5 - Dietro la maschera
Appena lasciata Minerva, Piton trasfigurò il travestimento da Babbo Natale nei propri severi abiti neri, infilandosi in tasca la maschera dall'aperto sorriso natalizio che tanto strideva con l'amara e pallida tristezza del suo volto. Attese, controllando che Alecto se ne andasse, e da lontano protesse la vecchia amica che portava al sicuro Paciock. Infine tornò in presidenza, approfittando per far svanire, con veloci tocchi di bacchetta, i travestimenti da Babbo Natale degli ultimi studenti che ancora si attardavano nei corridoi nell'imminenza del coprifuoco: non voleva che qualcun altro ci andasse di mezzo a causa dello stratagemma per salvare Paciock.
- Il tuo piano è riuscito? – chiese Silente dal quadro.
Piton annuì: difficile che i suoi piani non funzionassero. Non sarebbe stato ancora vivo, altrimenti, con tutte le menzogne rifilate all'Oscuro Signore. Guardò l'ora sospirando: doveva recarsi da chi ancora credeva d'essere il suo padrone. Prima che Marchio dannato bruciasse di nuovo nella sua carne riaccendendo con crudele ferocia i rimorsi.
Sospirando un'ultima volta, sollevò lo sguardo incontrando i propri occhi nello specchio a lato del camino. Per un istante rivide il volto stanco e pieno di rughe di Minerva: lo vide illuminarsi nel sorriso rivolto al misterioso Babbo Natale, poi, negli occhi dell'anziana amica perduta ritornò solo l'odio profondo che da alcuni mesi vi albergava, insieme al dolore.
Severus socchiuse gli occhi, sentendosi tremendamente solo e stanco, odiato da coloro cui voleva bene e per i quali rischiava la vita. Proprio come aveva appena fatto anche quella notte. Come avrebbe continuato a fare, finché ci fosse riuscito.
Si avvicinò al camino traendo dalla tasca la maschera di Babbo Natale; proprio in quel momento, le fiamme si riflessero sull'argento dell'altra maschera che lo attendeva anche nella notte che per tutti gli altri sarebbe stata solo di felice attesa della festa.
Ma non per lui.
Il viso di Babbo Natale era attraversato da un sorriso aperto, incoraggiante. Assomigliava a quello sereno di Albus che lo osservava in silenzio dal ritratto. La maschera d'argento, invece, non aveva labbra, non aveva altra espressione che l'imperturbabile crudeltà del male.
Le aveva indossate entrambe, per motivi diversi, entrambe false e distinte da lui.
Sollevò lo sguardo fissandolo nello specchio, sulla pallida maschera d'interminabile sofferenza che era diventato il suo volto, gli occhi neri che ardevano nel rimorso di colpe laceranti, le labbra serrate in una linea sottile, incapaci perfino di implorare perdono.
Rimase a lungo a fissare se stesso, immobile e in silenzio, il volto di un uomo che desiderava solo morire, le mani strette sulle due maschere e nel cuore il desiderio di bruciarle entrambe, di liberarsi dalla falsità che lo imprigionava, sulle labbra la folle tentazione di gridare a Minerva la verità. Sì, per un fugace attimo, quando la strega gli aveva chiesto di era, aveva sognato di potersi togliersi la maschera da Babbo Natale e rivelarle la propria identità. Si era illuso di poter di nuovo leggere il vecchio affetto negli occhi stanchi e preoccupati della cara amica, di lenire il dolore da lui stesso causato. Di poterla abbracciare ancora una volta...
Il dolore al braccio lo trafisse all'improvviso, come una stilettata.
Il tempo era trascorso veloce, immerso nei pensieri. L'ora era arrivata. Il Marchio bruciava e Severus Piton lasciò cadere nel fuoco del camino la maschera di Babbo Natale, che sfrigolò tra le scintille delle fiamme, e si impose sul volto quella d'argento.
Infine si guardò di nuovo allo specchio.
Ora sapeva chi c'era dietro la maschera.
Un uomo, solo un uomo che compiva il suo dovere.
E una lacrima invisibile, cocente e amara.
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