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0.4

Z A C H A R I A S

Afferro la mia valigetta - l'ultima azione della mia routine quotidiana - e mi avvio verso la porta, carico per una nuova giornata di lavoro. Questa mattina mi sono svegliato più energico del solito, sicuro che, per una volta, tutto andrà nel verso giusto.
Mi fermo davanti alla porta di casa e mi osservo a uno specchio poco distante dall'appendiabiti. Sistemo un'ultima volta i capelli e scrollo le spalle per darmi una carica energica, poi sorrido al mio riflesso per incoraggiarmi ancora un po' di più.

«Sorridi al tuo stesso riflesso? Ma quanto potrai essere narcisista?» chiede Beth alle mie spalle, ridacchiando.

Accenno un sorriso. «Solita carica motivazionale mattutina.»

«Oggi tornerò prima dall'università per accompagnarti all'ospedale, ho pensato che avere qualcuno al tuo fianco ti avrebbe fatto sentire un po' più sicuro» Si mordicchia il labbro inferiore e giocherella con una ciocca di capelli, senza distogliere lo sguardo da me. «Per te è un problema?»

«Assolutamente no!» esclamo, avvicinandomi per abbracciarla. «Anzi, ti ringrazio di starmi vicina in un momento così difficile per tutti noi.»

Annabeth è sempre stata una ragazza altruista, che mette al primo posto gli altri invece che se stessa. Per questo motivo, poi, ha deciso di seguire il ramo della medicina per poter aiutare le persone ancora più da vicino.
Il suo essere schifiltosa, legato anche al suo ripudio verso il sangue, non l'ha mai fermata: nulla, nemmeno le sue paure l'avrebbero mai fermata dal diventare un medico professionista.

«Okay. Allora... A dopo?» Sorride.

«A dopo» dico, poi la guardo un'ultima volta prima di uscire «Ti amo.»

«Ti amo anche io.»

Quando parcheggio l'auto fuori dal cancello dell'università, l'orologio segna le sette di sera. Dopo un'estenuante turno di lavoro, durante il quale non ho fatto altro che pensare a cosa dire alla ragazza coinvolta nell'incidente, finalmente è arrivato il momento di andare in ospedale.
Sono grato a Beth per aver deciso di accompagnarmi, da solo, infatti, non avrei mai avuto il coraggio di andare. Non è un comportamento da vero uomo, lo ammetto, ma come avreste reagito voi in questa situazione?

Annabeth esce dal cancello e, non appena mi vede, mi rivolge un grande sorriso. Saluta le sue amiche con due baci sulla guancia e sale in auto, dove mi chiede: «Sei pronto?»

Sospiro e guardo avanti, non volendo farmi vedere così fragile dalla mia ragazza. «Sì. Vuoi passare prima a casa per lasciare la borsa con i libri?» chiedo.

«No, non c'è problema. Se vuoi dopo possiamo fermarci a mangiare fuori, così non dovrò cucinare» propone.

Annuisco. «Va bene.»

Metto in moto l'auto, spaventato: sebbene abbia fin da subito ripreso a guidare, non mi sento ancora molto a mio agio al volante. Penso di essere rimasto traumatizzato da quest'esperienza, che non solo è stata il mio primo incidente, ma ha anche coinvolto altri due ragazzi.
Arriviamo in ospedale, dove Annabeth cerca subito il medico della ragazza. Lo conosce essendo un vecchio amico di famiglia, che ha conosciuto durante una terapia che ha seguito in passato. Sono rimasti in buoni rapporti, ma hanno sempre mantenuto un rapporto strettamente professionale.

«Buonasera. Io sono Jackson, il medico di Tasya. Questa ragazza, solo diciassettenne, è stata coinvolta in un grave incidente. Non vi spiegherò tutto nei minimi dettagli, vi dirò solo che a causa di un trauma è rimasta priva di vista» dice.

Sento all'improvviso il cuore smettere di battere: è stata colpa mia.
Se questa ragazza non vede più è a causa della mia distrazione, o del mio egoismo. Come posso aver rovinato una vita in questo modo?

«Zach, sei pallido. Siediti.» Annabeth fa accomodare su una sedia. Mi guarda preoccupata, ma non come se fossi un mostro.

Perché? Non ha sentito cos'ha detto il medico? Perché si ostina a guardarmi come se fossi la stessa persona quando ne ho distrutta un'altra?

