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Nessuna conseguenza, nessuna coscienza

Felix, tanto per cambiare, era profondamente infastidito.
Provava un bruciante dispetto al pensiero che qualcuno potesse avere la presunzione tale da rinchiuderlo in un dannatissimo gigantesco recinto come un macaco allo zoo.
Il cuore gli pompava irritazione al posto del sangue.
Chiunque fosse stato lo stronzo ad avere quella gran bella idea di merda gliel'avrebbe pagata cara, di questo era convinto.

Girò appena la testa e guardò attraverso il lunotto, giusto per rincarare la dose di rabbia che gli gorgogliava sotterranea nel petto. Erano ripartiti da poco, dopo una manovra priva di qualsiasi grazia, ed era quindi ancora possibile scorgere con chiarezza la cancellata.
Se ne stava lì, sprezzante e derisoria. A Felix pareva che ogni maglia di quel reticolato metallico fremesse al ritmo di un crudo scherno.
Tutta la situazione era così paradossale che si sentiva stupido anche solo per il fatto di starla prendendo così seriamente. Ne consegue che iniziò ad arrabbiarsi pure per il fatto di essersi arrabbiato.
Raddrizzò il capo facendo schioccare con stizza la lingua sul palato.

La pioggia tamburellava sul tettuccio, sui vetri, sulla strada che scorreva sotto gli pneumatici e sulla fragile tolleranza di Felix. Picchiettava dappertutto con quel suono assillante, ininterrotto e fastidioso capace di far saltare anche i nervi più saldi. Simile per ritmo e seccatura al martellare degli immancabili vicini del piano di sopra o del rubinetto che gocciola dalla cucina nel bel mezzo della notte.
Felix non lo sopportava più. Avrebbe strozzato le nuvole, se fosse stato possibile.

Si costrinse a prendere un profondo respiro e si impose di smetterla di interpretare ogni stimolo esterno come un'offesa personale. Si premette entrambe le mani sugli occhi e, guardando quell'abisso formicolante che era l'interno delle sue palpebre chiuse, rifletté che la cosa più frustrante di tutta quella situazione era non avere nessuno di specifico da incolpare. Non un capro espiatorio contro cui inveire, non una maledetta faccia da potersi immaginare di prendere a schiaffi.
Quella era proprio una schifosissima scocciatura.
Il sedile vibrava in quel modo borbogliante e cavernoso che ricordava le fusa di un gatto. Felix non riusciva a decidere se la cosa lo nauseasse o se avesse un che di rilassante. Probabilmente tutte e due.

Quando riaprì gli occhi, passandosi poi le dita fra i capelli ancora bagnati, si ritrovò a fissare un lembo della sua camicia viola. Da quanto accidenti era che non si cambiava? Una settimana?
Si sentì un po' come quei personaggi dei cartoni animati che indossavano sempre gli stessi identici vestiti.
Ormai era come se parte della sua stessa maledettissima identità fosse indissolubilmente costituita da quella puzzolente camicia viola e da quei corti pantaloni malconci che aveva addosso. Sarebbe stato ancora lo stesso Felix se fosse stato vestito in modo diverso?

Nella fessura fra i due sedili anteriori vide passare il braccio sinistro di Samantha. Con un dito indice dallo smalto scrostato la ragazza premette il tasto della radio.

L'abitacolo smorto della macchina si riempì di alcune note vacillanti su cui gracchiava un'incarognita voce maschile.
Samantha iniziò a scuotere maldestramente la testa.
"I'm going down, di uno che si chiamava Bruce Springsteen," annunciò orgogliosa, "del 1984."

Alexander mosse appena lo sguardo, annuì impercettibilmente e tornò a guardare con volto inespressivo fuori dal finestrino.
Felix lo osservò con attenzione. Era a poca distanza da lui, i profondi occhi castani persi nella pioggia e la schiena abbandonata nel sedile.
Sembrava calmo, ma, da come le unghie mangiucchiate erano affondate nella carne diafana del braccio, non doveva esserlo affatto.

Il segnale della radio diveniva di secondo in secondo più disturbato e presto si ridusse a una serie di strani suoni crocidanti e di stridii elettrici. Esme staccò con cautela una mano dal volante e la spense.

Una delle cose che Alexander aveva inconsapevolmente insegnato a Felix era che, in genere, chi non sembra provare mai dolore non è che non ne provi davvero, ma ha solo vergogna di mostrarlo. Così come spesso esiste la calma di facciata.
Ed era proprio quella dietro cui Alexander si stava probabilmente barricando.
Felix sublimò il proprio timido desiderio di afferrare la mano contratta di Alexander per stringerla fra le proprie dandogli invece una pacca sulla spalla.
"So che non ci crederete mai, ma io ho fame" disse quindi, in parte per tagliare la tensione, in parte - e soprattutto - perché era vero.

