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Roulotte e Pollo ai Peperoni

Samantha punzecchiò con la punta della forchetta quello strano pollo ricoperto di sugo ai peperoni. Aveva un pungente odore di cannella e se ne stava adagiato, credendosi seducente, su un piattino di plastica.
La ragazza fece rotolare un dattero grinzoso al lato del piatto. Non si sentiva molto propensa ad assaggiare quella carne speziata. Le pareva infatti di ricordare che cibi di quel tipo dessero disturbi intestinali e non desiderava affatto mettere quella convinzione alla prova.

Alzò quindi lo sguardo, in cerca di qualche altra faccia stizzita in cui riflettere la propria.
Fu un po' delusa: i suoi compagni non sembravano comprendere il pericolo che correvano.
Felix, del resto, si stava ingozzando di pollo con tanta voracità che il sugo gli era schizzato su entrambe le guance. Pareva un giovane cannibale o, perché no, una bambina che abbia giocato con i trucchi della mamma.
Alexander, invece, stava spiluccando la carne a piccoli e timidi bocconi. Si tamponava le labbra con il tovagliolo crespo dopo ogni forchettata.
Esme, infine, mangiava sicura, evitando accuratamente i datteri e trascinando i pezzi di pollo nel sugo, per poi sollevarli grondanti e farli sparire in bocca. 

Si stava facendo buio e le fiammelle delle candele alla citronella si riflettevano sul sugo lucido del pollo.
Samantha allungò la mano e prese una fetta di pane ai cereali appoggiata sulla tovaglia in damascato turchese. Era pesante e sembrava fatto in casa.
La sbocconcellò guardandosi intorno con circospezione.

Erano seduti all'estremità di una lunga tavolata, costituita da molti tavolini accostati fra loro. Su di essi erano gettati dei drappi dalle fantasie e dai materiali più disparati: cotone a fiori verdi, leggero lino viola o a quadretti gialli e blu, spessi panni di flanella rossa, sgualcito poliestere a pois...
Il tutto dava l'idea di uno splendido arcobaleno fatto di tovaglie da due soldi.

Un arcobaleno molto rumoroso, pensò Samantha.
Erano infatti immersi in un frastuono caldo e continuo. Un chiacchiericcio vivace come solo quindici persone sanno creare.
Be', undici, valutò la ragazza, considerando che loro quattro stavano mangiando in un imbarazzato silenzio.
Nell'aria tiepida della sera vibravano parole concitate e risate disinibite. A volte, sopra il tintinnio delle dita inanellate che afferravano le bottiglie di vino, si stagliava qualche rutto.

Lei era seduta fra Alexander e una giovane donna dagli occhi a mandorla che masticava a bocca aperta.
Samantha prese un'altra fetta di pane: non era un granché, però doveva pur mangiare qualcosa.
Masticò assorta, con le fiamme delle candele che le danzavano sulle lenti degli occhiali. L'aria scura era impregnata di citronella, spezie e parole straniere.

"Quello lo mangi?".
Samantha deglutì e si riscosse: era stato Felix a parlare.
Cos'è che le aveva chiesto? Si era distratta.
"Allora? Hai intenzione di mangiare quel dannato pollo?" ripeté spazientito il ragazzo.
Samantha guardò lui e poi la carne. Scosse la testa senza esitare. Non avrebbe mangiato quella strana roba. D'altra parte, non le piaceva proprio provare cibi nuovi.

Felix non se lo fece ripetere due volte e si allungò avidamente sul piccolo tavolo quadrato. Afferrò il piatto della ragazza e lo trascinò verso di sé, come fa un predatore con la carcassa della preda appena cacciata.
Samantha non poté dirsi dispiaciuta di non avere più il vapore di quella carne aromatizzata a pungere le sue narici delicate.

La donna accanto a lei proruppe in una sboccata risata, un pezzettino di cibo pallido le partì dalla bocca, veloce come una meteora, e atterrò sulla tovaglia. Una cometa di sbobba maciullata.
Le labbra di Samantha si arricciarono in una smorfia di disgusto.
Probabilmente quell'incivile aveva reagito a una battuta dell'uomo di fronte, che sghignazzava a sua volta con espressione compiaciuta. Era quel tale, quello che li aveva portati lì, Leandro.

