che avevi considerato la tua famiglia non ti aveva creduta.
Anna non si alzò mai da quella sedia, nemmeno per pranzare; infine, verso le diciassette, chiuse il diario e, posando una mano su di esso, anche gli occhi. Rimase immobile così per un'ora, poi, con lentezza si alzò e, superandoci tutti, entrò in casa senza guardarci. Subito dopo, però, un rumore di vetri frantumati ci fece precipitare dentro l'appartamento. Anna stava distruggendo una serie di cornici con un bastone.
«Nonna, che fai...?» chiese Luca con un filo di voce.
«Lasciala» gli ordinai, raccogliendo da terra una delle fotografie. Tutte avevano come protagonista tuo zio, Rose.
Le gemelle e Luca erano sconvolti nel vedere Anna accanirsi con tutta la forza che aveva su ciò che le rimaneva di suo padre.
«Maledetto!» urlò tua cugina, Rose, cadendo in ginocchio sui vetri rotti. Subito ci fiondammo tutti e quattro su di lei e la facemmo sedere in salotto.
«Riportatemi al roseto!» gridò fuori di sé.
«Come vuoi, nonna, ma devi permetterci di controllare che tu non ti sia tagliata.»
Annuendo, Anna lasciò che Lucrezia le medicasse le ginocchia ferite.
Tua cugina guardava dinanzi a sé, lo sguardo perso in un tempo lontano.
«Tu c'eri quando Rosa è morta?» mi domandò all'improvviso.
«Sì, fino alla fine. Se n'è andata tra le mie braccia» risposi, sorridendole tra le lacrime.
Anna si portò al petto il tuo diario. «Grazie per non aver lasciato sola la mia Rosina.»
«Ti ha sempre voluto bene, voleva solo che sapessi questo. Tutto il resto non ha importanza. Non conta più la sofferenza, il dolore dell'abbandono, la solitudine che ha provato. Ciò che è rimasto oggi è l'amore che ha avuto sempre per te e io lo vedo nei tuoi occhi che tu senti lo stesso!»
«Certo che è così, Nicole! Fino a stamane pensavo che Rosa fosse morta a New York il 9 giugno del 1954!» sbottò con una smorfia di dolore.
«E le lettere?» chiesi sgomenta.
«Io non le ho mai ricevute! Sei stato tu, maledetto! Me l'hai portata via due volte!» urlò Anna in direzione del cielo.
Rimanemmo in silenzio. Nessuno di noi sapeva cosa dire in quel momento per alleviare la sua pena.
Anna si asciugò le lacrime e iniziò a raccontare: «Quando il trentuno dicembre salii in macchina, dissi a Guido che non ero sicura di voler partire per il viaggio di nozze. Non avevo mai visto Rosa così affranta e, saperla da sola per le due settimane successive, mi riempiva il cuore d'angoscia. Guido mi propose di passare dalla Luciana prima di partire per la Svizzera, meta della nostra luna di miele, per chiederle di tenere d'occhio Rosa. La Luciana mi rassicurò che sarebbe andata quella sera stessa al casale e avrebbe proposto a Rosa di stare da lei fino al mio ritorno.
Guido e io trascorremmo i giorni seguenti vicino a Berna, in uno chalet che la nonna di mio marito gli aveva lasciato a disposizione. La contessa era l'unica che non ci aveva osteggiato e, pur avendo deciso di non venire al matrimonio per non inimicarsi il figlio, aveva voluto lasciare al nipote uno degli immobili di famiglia come dono.
Lo chalet si trovava in una località incantevole, un regno di ghiaccio dove esistevamo solo noi.
La notte, però, mi risvegliavo spesso con una strana sensazione nel petto; sentivo che c'era qualcosa che non andava, anche se razionalmente non sapevo cosa. Ero in luna di miele con l'uomo che amavo in un luogo meraviglioso eppure... non riuscivo a essere del tutto felice.
Lo sguardo triste di Rosa, mentre mi rincorreva alla macchina, non mi abbandonava: dovevo tornare a Vinci a sincerarmi che stesse bene. Mi rincuoravo pensando che le avrei rinfacciato per anni di avermi rovinato la luna di miele e che le avrei restituito il favore un giorno!»
