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Non si scontrano solo gli autoscontri

Felix cominciava ad irritarsi.
C'erano molte cose che non gli andavano a genio della sua situazione attuale.

Tanto per cominciare, c'era l'improvvisa, ingiustificata, snervante presenza di tutti quei bambini. Bambini a destra, bambini a sinistra, bambini che provavano a stendersi sulla pista, a quelle condizioni non si sarebbe sorpreso di vedere bambini calarsi dall'alto come quegli orribili insetti che in fin dei conti erano.

Una scossa di nervosismo lo percorse sottopelle e gli fece contrarre la mascella. Gli facevano male i muscoli della faccia da quanto stava digrignando i denti.
Lui odiava i bambini. Con tutto il suo nevrastenico cuore. Perché diavolo c'erano dei bambini? Perché anche lì? E che diamine, erano venuti apposta per infastidire specificatamente lui?

Bambini, bambini, bambini. Più ne ripeteva il nome più si infastidiva.
Bambini, bambini, bambini. Più ne vedeva i volti sdentati più si arrabbiava.

"Quattro gettoni, cinque euro! Approfittatene!" stava gridando Danior o qualcosa di simile dal gabbiotto della biglietteria. Felix non si capacitava di come un tono così allegro potesse uscire da una faccia così annoiata.
Lo guardò ammirandone la professionalità. Era un tale dal naso all'insù e i denti storti, con cui non aveva mai parlato in quei giorni, anche se l'aveva visto qualche volta aggirarsi indaffarato per il campo roulotte.

"Prezzo speciale per l'inaugurazione! Non fatevelo sfuggire!" sbandierò a voce esuberante e briosa per profondersi subito dopo in un grosso sbadiglio. Felix scosse le spalle stranito.

La musica pompava nell'impianto stereo e vibrava lungo tutto il padiglione. Il ragazzo non conosceva quella canzone e il fracasso degli autoscontri che entravano in collisione combinato alle risate acute dei guidatori gli impediva di comprenderne le parole. Non che se ne rammaricasse chissà quanto, considerando che non sembrava una di quelle canzoni con testi particolarmente impegnati.

Un forte schianto. Il bordo di gomma nera su cui poggiava i piedi sussultò. Qualcuno iniziò a berciare rabbioso. 
Felix emise un lungo sbuffo di irritazione.
Che palle, che palle.
All'angolo opposto del padiglione quattro idioti si erano incagliati. Di nuovo.
Assurdo che esistesse gente così stupida.
I tizi, due padri con i rispettivi figli e due ultraquarantenni con un'evidente crisi di mezz'età, mulinavano con le grosse mani i volanti lucidi delle macchinine, nel patetico tentativo di rimettersi in carreggiata.

Felix si massaggiò le tempie con le dita. Che palle. Iniziò a dirigersi verso l'ingorgo.

Ecco qual era la sua utilità lì. Ecco qual era il suo lavoro.
Lanciarsi in mezzo alla pista argentata e spostare i deficienti che si incastravano o le macchinine abbandonate, sperando che nessun imbecille lo prendesse come bersaglio umano.
Cristo, tanto valeva che gli chiedessero di correre avanti e indietro sulle rotaie della stazione.

Percorse il bordo palpitante della pista fino a raggiungere i quattro, che, nel frattempo, non avevano fatto che gridarsi addosso e ridere sguaiati.
Quando fu davanti a loro, quelli lo fissarono con stizza. 
Felix ricambiò lo sguardo spazientito.
Tutti lo guardavano. Bambini, adulti, uomini, donne. Tutti non facevano che fissarlo. Evidentemente era proprio lo zimbello.
Sarebbe stato pronto a scommettere che lo facevano apposta ad incastrarsi a ogni due per tre.

Diede un calcio violento all'autoscontro più esterno, disincastrandolo. La macchinina di un plasticoso blu elettrico scivolò via. Fece lo stesso con le altre, finché non li ebbe liberati tutti.
E pensare che una volta gli piacevano, gli autoscontri.
Dopotutto, l'idea di schiantarsi con violenza contro altri individui e di essere totalmente giustificato nel farlo era molto nelle sue corde. Cominciava a ricredersi, però.

Gli autoscontri dai colori fiammanti guizzavano isterici sul circuito iridescente, dove si riflettevano le luci che lampeggiavano epiletticamente ai lati del padiglione.
Perché non soffriva di epilessia?
Un improvviso attacco di convulsioni non gli sarebbe dispiaciuto.
Cadere, i muscoli contratti e gli occhi sbarrati.
Perdere coscienza, la schiuma alla bocca e il corpo sconvolto dagli spasmi accartocciato sulla pista adamantina.
Chissà che faccia avrebbero fatto allora tutti quei genitori perbenisti. Se in quel caso avrebbero distolto lo sguardo, dopo aver coperto con una mano igienizzata gli occhi affamati dei loro stupidi bambini.