Quel tizio non li aveva persi di vista un attimo.
Dopo che erano tornati dall'altra donna, quella vecchia e grassa ricordò Samantha, per annunciarle che avevano deciso di fermarsi, lui aveva ronzato attorno a loro come un moscone sulla cacca. E, come se non bastasse, non aveva smesso di dare ordini: "prendete quello, spostate quell'altro", "preparate la tavola", "sistemate le sedie"... 
Aveva poi presentato loro alcuni tali, tutte persone dai nomi impronunciabili e con cui la ragazza, in circostanze normali, non avrebbe voluto avere niente a che fare.

Samantha lo odiava.
Dopotutto, il suo cervellino piuttosto etnocentrico e la sua intrinseca difficoltà ad accettare di buon grado i cambiamenti l'avevano portata a nutrire una certa avversione per tutto ciò che aveva visto nelle ultime ore. 
Troppa gente strampalata che non aveva fatto altro che portarle cibo bislacco e che, a quanto pare, intendeva farla lavorare e pagarla con cosce di pollo ai peperoni.
La ragazza non era esattamente pazza di gioia per la nuova situazione.

Esme coronò la fine del pasto con un rutto soddisfatto.
Samantha non poté esimersi da lanciarle un'occhiata di disapprovazione. Rimpianse il toast che avevano mangiato solo poche ore prima. Bei tempi quelli.
Alexander finì l'ultimo goccio d'acqua che aveva nel bicchiere e abbandonò la schiena contro la sedia di plastica, accarezzandosi piano gli avambracci con i pollici. Felix si leccò il dito, con cui aveva pulito l'ultima striscia di sugo rimasta sul piatto, e si mise nella stessa posizione dell'altro ragazzo, tirando un lungo sospiro.

"Be', c'è da dire che è mega-imbarazzante stare in mezzo a tutti questi sconosciuti, però in fin dei conti mi sembra gente a posto" commentò alla fine Felix, guardandosi attorno.
Alexander ed Esme annuirono, a differenza di Samantha, che non era sicura di condividere anche la seconda parte della frase.

I loro compagni di tavola iniziarono a impilare i piatti e ammucchiare posate e tovaglioli. Anche Esme se ne accorse e iniziò a fare lo stesso, presto seguita da Alexander. 
Samantha si stava chiedendo se anche lei dovesse almeno fingere di voler contribuire a sparecchiare, quando arrivò la vecchia donna vestita di arancione.
Vadoma, le sembrava si chiamasse. Camminava adagio, dondolando leggermente in uno scampanellio di gioielli.

Li raggiunse e li guardò con un sorriso gentile in volto.
"Qui abbiamo la regola che gli ultimi che si alzano mettono tutto a posto" disse, appoggiando delicatamente le mani sulle spalle di Esme e Felix, "Quindi vi consiglio di affrettarvi e venire con me".
I quattro si fissarono stupiti, ma alla fine assentirono e decisero di seguirla. Anche Samantha non si fece troppi problemi: dopotutto, non aveva mai sparecchiato la tavola in vita sua e non aveva alcuna intenzione di iniziare ora.

La donna si fece strada fra i camper e i caravan.
Era ormai buio e le stelle si estendevano come dermatite luccicante in quel cielo blu cobalto.
Si iniziavano a infiammare le torce e accendere le luci delle roulotte, che parevano rilucere come grandi lucciole di vetroresina.

"Sedetevi" li invitò la donna, giungendo al caravan verdino dove l'avevano incontrata solo qualche ora prima.
I ragazzi avvicinarono quattro seggioline in plastica colorata. Samantha ne scelse una indaco con un bracciolo rotto.
La donna, invece, si accomodò sulla sua sedia dietro al tavolino.
Da un posto imprecisato sotto il foulard, estrasse un pacchetto di striscioline rettangolari in carta opaca e un sacchetto di tabacco. Iniziò a rollarsi una sigaretta con gesti aggraziati e precisi.
Ci fu un leggero scrocchiare di carta. La donna leccò l'orlo della cartina e la chiuse con naturalezza.

"Vi spiace?" domandò infine, estraendo un accendino azzurro. I ragazzi scossero la testa.
In realtà, a Samantha dispiaceva sì l'odore di fumo, però quella signora si stava comportando in modo gentile, quindi glielo perdonò.
La osservarono in silenzio aspirare pigre boccate di tabacco bruciato, il volto nascosto dalle spire di fumo.

"Ma voi, ehm, chi siete di preciso?" domandò, a un tratto, Alexander, fissandosi le mani intrecciate in grembo.
Felix, che se ne stava seduto a gambe larghe su uno sgabellino svergolo, annuì con forza: "E perché diavolo avete deciso di venire proprio in questo buco di culo di paese?".
La donna sorrise, facendo cadere la cenere della sigaretta per terra.