Alexander parve riscuotersi dai suoi impenetrabili turbamenti e si voltò verso Felix, che ritrasse senza fretta la mano, contento di averlo almeno distratto.
"Sapete quanti soldi ci sono rimasti?" domandò dubbioso.
Felix si strinse nelle spalle, incapace di fornire una risposta: a volte si dimenticava che ci volevano i soldi per vivere.
"Li conto io!" trillò Samantha, prima che qualcuno potesse aggiungere qualsiasi altra cosa. Detto questo, prese di mira le banconote accartocciate sul cruscotto come carta straccia e si allungò per afferrarle, facendo cigolare la cintura. Felix, dal canto suo, si era rifiutato di mettere quell'infernale banda nera: lo comprimeva, gli grattava la pelle e gli impediva qualsiasi movimento.
Tanto valeva farsi legare come un grottesco insaccato e farsi gettare nel baule, pensava con grande rispetto della sicurezza stradale.

"Venti, quaranta..." iniziò a cantilenare Samantha, passandosi i soldi fra le mani, come un impacciato usuraio, "Cinquanta, almeno credo, e...Oh! Non avevamo anche qualche monetina?"
Esme annuì e rallentò progressivamente per sfilarsi con la mano destra un gruppetto di monete dalla tasca e farle tintinnare nel palmo di Samantha.
Per eseguire quell'operazione si distrasse e la macchina sbandò per qualche adrenalinico microsecondo.
Felix sbuffò col naso quando ripresero il controllo: quella guida da nonnetti cominciava a stancarlo.

"Quanto fa cinquantadue più quattro?" domandò Samantha, sfregandosi sulla testa una moneta da un euro.
"Cinquantasei" rispose senza pensare Alexander, stretto alla cintura che gli sfregava logora sul petto.
Nello sguardo che Felix gli stava rivolgendo già da un bel pezzo si insinuò un nuovo carico di ammirazione. Ovviamente sapeva che si trattava di un calcolo ridicolmente banale, ma, comunque, lui non sarebbe mai riuscito a farlo con così tanta prontezza. Del resto, lui e i numeri andavano d'accordo come la Russia e gli Stati Uniti negli anni della Guerra Fredda.
"Giusto, abbiamo quindi ancora cinquantasei euro" dichiarò a quel punto Samantha, "Caspita, possiamo comprarci un sacco di roba!"

Esme, in risposta, emise un brontolio di dissenso e tornò a segnare con il dito la spia che li invitava a fare benzina.
Felix sbuffò nervoso: aveva capito bene? I soldi con cui si sarebbe potuto comprare una bella cenetta andavano spesi per ricaricare quel rottame?
"Ma cazzo!" sbottò muovendo le mani in uno spasmo di nervosismo, "Costa così tanto?"
Alexander lo guardò con un'espressione sinceramente mortificata e annuì mesto, quasi fosse stata colpa sua o se ne stesse addossando, in qualche modo, la responsabilità.
Quel cipiglio grave e di profonda desolazione spiazzò Felix.

"Ve be', non importa," disse quindi, "Penso che potrò resistere per qualche ora in più anche senza cibarmi di qualcuno di voi."
L'altro ragazzo rise sommessamente, almeno finché lo stomaco reclamante di Felix non smentì quanto il suo proprietario aveva appena affermato e trasformò il sorriso di Alexander in un corruccio pensieroso.

Samantha, nel mentre, aveva riacceso furtiva la radio, ma la situazione non era cambiata per niente e quello che proveniva dallo stereo poteva essere tutto tranne che musica. Esme la rispense.

"Ehm, stavo pensando..." iniziò con voce incerta e occhi bassi Alexander, "Cioè, ecco, ho notato che anche dopo tutto quello che abbiamo... tutto quello che ci siamo visti costretti a fare, la polizia - come dire - non è mai venuta."

Fece una pausa. Uno pneumatico dovette entrare in una grossa pozza a lato della strada perché dei violenti schizzi d'acqua si scagliarono contro i finestrini.

"Cioè," continuò, con l'attenzione di tutti i compagni addosso, "È come se tutto ciò che facciamo non avesse...ecco...non avesse conseguenze."
Felix non ci aveva mai fatto caso: d'altra parte tendeva a ignorare comunque le conseguenze delle sue azioni. Tuttavia non dovette pensarci molto per rendersi conto che era vero. E qualcosa nello sguardo che Alexander gli lanciò in quel momento gli fece capire dove il discorso del ragazzo stava andando a parare.