Anna rise a quelle parole, ma poi si rabbuiò. «Guido provò a farmi desistere, ma ben presto comprese che ero decisa a ritornare, con o senza di lui. Per l'Epifania eravamo a Vinci. Bussai alla porta della Luciana e, quando lei aprì, capii subito dall'espressione sul suo volto che era successo qualcosa a Rosa. Corsi al casale a piedi mentre Guido e la Luciana mi urlavano di fermarmi. Arrancavo nella neve delle strade impervie di Santa Lucia, aiutandomi con le mani per non cascare. Scivolavo di continuo, ma infine riuscii ad arrivare.
Seduto accanto al camino, mio padre era intento a limare un coltello. Quando si voltò, vidi l'espressione stupita sul suo viso; forse non si aspettava di rivedermi così presto. Notai anche una grossa benda sull'occhio, tuttavia non me ne curai; volevo solo sapere che cosa fosse successo a Rosa.
Mio padre si alzò in piedi e prese da un cassetto della madia un biglietto stropicciato: era di Rosa, diceva che partiva per l'America per sposarsi col sergente.
Tutto ciò non aveva senso: mia cugina disprezzava quell'uomo e ne aveva avuto anche paura dopo le avance ricevute a Villa Baldi. Quando glielo feci notare, mio padre rispose che le donne cambiano idea di continuo e che Rosa doveva essere stata gelosa di me perché amava anche lei Guido. Gli urlai di smettere di calunniarla e gli ordinai di dirmi se sapeva qualcosa in merito alla sua scomparsa.
Spingendomi contro la parete, mi gridò che quella era casa sua e che non lo avrei più dovuto importunare. In quel momento, però, entrò Guido che, con passo deciso, raggiunse mio padre e gli restituì la spinta fino a farlo cadere per terra. Per la prima volta nella mia vita vidi la paura negli occhi del guercio. Mio marito gli sibilò che, se mi avesse ancora toccata con un dito, lo avrebbe sbattuto fuori: quella era casa nostra, visto che avevamo rilevato l'ipoteca sull'immobile, e lui era solo un ospite. Non avrebbe mai dovuto più dimenticarlo. Mio padre andò via sbattendo la porta e, da allora, limitò allo stretto indispensabile i contatti con noi, rintanandosi nell'altra ala del casale.
Mostrai il biglietto di Rosa alla Luciana che ne era già al corrente. Mi raccontò che era giunta al casale prima del cenone dell'ultimo dell'anno per portarla con sé, ma giunta a Santa Lucia, aveva solo intravisto i fari in lontananza di un'automobile e, alla guida, le era parso di scorgere Mario, il postino di Vinci. Al casale non aveva trovato nessuno e questo l'aveva fatta impensierire; il suo compagno, però, l'aveva rassicurata, dicendole che con molta probabilità Rosa era andata a festeggiare da qualche parte. Con riluttanza, la donna si era fatta convincere ma l'indomani era ritornata di buon'ora al casale e lo zio le aveva mostrato il biglietto d'addio.
I mesi seguenti furono tremendi: Guido aveva speso quasi tutto il suo patrimonio personale per rilevare l'ipoteca del casale e pagare la ristrutturazione delle stalle dove vivevamo noi. I soldi scarseggiavano e io non mi davo pace. Leggevo il messaggio di Rosa di continuo ed ero certa che le lettere tracciate fossero sbavate dalle lacrime. Lo vedevo dall'incurvatura delle "t", erano tremolanti e imprecise, non era la sua solita grafia sicura. E poi mia cugina non mi avrebbe mai lasciata senza dirmi addio, non avrebbe mai voluto farlo in quel modo, per di più col sergente.
I giorni passavano e io vagavo per il casale come un fantasma. Non mangiavo, non dormivo, pensavo solo a Rosa, dove fosse e se stesse bene.