Sarebbe stato tanto di cattivo gusto fingerne una? 

"Giro terminato, pochi minuti alla ripartenza" annunciò con un tono carico di sentimento Danior, il viso più scocciato che mai.
Una madre dal volto accaldato strappò il figlio dall'autoscontro su cui avevano fatto casino fino a quel momento. Nel frattempo, un tale che Felix ricordava di aver già visto da qualche parte si alzò dalla vettura a pois verdi su cui era seduto e se ne scelse un'altra con il Bat-Segnale sul cofano posticcio.

Il ragazzo individuò un paio di veicoli abbandonati in mezzo al padiglione.
Gli toccava andare a rimetterli a posto. E che palle.
Si scrocchiò le dita della mano con nervosismo e si decise a scendere dal bordo gommoso su cui era appollaiato. 
Suole lisce e suolo liscio. Una combinazione micidiale che quasi lo fece scivolare.

Ebbe una fugace visione del suo corpo riverso a terra, le macchinine brillanti che lo travolgevano come trebbiatrici col grano mentre i bambini ridevano come mai nella loro vita.
Chissà se si poteva morire in quel modo.
Probabilmente sì, concluse mentre si ricomponeva, si può morire in un sacco di modi assurdi. 
Era paradossale, in effetti, che l'uomo fosse capace di spingersi sulla fottuta luna, distruggere intere città con uno schiocco di dita, far volare in aria ventisei tonnellate di alluminio e, poi, potesse potenzialmente morire facendo la cacca.

Una vera morte di merda, si disse ghignando fra sé, un po' per l'immagine grottesca e un po' per la battuta penosa.

Una vocina stridula gli bucò il cervello: "Voglio salire su quella di Batman".
Felix ne individuò presto la fastidiosa fonte. Una bambina, ovviamente.
"Voglio quella di Batman" ripeté la mocciosa dai filamentosi capelli biondicci, indicando con un dito tozzo la macchinina in questione. Già occupata, per inciso.

"L'hanno già presa, sceglitene un'altra" disse allora il ragazzo senza riuscire a camuffare l'irritazione crescente.

"Ma io volevo quella" mugugnò di rimando quell'inutile ragazzina, resa anche più demoniaca dall'alone luciferino che i neon aranciati le gettavano sulla pelle.
Le dita di Felix si contrassero in un pugno nervoso. Perché a lui?
"Senti, prenditela con quello che te l'ha fregata" rispose alla fine, nell'esasperata speranza di levarsi quel mostriciattolo dai piedi.

La faccia della bambina si deformò in un broncio mostruoso: "Fallo scendere". 
Il ragazzo si premette le mani sugli occhi strizzati e scosse la testa, nel vano tentativo di dissipare l'ira che iniziava a stendere le sue grinfie rosse sul suo cervello provato. Doveva essere uno scherzo. 
"Due minuti alla ripartenza" provenne dall'altoparlante della biglietteria.
Felix si riempì i polmoni di tutto l'ossigeno possibile e lo eliminò in un esasperato sospiro: "C'è n'è una rosa libera. E tu sei una femmina, no? Non ti hanno insegnato ad amare il rosa?".

La bambina si strinse sul petto le braccia rosee e grassocce: "No".
Cristo, perché a lui? Cosa cazzo aveva fatto di male per meritarsi questo?
"Sono nata il 17, però. Accompagnami alla 17" aggiunse categorico quel concentrato di cattiveria a forma di piccolo essere umano.

Il modesto serbatoio in cui il ragazzo conservava la propria pazienza stava raggiungendo un punto critico. Perché diamine non ci andava da sola? E dove accidenti erano i suoi genitori?

"Hai capito? Mi ci vuoi portare?" stava trillando la bambina. Più che una voce sembrava uno stiletto.
"Un minuto e si parte!" gracchiava intanto nell'impianto stereo Danior, stagliandosi sopra la cagnara infernale che si alzava dalla pista.

"Ora la cerco" buttò fuori Felix, ormai al limite. Diamine, poteva sentire ogni nervo del suo corpo infiammarsi.
Fece scivolare lo sguardo sul padiglione sfavillante, dove la gente stava già inserendo i gettoni colorati nei propri autoscontri. Dove cazzo era quella dannata macchina?

"La 17, perché non  posso avere la 17?" continuava la bestia in calzoncini corti.
Felix iniziò a tamburellarsi le dita sulla coscia. I numeri dei veicoli gli vorticavano davanti agli occhi.
Merda. Merda.
Si staccavano dai veicoli sfolgoranti solo per confondersi fra loro. La musica gli martellava senza pietà nel cervello.
Il 17. Doveva trovare il 17. Uno. Sette. Diciassette.