«Vado a prendergli un bicchiere d'acqua, non muovetevi» dice Jackson.
Mi lascia da solo con Beth, che si siede accanto a me in silenzio. Mi accarezza la spalla in segno di consolazione, cosa che non merito. Non merito lei, non merito di essere uscito indenne da questo maledetto incidente!

«Vuoi ancora andarla a trovare? Pensi sia una buona idea» chiede, cercando contatto visivo.

«Sì.»

«Ecco qui» Jackson ritorna con un bicchiere di plastica riempito a metà da acqua e me lo porge. «Andiamo?»

Beth sospira. «Non è una mia scelta, ma non penso sia una buona idea. Come pensi che prenderà l'incontro con il colpevole dell'incidente? Non voglio accusarti di nulla, ma sarà più sotto shock di te. Te la senti di farlo?»

«Sì. Tu aspettami qui, voglio andare da solo.»

Il dottore mi accompagna fino alla stanza, uguale a quella nella quale sono stato io. Spoglia, triste, minimale... In un ospedale non dovrebbero farti sentire a tuo agio o un po' meglio? Perché creare questa atmosfera triste e mogia?

Stesa sul lettino c'è una ragazza che fissa - per modo di dire - il soffitto. Non appena sente la porta chiudersi, sobbalza e si alza di scatto, rivolgendo la sua attenzione su di me verso la fonte del rumore.
«Scusami, non volevo spaventarti» dico.

Aggrotta la fronte, confusa, ma non apre bocca.

«Il mio nome è Zacharias, sono... sono il guidatore dell'auto contro la quale vi siete schiantati. Sono passato a trovarti per vedere come stavi e mi hanno comunicato la triste notizia... Mi dispiace da morire, vorrei poter far qualcosa.»

Continua a fissarmi in modo vacuo, con le lacrime agli occhi. Eppure non accenna ad aprir bocca.

Mi siedo e rimango ad osservarla, contemplando i suoi lineamenti dolci. La pelle olivastra, segnata da qualche neo sparso sulla fronte, si intona agli occhi marroni e tondi che continuano ad osservare il vuoto. i capelli castani sono sciolti e ricadono come una cascata fino a metà schiena, dove la camicia da notte fascia il busto magro e fragile.

«Per quanto possa valere, per ogni cosa potrai contattarmi. Un passaggio, una chiacchierata o... Non lo so, anche pagare le spese mediche! Ti lascio il mio numero scritto su questo bigliettino, te lo infilo nella tasca di questa giacca, sperando sia tua e non di qualche infermiera disperatamente single.» Quando finisco di parlare, la stanza aleggia nel silenzio. Ancora.

Ma cosa ci faccio qui?
Ha tutto il diritto di non parlarmi o di non volermi nemmeno rivolgere la parola! Sono stato un idiota a venire qui, avrei dovuto dare ascolto ad Annabeth invece che fare di testa mia.
Mi alzo e mi avvio verso la porta, lasciandomi alle spalle una ragazza che non accenna né a muoversi, né a parlare.

Finché, all'improvviso, poche parole spezzano il silenzio. «Chi la fa, l'aspetti» dice.

Scioccato e con il sangue gelato nelle vene, mi volto verso Tasya, che si è rannicchiata sotto le coperte bianche del letto. E la sento piangere, come una bambina.
Sconsolato esco dalla stanza e mi ricongiungo con Beth, che con sguardo interrogativo mi chiede cosa sia successo.

«Parliamone a casa. Grazie, Jackson, per la tua disponibilità» Gli stringo la mano e forzo il sorriso migliore che possa simulare.

Dopodiché lascio alle spalle l'ospedale e Tasya, sentendo ancora però i suoi singhiozzi impressi nella mente.

N/A

Avevo voglia di aggiornare già la settimana scorsa, ma allo stesso tempo avevo caldo e non avevo neanche le forze di alzarmi per prendere il PC.

Ma ora eccomi qui! :D

Come state? Spero tutto bene.
Manca poco alla fine della scuola e ora inizia il round finale, dove i professori ti riempiono di verifiche neanche non avessero solo un voto sul registro.

Ma vabbè.

Ho una domandina essenziale da farvi, sebbene sia ancora presto: qual è il personaggio che preferite di più al momento? Mi serve per sapere se sto facendo un buon lavoro con la loro caratterizzazione.

Anyway, vi lascio qui sotto tutti - o quasi tutti - i miei social nel caso voleste stalkerarmi o avere aggiornamenti in diretta sulle mie storie.

Instagram: martiiyna_

Twitter: Figliadiade2002 (in onore dei vecchi tempi, adowo)

E niente, al prossimo capitolo!❤️🐣

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