4.0
T A S Y A
Mi rigiro fra le coperte senza riuscire a chiudere occhio, perché ogni volta che ci provo mi ricordo che questa non è casa mia.
Le lenzuola non sono color turchese come quelle della mia camera, le pareti non sono più verde acqua e il mio quadro preferito, quello di Friedrich, rimarrà appeso al muro per settimane - forse mesi - a prendere polvere e ragnatele.
I miei genitori sono partiti una settimana fa, lasciandomi nello sconforto e nella desolazione più totale, e mi sono trasferita a casa di Annabeth e Zach. In altre circostanze, la cosa mi avrebbe resa più che felice, ma dati gli ultimi avvenimenti le cose si sono fatte molto complicate. Tra silenzi imbarazzati, ore passate chiusa in camera a piangere e sensi di colpa, questi sette giorni sono stati interminabili.
Il sentimento peggiore, però, è la sensazione di essere stata tradita da mamma e papà, che hanno deciso di lasciarmi a Yellowknife nonostante siano a conoscenza della mia depressione. Mi hanno abbandonata sapendo che mi sento in questo modo ogni giorno della mia vita, anche quando sono circondata da persone disposte ad amarmi e restarmi accanto in ogni momento, difficile o facile che sia.
L'amore della famiglia è una delle poche cose al mondo che dovrebbe essere scontata, della quale non dovresti mai dubitare.
I genitori dovrebbero essere il tuo punto di riferimento, i tuoi consiglieri, la spalla su cui piangere, le persone con cui condividerai quasi tutta la vita. Ma non per tutti è così, basti pensare a com'è andata a Calvin, con un padre violento e una madre egoista.
Qualche volta mi fermo a riflettere e provo ad immaginarmi con un bambino - il mio bambino - fra le braccia, eppure riesco a vedermi responsabile di una vita quando a malapena riesco a far continuare la mia.
I genitori sono le figure a te più vicine e le prime a ferirti irreparabilmente. Sono quelli che ti fanno sentire una nullità, stupido, perso e che non perdono occasione per fartelo notare.
Loro sono gli adulti, sono gli unici a poter parlare e avere ragione perché tu sei troppo piccolo per comprendere determinate cose.
Sono capaci di distruggerti nell'arco di un'occhiata ricca di rabbia, con una frase colma di rancore, con lacrime di delusione sul volto e tu sentirai il tuo cuore farsi sempre più pesante.
Davanti a loro fingiamo di essere la generazione menefreghista, ma dentro siamo ancora quei bambini che aspettano solo una carezza sul viso.
Sento la porta aprirsi e il letto cigolare sotto il peso di un corpo. Una mano, probabilmente quella di Zach, si posa sulla mia spalla. «Ciao, Tasya» dice «Come ti senti oggi?»
È da una settimana che lui e Annabeth cercano di tirarmi su il morale, continuando a parlarmi come se non fosse successo nulla. Più lo fanno e più mi rendo conto di non meritarmi persone come loro al mio fianco e i sensi di colpa si fanno sempre più presenti. Nonostante le parole cattive, sono rimasti gentili e disponibili e non posso far altro che domandarmi il motivo.
Non merito nulla, nemmeno la loro amicizia.
Hanno fatto così tanto per me e io ho ricambiato con odio e cattiveria. Una volta Zacharias mi disse che bisogna aiutare, non solo essere aiutati. E a distanza di mesi di quelle parole non ne ho fatto nulla: sono rimasta egocentrica e fissa solo sul mio dolore, sulle mie esigenze e su ciò che volevo io.
Senza nemmeno rendermene conto scoppio a piangere. Cerco di trattenere i singhiozzi e sfogo tutte le emozioni represse sul cuscino, stringendolo con le mani e tirandogli qualche pugno. Le lacrime lo inumidiscono sempre di più, ma vi affondo comunque il viso per impedire a Zacharias di guardarmi. Lui, però, si stende al mio fianco e mi stringe in un abbraccio, che cerco di respingere. Gli tiro pugni sul petto, provo a dimenarmi e scendere dal letto. «Smettila, spostati. Ti prego, lasciami andare. Non me lo merito, per favore» ripeto, ma alla fine lui mi attira a sé, dove scoppio nuovamente in lacrime.
«Hai ragione» sussurra, accarezzandomi i capelli. «Ti meriti di meglio.»
Quando riapro gli occhi sono sola.
Essi sono gonfi per le troppe lacrime versate e la testa pulsa, implorandomi di dormire ancora un po'.
Sono rimasta abbracciata a Zacharias finché non mi sono addormentata, ma non ho mai smesso di piangere e non deve essere stato facile nemmeno per lui restarmi accanto in quelle condizioni.