Le cifre si sollevavano o si scioglievano sui cofani color evidenziatore. L'uno cambiava di posto con il cinque e si trasmutava in nove, il nove faceva una capriola e diventava un carattere che Felix non aveva mai visto.

"Trenta secondi! Scaldate i motori" rimbombò nell'aria che odorava di zucchero filato e sudore.

Eppure era stato così bravo quella sera, al motel. Aveva riconosciuto subito i numeri delle stanze. 28 e 29. Gli erano sembrati così chiari.
Gli autoscontri erano ancora fermi, ma Felix non riusciva a liberarsi della sensazione che tutto stesse turbinando in un'infinita e crudele spirale.

"Stanno per partire, dov'è la mia macchina?"

Sentiva la testa in una morsa d'acciaio. Ecco cosa avevano dovuto provare i bulloni mentre li aveva stretti con la chiave inglese.
I numeri roteavano sulle sue retine come cimici nella tazza del cesso dopo aver tirato lo sciacquone. 

"Ti svegli?"

Dovette distogliere lo sguardo dal padiglione per contrastare la rabbia che gli stava lievitando chiassosa nel petto. Evitò accuratamente la sua aguzzina prepubescente e fissò gli occhi sul resto del luna park, che, al confronto, sembrava quasi un giardino zen. 

Ora, se Felix avesse girato la testa di pochi gradi verso sinistra, avrebbe intravisto il volto di Alexander, affaccendato nel chiosco dei dolci. Il suo cervello, così, a totale insaputa del proprietario, avrebbe rilasciato una buona quantità di dopamina. E, grazie dunque all'imperscrutabile chimica dell'amore, il ragazzo si sarebbe forse sentito un po' meglio.
Tuttavia, le cose tendono a capitare sempre nel peggior modo possibile e sventura volle che il suo sguardo si rivolse verso nord-est, dove incrociò quello del Bruco Mela.

Quella, esattamente come l'omicidio di Francesco Ferdinando nel 1914, fu la goccia che fece traboccare un vaso pieno già da un bel pezzo.

"Sai una cosa?" sbottò con violenza Felix, "Non me ne frega un cazzo della tua macchinina di merda, anzi, a dirla tutta spero con tutto il mio fottutissimo cuore che ti prenda sotto, così almeno te ne torni in quel girone d'Inferno che ti deve aver cagato fuori". Vomitò queste parole riversando tutta la valanga del proprio furore sull'esterrefatta bambina.

Le vene gli pulsavano livide sul collo e sapeva di avere il volto dello stesso colore della rabbia che l'aveva posseduto: scarlatto. Aveva urlato così tanto che gli era schizzata dell'iraconda saliva sulla guancia bollente.
E, quasi fossero due funzioni inversamente proporzionali, man mano che il volto del ragazzo tornava ad un aspetto umano, quello della bambina si distorceva orribilmente.

La bocca della ragazzina perse infatti in un colpo tutta la sua spavalderia e sembrò liquefarsi come quella di un'orrida marionetta. Il labbro inferiore le tremò sul mento accartocciato.
Felix la guardò impotente scoppiare in un pianto acuto e furioso. 

Sul padiglione degli autoscontri sembrò addensarsi una coltre di giudicante silenzio, lacerata solo da quell'urlo spacca-timpani. Il ragazzo sentiva sguardi di riprovazione trapanargli la schiena.
Bene, ora ovviamente il cattivo era lui.

Una donna si avvicinò a grandi passi incattiviti.
Certo, mamma chioccia dava segni della sua esistenza solo in quel momento. Tipico.
Felix non poté che fissare a bocca aperta quel mondo che sembrava avere un conto in sospeso con lui e che, a quanto pare, aveva deciso di farglielo scontare proprio in quel plateale momento.

La bambina strillava così tanto che al ragazzo pareva di poterne vedere l'ugola fremere isterica, la donna gridava qualcosa di scandalizzato e, Felix non ne dubitava, scandaloso, mentre la gente dietro sussurrava e lo giudicava senza comprensione.
In piedi su quel padiglione lucido e illuminato dalle brillanti luci al neon, Felix era a una gogna fatta su misura per lui.

Sentiva la palpebra destra fremergli per il nervosismo e il sudore scivolare giù per la schiena. Se avesse stretto ancor di più la mascella era sicuro che gli si sarebbero spaccati i denti.
Intrappolò un lembo della propria camicia in un pugno sudato e vi fece affondare le unghie.

"Andatevene tutti a 'fanculo" sputò alla fine, per poi allontanarsi a testa alta e furibonda.
















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