3 - Pensieri
- Non puoi continuare a saltare i pasti, Severus. – lo rimproverò Silente dal ritratto.
Il mago scrollò le spalle senza rispondergli. Aveva deciso di non scendere in Sala Grande per la cena: non sarebbe comunque riuscito a toccare cibo e, quanto a sguardi d'odio di Minerva, per quella sera aveva già avuto la sua parte, più che abbondante.
- Minerva ti vuole bene... - riprese il ritratto.
- Taci! – lo zittì Severus sollevando la testa, gli occhi fiammeggianti. – Il suo affetto per me è morto quella notte maledetta, insieme a te, e lo sai benissimo!
- Questa volta sei stato tu a provocarla. - mormorò Albus. – Mi è sembrato che lo facessi apposta. Però, non riesco a capire...
- Certo che l'ho provocata, e volutamente! – lo interruppe il mago, la voce tesa. - Ho un assoluto bisogno di copertura, questa notte, per riuscire a sottrarre Paciock al destino che le bestie dei miei compagni hanno pianificato per lui per il giorno di Natale.
Silente lo fissò interrogativo dal quadro:
- Quel povero ragazzo è di nuovo nei guai?
- Sì, in guai molto grossi. – mormorò Severus passandosi preoccupato la mano sul viso tirato e stanco. – È stata proprio la minaccia di quell'animale di Amycus, che neppure Babbo Natale avrebbe potuto sottrarlo al suo destino, che mi ha suggerito questa folle idea.
Il Silente del ritratto spalancò gli occhi, incredulo:
- Intendi vestirti da Babbo Natale? Tu?
- Hai idee migliori? – chiese secco di rimando.
Silente rimase per un attimo a bocca aperta, sbigottito, quindi un malizioso sorrisetto di comprensione si fece largo sul suo volto, mentre con la mano si accarezzava la folta barba bianca annuendo soddisfatto:
- E vietando a priori ogni mascherata da Babbo Natale nella notte della vigilia hai la certezza, tramite Minerva, che i tuoi ordini saranno violati. Gli hai messa su un piatto d'argento.
- Già, e Minerva ha colto al volo l'opportunità di opporsi ancora una volta, – mormorò Severus chinando il capo, i lunghi capelli neri a celare il volto pallido colmo di addolorata tristezza, - al traditore assassino che tanto odia.
- Severus! – lo redarguì il ritratto.
- È la verità, Albus, e sapevamo entrambi che sarebbe accaduto. – sospirò con cupa rassegnazione rialzando il viso. – Quella notte, sulla torre di astronomia, non ho ucciso solo te, Albus...
La voce del mago s'incrinò e le labbra gli tremarono; le morse piano, cercando di riprendere il controllo:
- Quella notte ho ucciso anche l'affetto di Minerva per me. Ho perduto tutto, amicizia, fiducia, stima. Ho distrutto ogni rapporto fossi mai riuscito a costruire con chiunque nella mia vita. Ma ti ho obbedito...
Il mago serrò la bocca trattenendo la parola colma d'affetto che mai aveva osato pronunciare davanti ad Albus, ma che troppe volte nella solitaria disperazione della notte gli era sfuggita dalle labbra in un gemito disperato. Chiuse gli occhi colmi di lacrime e ascoltò il dolore dei pensieri che gli vorticavano nella mente senza riuscire a trovare sbocco alcuno, perché, ormai, era troppo tardi e solo un ritratto poteva udire le sue parole.
Ti ho obbedito, padre, ho fatto ciò che mi hai chiesto, anche se mi è costato tutto il mio coraggio e ho dovuto sacrificare anche la poca felicità che ero riuscito, grazie a te, a costruirmi qui al castello.
- Severus, figliolo...
Il mago tremò e si morse di nuovo le labbra: quanto gli mancava, Albus, quanto avrebbe voluto sentire il tocco di paterno incoraggiamento della sua mano sulla spalla! Quella stretta gentile che tanto rimpiangeva e desiderava ma che, troppe volte, aveva invece sfuggito, quasi vergognandosi, non ritenendosi degno del sentimento di profondo affetto filiale che provava per il vecchio. Severus deglutì ancora amaro, a fatica, ricacciando indietro il doloroso nodo alla gola che aveva imprigionato le sue parole. Scrollò il capo con decisione; doveva riprendersi, e alla svelta: Paciock aveva bisogno del suo aiuto!
Sollevò il volto, sempre più pallido, gli occhi neri lucenti di lacrime trattenute, e disse, con voce ferma:
- Ad ogni modo, grazie a Minerva a quest'ora la scuola sarà già gremita di Babbi Natale e avrò una perfetta copertura per muovermi indisturbato. E se qualcosa andasse storto, avrò comunque innumerevoli possibilità di mimetizzarmi.
Con un deciso colpo di bacchetta trasfigurò i propri abiti e il rosso accesso prese il posto del consueto nero profondo delle sue vesti, il candido orlo a rischiarare l'oscurità. Si guardò allo specchio e una smorfia di disgusto si disegnò sulla dolorosa tristezza dei lineamenti; cercò lo sguardo di Silente nel ritratto, timoroso di vederlo ridacchiare, ma il volto del vecchio preside era tremendamente serio e l'immagine rimase muta a fissarlo.
Un altro tocco di bacchetta, e anche il ridicolo copricapo rosso, con la soffice bordatura di neve e il pompon bianco, fu sulla sua testa, i lunghi capelli neri celati alla perfezione. Rimaneva solo la maschera, dal cui mento rotondo pendevano, posticce, candide spirali ricciute a formare un'improbabile barba. Allungò la mano sulla mensola e le dita sfiorarono il freddo metallo di un'altra maschera che troppo a lungo aveva coperto il suo viso. Rabbrividì sapendo che, più tardi nella notte, avrebbe dovuto indossare anche quell'argento tanto odiato.
Afferrò la maschera col viso rubicondo percorso dal largo sorriso e se la pose sul volto, la finta felicità di Babbo Natale a far da cupo contrasto con la sua amara mestizia.
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