"Ci chiamano Viaggiatori della Luna o Figli del Vento..." iniziò, facendo scorrere lo sguardo su ognuno di loro.
"O più comunemente 'zingari di merda'" interruppe una voce aspra alle loro spalle. Proveniva da una donna giovane che stava passando lì dietro. Aveva la pelle dello stesso colore e luminosità di una pietra di eliolite e stava dando il braccio ad un uomo dal corpo muscoloso e i capelli nerissimi. Con loro c'era Leandro.

La donna più vecchia esplose in una sonora e amara risata: "Loro sono Ejiul e Djando, i sovrani della casa degli orrori e dello zucchero filato".
La coppia rivolse loro un cenno di saluto e si allontanò avvolta in un tanto divertito quanto indecifrabile parlottio.
Leandro invece si avvicinò e si sedette sulle scalette che conducevano all'interno della roulotte, facendola scricchiolare.
Samantha notò che le spalle di Vadoma, o come si chiamava, parvero irrigidirsi per un istante, prima di tornare a rilassarsi. La donna spense la sigaretta ormai consumata in un posacenere in vetro scheggiato appoggiato sul tavolo.

"E da dove venite?" domandò a quel punto Samantha, in cui qualcosa di simile ad affascinata curiosità aveva iniziato a palpitare sotto la scorza dura del pregiudizio. Una brezza tiepida fece cozzare fra loro le lucine attaccate alla tenda tesa della roulotte. 

"Paradossalmente, per noi è più facile rispondere alla domanda 'dove andate?'" sorrise la donna, abbandonando il busto contro lo schienale della sedia.
"Cosa ci volete fare? Siamo stranieri in ogni terra, parenti di nessuna famiglia" si intromise Leandro mentre si toglieva lo sporco da sotto le unghie.

Vadoma scosse la testa: "Questo non è del tutto vero, Leandro. Non serve un documento timbrato per appartenere ad un posto. C'è chi, pur avendo una cittadinanza, si sente più straniero di noi. C'è chi, pur avendo uno stabile albero genealogico, sente di non avere radici".
"Sai cosa voglio dire, Vadoma" replicò l'altro.

Calò il silenzio. Da non troppo lontano si sentivano riecheggiare delle fragorose risate. Qualcuno iniziò a soffiare in un'armonica.
La brezza tornò, scuotendo i capelli di Samantha. Le pareva passata un'eternità da quando avevano lasciato il motel, eppure era successo solo quella mattina.

Esme sbadigliò portandosi una mano alla bocca, presto anche Alexander e Felix la imitarono.
Samantha, dal canto suo, si rese conto solo in quel momento di starsi addormentando su quella seggiola vacillante. Strizzò le palpebre e si diede due schiaffetti sulle guance.

"Porta i gagè alla loro roulotte. Ti ho già spiegato qual è" disse Vadoma a Leandro.
L'uomo annuì e si alzò, facendo loro cenno di seguirli. La roulotte cigolò di nuovo.
I quattro si congedarono dalla donna con un impacciato coro di "buona serata". 
Samantha era molto stanca e camminava senza rendersi bene conto di dove stesse andando. Passarono accanto ad un grosso camper. Davanti, su una sedia pieghevole, era stravaccata la donna dai tratti orientali accanto a cui era seduta durante la cena. Stava leggendo un libro alla luce tenue di una torcia e non parve fare caso a loro.
Giunsero ad un caravan dalla carrozzeria che anche con quel buio si intuiva essere azzurrina.

"E' la roulotte di Daigoro. Ora lui dorme da me" esordì l'uomo aprendo la porta, "Fate attenzione è la sua casa, farle danni sarebbe come frantumare il guscio ad una lumaca, con l'unica differenza che lui non è un innocuo invertebrato".

Samantha aveva troppo sonno per preoccuparsi di ricordare chi fosse Daigoro o per pensare ai gusci delle lumache, quindi si limitò ad annuire con un'espressione che sperò comunicare affidabilità. Anche gli altri tre dovevano essere nella sua stessa situazione, perché non reagirono in modo molto diverso da lei.

L'uomo, dunque, augurò loro buonanotte e sparì a passi eleganti fra i camper. 
I quattro si guardarono con occhi languidi, prima di scrollare le spalle e decidersi a farsi ingoiare dalla roulotte.
Chissà se sarebbero mai riusciti a dormire per due giorni di fila nello stesso posto.

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