Quando le persone piangono davanti a me non so mai come comportarmi. Una pacca sulla spalla? Un abbraccio? Qualche frase di incoraggiamento in cui nemmeno io credo?
La porta si apre e nell'arco di pochi secondi sento qualcuno spalancare le tende.
Non so che ora sia - non posso saperlo, a dir la verità -, ma penso di aver dormito più di quanto sia riuscita a fare in questi sette giorni.
Un vassoio viene appoggiato sulle mie gambe e l'odore del caffè mi si infila nelle narici, facendomi venire l'acquolina in bocca. «Buongiorno» dice Annabeth. La sento spostarsi per la camera e immagino stia sistemando i vestiti che ho lasciato per tutta la stanza quando ho disfatto la valigia. «Ti ho portato la colazione, spero ti vadano bene caffè e brioche. In cucina avevo solo quelle con la marmellata e so che non ti piacciono, così sono andata a comprare in centro una di quelle vuote. È appena stata sfornata, dovrebbe essere ancora calda.»
Annuisco. «Grazie» dico, prendendo un sorso di caffè. Passo la lingua sul palato, rendendomi conto di quanto bene mi conoscano lei e Zacharias: tanto zucchero nelle bevande, solo merendine vuote... Al posto loro non ci avrei nemmeno pensato. Sono davvero una così pessima amica? «Beth, volevo scusarmi per ciò che ti ho detto quel giorno. Non avrei dovuto, è stato totalmente fuori luogo.»
«Non serve scusarsi, ormai è acqua passata» ribatte. «Non parliamone più, però. Va bene?»
«Sì, va bene» mormoro.
È da quando l'ho conosciuta che so che nasconde qualcosa, ma a distanza di tutto questo tempo non ha mai detto di cosa si tratta.
Cosa significa che non conosco il suo passato e che non posso commentare? Cosa le è successo di tanto terribile?
Zacharias deve saperlo e so che non me lo direbbe mai, ma in ogni caso devo farmi gli affari miei.
Mi ha perdonata questa volta, sono sicura non lo rifarebbe anche una seconda.
Annabeth si siede accanto a me sospirando. «Devo dirti una cosa» spiega, con una voce talmente insicura da non sembrare nemmeno la sua. L'insicurezza non le dona affatto, non a lei che si è sempre dimostrata una donna indipendente e sicura di sé. «Si tratta di Kol. Mi ha chiamata mezz'ora fa.»
«Gli è successo qualcosa?»
«No, sta bene,» mi rassicura, «ma ha deciso di prendere il primo volo per lasciare il Canada. Quando eravamo a telefono era già in auto e mi ha spiegato che rimanere qui lo farebbe solo stare peggio, perché gli ricorderebbe tutti i momenti passati con te, la vecchia te.»
Qualcosa, dentro di me, si spezza ed è come se tutte le mie forze venissero risucchiate tutto d'un tratto. La voce di Annabeth si fa distante, ma mi sforzo di rimanere lucida per sentire cos'altro ha da dirmi. «Mi dispiace da morire, Tasya. Non avrei dovuto dirtelo, anche perché lui mi ha chiesto di non farlo, ma non mi sembrava giusto nei tuoi confronti, meriti di sapere. Così eccomi qua» sospira. «Potresti mandargli un messaggio o chiamarlo per dirgli addio, magari.»
Se c'è una cosa che continuo a ripetermi in questi giorni è che tutti mi stanno abbandonando, ma ho anche compreso che se vuoi che qualcuno rimanga, devi lottare e non aspettare che sia lui a cambiare idea.
Se la colpa è tua, è essenziale riconoscerlo. È normale sbagliare, è normale avere dei difetti, ma continuare a ripetersi di non avere alcuna colpa è l'errore più grande che si possa mai fare.
Se vuoi che le cose vadano meglio, non piangerti addosso, ma prendi la situazione in mano.
No, non lo lascerò andare.
Ricaccio indietro le lacrime. «Sei disposta a portarmi all'aeroporto?»
N/A
Avrei dovuto aggiornare ieri, ma sono tornata a casa tardi ed ero distrutta, quindi non sono riuscita a correggere il capitolo in tempo.
Il prossimo sarà molto complicato da scrivere e voglio sia perfetto. Penso aggiornerò martedì, ma se non riceverete alcuna notifica significherà che non ce l'ho fatta e che una marea di libri di matematica, letteratura e trigonometria mi hanno assalita.
Domandina: al posto di Zach e Annabeth avreste perdonato/ capito Tasya così velocemente? Cosa avreste fatto?
Al prossimo capitolo!❤️
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