Sulla strada
Certa gente era proprio sprovveduta, rifletté Esme, disapprovando fra sé la mancanza di senso pratico dei suoi nuovi compagni di viaggio.
Certo, ammetteva che, forse, distruggere il vetro della macchinetta degli snack era stato un gesto piuttosto esibizionista, tuttavia non se ne pentiva affatto. Del resto, aveva riflettuto bene prima di agire: la stazione di servizio era vecchia, evidentemente in disuso e priva di telecamere di sicurezza, senza contare il fatto che, vista la situazione, era bene assicurarsi delle provviste.
Diede un'occhiata al ragazzo dalla discutibile camicia viola: la ferita sanguinava molto meno e si ricordava di cambiare il fazzoletto ad intervalli regolari. Esme sorrise compiaciuta, ripensando anche a come era riuscita a sputare fuori il suo nome: rispetto al resto sarebbe potuta sembrare una sciocchezza, ma, per lei, quella non era affatto una vittoria da poco.
Stavano camminando, a occhio e croce, da una ventina di minuti. La strada era deserta e costeggiata da una siepe puntellata di fiorellini bianchi, con tutta probabilità gelsomini. Esme sollevò lo sguardo: il cielo era grumoso e la luna, offuscata da qualche nube, brillava lattiginosa, ricordando una macchia di sporcizia color panna.
Esme, vagamente annoiata, voltò la testa e studiò i tre che inspiegabilmente avevano preso la tacita decisione di eleggerla come guida. La ragazza che si era presentata come Samantha era troppo concentrata a procedere mantenendo l'equilibrio sul bordo del marciapiede per parlare. Si riscuoteva solo per sistemarsi gli occhiali, dalla montatura sottile e un'improbabile forma ottagonale, che avevano la tendenza a scivolarle sul naso lentigginoso.
Alexander, invece, dava ad Esme l'idea di essere una di quelle persone che vivono con l'irragionevole paura di occupare sempre troppo spazio o che rischiano di piangere quando qualcuno alza la voce. Camminava a braccia conserte, con gli occhi fissi a terra ed era tanto schiacciato a lato del marciapiede, che la sua spalla destra passava rasente alla siepe.
Felix, infine, procedeva esattamente al centro della strada, premendo la mano infortunata al petto, mentre con l'altra si portava l'ennesima barretta ipercalorica alla bocca. Il cioccolato gli lasciava impronte collose sulle dita. Come un moderno Pollicino consumista, aveva tracciato, dietro di sè, una lunga e scintillante scia di plasticose cartacce. Esme la guardò con rassegnato rimprovero.
La ragazza iniziava a sentirsi stanca e, per ovviare alla spossatezza che iniziava ad ottunderle i sensi, aprì un pacchetto di M&M's. La lucida carta gialla sembrò risplendere sotto la luce dei lampioni. Se ne lanciò in bocca un paio prima di fermarsi ed offrirli agli altri, allungando la confezione nella loro direzione. Alexander rifiutò borbottando un timido "No, grazie", mentre Felix trangugiò l'ultimo pezzo della barretta e ne prese una manciata. Esme aspettò Samantha, che però, troppo assorta a stare in bilico sul marciapiede, non si era accorta di nulla. Le si avvicinò, scuotendole il sacchetto sotto il naso. La ragazza si riscosse, guardò Esme, per poi mettersi a studiare con cura il contenuto del pacchetto.
"Prima di domani, magari" disse impaziente Felix, sbattendo il piede per terra a una velocità quasi inumana.
Samantha non si fece distrarre e, dopo una lunga analisi, prese tre pepite dello stesso colore. "Mangio solo quelli blu" enunciò con solennità alla fine. Esme annuì comprensiva.
"Ehm, guardate" articolò Alexander, "Credo che laggiù la strada si allarghi".
"Accidenti, è vero" concordò Felix, accelerando il passo. Esme strinse gli occhi: effettivamente la strada sembrava subire una variazione e si vedevano vagamente delle luci lampeggianti. Magari un semaforo rotto?
I ragazzi aumentarono il passo.
Percorsero gli ultimi metri di quella strada in cui l'aria buia profumava di gelsomino, giungendo infine ad una rotonda. Era relativamente piccola e al centro, illuminata da quattro faretti, sorgeva una statua in bronzo opaco: raffigurava un uomo, il cui abbigliamento da imprenditore commerciale faceva a botte con il tridente che reggeva pomposamente nella mano destra. Ad Esme si illuminò una spia nel cervello: che ci fosse un collegamento fra quel tridente e quello che aveva visto inciso nel cancello della villa? Non seppe fornire una risposta valida né elaborare un'ipotesi.
"Sapete chi è quel tizio?" domandò Samantha indicando la statua.
"No, ma è sicuramente qualcuno che invidio" replicò Felix. Esme vide con la coda dell'occhio Alexander sorridere divertito. Era un sorriso imbarazzato, a labbra strette.
"Be', ora dove andiamo?" chiese nuovamente Samantha, che, a quanto pare, non aveva alcuno spirito di iniziativa.
Esme si guardò intorno: certo, il luogo era più illuminato, ma era comunque deserto. Non un'anima, non una macchina. Nemmeno un animale.
I pochi edifici sembravano molto vecchi e altrettanto silenziosi, avevano l'intonaco scrostato e le saracinesche abbassate. Non c'era inoltre nessun cartello o indicazione stradale, il che era strano, dato che di solito alle rotonde c'erano, considerò Esme.
In fondo alla strada che si estendeva di fronte, però, distinse una luce che lampeggiava. Si avviò in quella direzione e gli altri la seguirono.
"C'è da dire che questo posto fa proprio schifo" commentò Felix, mentre camminavano fra gli edifici consumati e le vie vuote. Esme non poteva dargli torto.
La luce si fece sempre più vicina.
Era una brillante insegna al neon, probabilmente rotta, che sfarfallava rossa contro il cielo scuro. Apparteneva ad una tavola calda illuminata a sua volta. Era aperta.
I ragazzi guardarono l'interno del locale attraverso le grandi finestre lerce che davano sulla strada. Aveva tutta l'aria di essere uno di quei posti che fanno economia sia sulla qualità del cibo che su quella della pulizia, uno di quei posti in cui vanno le persone sole e un po' rotte a mangiare pasti tristi.
Decisero di entrare.
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