Un giorno, era aprile, mi svegliai con forti crampi all'addome. Non avevo più tenuto conto del mio ciclo e realizzai solo in quel frangente che da gennaio non avevo più avuto le mestruazioni. Alla vista di quel sangue, svenni. Guido mi portò di corsa all'ospedale dove constatarono il mio aborto; il bambino doveva essere di circa nove settimane. Che madre ero stata per lui in quei pochi mesi? Non mi ero nemmeno resa conto della sua presenza talmente ero presa da me. Avevo fatto lo stesso con Rosa: non mi ero accorta di quello che stava capitando nella sua vita, anzi, avevo fatto finta di non vedere. Ricordavo benissimo l'angoscia nei suoi occhi la sera che le avevo confidato che Guido aveva chiesto la mia mano, ma io ero stata così presa dalla mia felicità che non avevo voluto sprecare il mio tempo a comprendere il suo dolore. Allo stesso modo, forse, una parte di me sapeva che ero incinta, ma non aveva voluto tenerne in considerazione fino al triste epilogo. Il mio bambino, proprio come Rosa, mi aveva lasciata. Era la punizione che la vita mi aveva inflitto perché non mi ero meritata il loro amore.
Guido era sempre più preoccupato per me. Chiese una mano ai suoi genitori, ma essi si rifiutarono di aiutarlo. Aveva rinunciato alla vita da nobile pertanto doveva essere in grado di vivere con le sue sole forze. La Luciana fu l'unica ad aiutarci. Coi suoi soldi e le conoscenze di Guido, ingaggiammo un investigatore privato per ritrovare Rosa in America. Purtroppo, oltre al nome del sergente e a una fotografia di mia cugina, non avevamo altri indizi. L'investigatore scoprì in un paio di settimane che Rosa e il sergente si erano imbarcati il primo gennaio da Genova per New York e, appena fummo in grado di racimolare soldi a sufficienza per pagargli le spese del viaggio, partì per gli Stati Uniti. Era fine settembre del 1954. L'investigatore fece ritorno in Italia solo a metà dicembre e con sé portò la notizia che non avrei mai voluto apprendere: Rosa era stata uccisa dal marito, a sua volta assassinato dal poliziotto, chiamato dai vicini per soccorrerla. Il nostro investigatore si era recato all'appartamento dove aveva vissuto Rosa e aveva parlato con un signore anziano, un certo Mr O'Reilly, che gli aveva raccontato di quella notte. Negli articoli di giornale non era riportata la notizia del decesso di Rosa ma solo del sergente. Il vicino gli aveva raccontato che tuttavia mia cugina era poi morta in ospedale, a seguito delle ferite mortali inferte da Rossi. A dimostrazione di quanto sostenuto, l'anziano aveva condotto il nostro investigatore all'ospedale di Hart Island. Lì il nostro detective aveva consultato il registro e aveva verificato la morte di Rosa, registrata il 9 giugno. A riprova di ciò, il signor O'Reilly lo aveva condotto alla grande croce dove venivano seppelliti tutti i disperati nullatenenti di New York City».
«Allora l'uomo di cui Rose parla nel diario non era stato mandato dalla contessa di Northbridge, bensì da te! Era il tuo investigatore!» esclamai, iniziando finalmente a riunire tutti i pezzi di quella storia così ingarbugliata.
«Ma le lettere? Come mai non le hai ricevute?» chiese Luca, impaziente quanto me di capire perché le due cugine non fossero mai riuscite a ritrovarsi.
«Rosa racconta nel diario che mi scrisse la prima volta nel gennaio del 1955 e continuò a farlo fino ad agosto dello stesso anno. Io, però, non ero a Vinci all'epoca. C'è una parte del mio passato che ignorate, sconosciuta persino a vostro padre...» rivelò Anna, contorcendosi le mani. Vedendola in quello stato, le gemelle e Luca si scambiarono uno sguardo d'intesa.
«Perché non ti liberi del peso che hai sul cuore, nonna? Ci hai protetti tutta la vita ma ora siamo grandi, abbi fiducia in noi!» la rassicurò Lucrezia, accarezzandole il viso.
Anna stette qualche secondo in silenzio, concedendosi di osservare il viso dei suoi nipoti, chiuse gli occhi e proseguì il racconto.
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