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1 - Torture e minacce


Di nuovo lo schiocco secco di un sortilegio, un altro breve urlo seguito da un gemito sommesso, infine il tonfo di un corpo che cade in ginocchio, senza più energie per opporsi, solo il coraggio estremo di tenere alta la testa davanti ai suoi torturatori.

Severus deglutì a fatica, i pugni, celati dal mantello, serrati stretti dietro la schiena fino a farsi sbiancare le nocche.

Un altro lampo, un gemito prolungato, e il mago serrò forte i denti, quasi a farli scricchiolare. Non poteva fare nulla, solo assistere impotente alla tortura di Neville Paciock che, nonostante i calderoni fatti esplodere durante le lezioni di Pozioni, sembrava aver ereditato il coraggio e la determinazione dei suoi poveri genitori.

Il mago strinse le labbra, imponendosi di reprimere ogni emozione di pietà, di dominare qualsiasi tentativo di impossibile reazione. Non poteva chiudere gli occhi e turarsi le orecchie; doveva continuare ad assistere, impotente, con un orribile ghigno inciso nel marmoreo pallore del viso, fissare i giovani occhi in cui, più la forza si spegneva, più l'orgoglioso coraggio risplendeva tra lacrime di dolore.

Severus torse le mani dietro la schiena conficcandosi le unghie nei palmi, quindi si morse a sangue l'interno delle guance per reprimere un inaccettabile sospiro di pietà. Il giovane Paciock, il volto pesto e sanguinante, non ce la faceva più: aveva un assoluto bisogno che le torture si interrompessero, almeno per un poco, per riprendere respiro e chiudere le palpebre sull'orrore.

Il mago avanzò deciso spingendo a lato Amycus: se non poteva fare altro per aiutare il ragazzo, allora quello avrebbe fatto. Estrasse di scatto la bacchetta, le labbra immobili nel volto pallido, senza espressione, gli occhi neri come abissi senza fondo che ingoiavano l'oscurità: un lampo esplose dalla punta del legno e colpì in pieno petto lo studente che proruppe in un acuto urlo di dolore per accasciarsi subito dopo al suolo, svenuto.

- Eccoti servito, Paciock! – sibilò secco, riponendo la bacchetta nelle pieghe del mantello.

- Al diavolo, Piton! - urlò Amycus rivoltando il corpo del ragazzo con la punta del piede per metterlo supino e scrutargli il viso. Scrollò la testa e borbottò rabbioso: - Vedi di controllare la tua ira: ci bruci sempre il divertimento!

Gli occhi neri di Piton lampeggiarono:

- Devo forse ricordarti chi comanda, qui a Hogwarts? – rispose il preside. – È necessario che ti rammenti che sono io che poi devo giustificare con i genitori gli "incidenti" che accadono ai loro figli? O magari è necessario che ti ricordi gli ordini precisi del nostro padrone? – chiese insinuante facendo cenno di avvicinarsi.

Amycus si ritrasse spaventato:

- No, no, Piton, non intendevo...

Il preside avanzò di un passo fulminandolo di nuovo con lo sguardo:

- Ora, fuori tutti! – sibilò in tono da non ammettere replica. - Ho del lavoro da sbrigare prima di cena e non voglio essere disturbato da altri problemi causati dalla vostra incapacità di controllarvi!

I Mangiamorte uscirono veloci dalla cella sotterranea borbottando sottovoce; solo Amycus si soffermò per un istante sul limitare della porta e, voltando le spalle a Piton, si girò verso il corpo inanimato di Neville e minacciò sghignazzando:

- Neppure Babbo Natale potrà salvarti: domani sarai il nostro divertimento del giorno di festa!

- Fuori! – ordinò Piton spingendolo rude.

Il preside fu l'ultimo a lasciare la stanza; con studiata lentezza si chiuse alle spalle la pesante porta di ferro, proprio mentre un sottile raggio di luce usciva dalle ampie volute del nero mantello e raggiungeva il ragazzo inondandolo di una luminescenza azzurrognola: i lineamenti di Neville, irrigiditi dal dolore anche nell'incoscienza, si rilassarono di colpo, come se un potente balsamo, cosparso con cura da una generosa mano, avesse magicamente alleviato le sue ferite.

Piton sospirò appena e si allontanò con passo deciso: il ragazzo, per ora, era salvo.

Ma doveva ancora trovare la soluzione definitiva.



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