"Quindi," continuò Alexander, tornando a studiarsi le mani che gli si torcevano in grembo, "Non so come dire..."
"Quindi anche se ci intaschiamo qualche merendina e ci fiondiamo attraverso l'uscita senza acquisti, non dovremmo ritrovarci nel retro di una volante" concluse Felix, risparmiando al compagno la pena di dover suggerire un furto.

Alexander gli rivolse un sorriso che era un misto di imbarazzo e gratitudine.
Dal posto in cui era, Felix poté intravedere il profilo di Esme tirarsi in un sogghigno divertito e muoversi in un cenno di assenso.
"Buona idea!" esclamò Samantha, girandosi con occhi spiritati verso di loro, "Ricordo che c'era qualcosa tipo uno spaccio alimentare all'inizio della strada."

Era bello che nessuno di loro prestasse mai ascolto alla propria coscienza, sempre ammettendo che gliene fosse rimasta una.

Non ci vollero più di cinque minuti per raggiungere l'inizio della strada e confermare il ricordo di Samantha.
Esme rallentò fino a fermarsi, parcheggiando a pochi metri di distanza dal negozio. Sembrava poco più grande di una tabaccheria e le vetrate bersagliate dalla pioggia erano ricoperte di insegne, pubblicità e cartelli che Felix non perse tempo a leggere.
Lo scrutarono pensierosi per qualche istante.

"Entriamo tutti?" domandò infine Alexander.
"Be', questa è una cosa che non mi perderei per nulla al mondo" rispose Felix con una certa sbruffonaggine nella voce.
Samantha annuì con forza. "Vengo anche io!"
Esme scosse invece la testa, indicò sé stessa e batté la mano sul volante. Effettivamente, se tutto non fosse andato come previsto, era bene avere qualcuno che fosse già pronto a mettere in moto la macchina.
"Oh sì! Come nei film sulle rapine!" tornò ad esclamare Samantha con vandalica contentezza.

Aprirono le portiere.
Felix uscì dall'automobile quasi con un balzo: finalmente poteva tornare a distendere le gambe. Diamine, quella macchina era minuscola!
Il tempo si era dato una calmata, il vento si era placato e, nonostante continuasse a piovere, si trattava ora di una pioggia fine e tutto sommato silenziosa.
Da dentro la macchina, Esme li seguì con lo sguardo e alzò il pollice in segno di incoraggiamento.

Felix le rispose con lo stesso gesto e si avviò, subito seguito da Alexander e Samantha. Le suole delle loro scarpe pesticciavano sull'asfalto scivoloso, producendo dei vaghi suoni che si perdevano nell'aria salmastra.
"Non c'è come aria di mare?" domandò infatti Samantha, le mani protese sulle lenti degli occhiali per proteggerle dalla pioggia lieve.
I due ragazzi annuirono sovrappensiero mentre giungevano alla porta vetrata del negozio.

"Gridiamo qualcosa come o la borsa o la vita?" continuò entusiastica Samantha, "Oppure questa è una rapina?"
Nonostante una parte non poi così nascosta di Felix era molto propensa ad accogliere quei suggerimenti, il ragazzo scosse la testa.
"Ma va', " disse, "Dobbiamo mantenere un profilo basso. Entriamo, prendiamo la roba che ci serve e poi ce la filiamo."
Alexander annuì.
Felix lo guardò bene: non avrebbe mai voluto trascinarlo in qualcosa che non si sentiva di fare. Se avesse scorto del rimorso nei suoi imperscrutabili occhi gli avrebbe proposto di stare fuori a fare il palo. Tuttavia il ragazzo sembrava determinato.
Ormai ci doveva essere abituato, rifletté.

I tre si guardarono reciprocamente e su muto accordo si decisero ad entrare.
Felix spinse la porta. Non si mosse.
Sbuffò scocciato.
"Guarda che c'è scritto tirare" lo informò Samantha.
"Seh, l'avevo intuito" replicò secco Felix, questa volta tirando la porta.

Si addentrarono quindi nel negozio, che annunciò il loro ingresso con uno scampanellio.
Era piuttosto buio, decisamente piccolo e tutti i prodotti erano stipati in quei pochi scaffali in legno chiaro che c'erano.
In fondo si vedeva il bancone, sormontato da scomparti ricolmi di gomme da masticare confezionate, e dietro di esso si distingueva una donna. Forse la proprietaria, forse una semplice dipendente, Felix non si pose il problema.

"È qualcuno che abbiamo già incontrato?" mormorò Alexander alludendo alla donna.
Felix e Samantha la studiarono con attenzione. Aveva un paio di occhiali tondi, la cui montatura gialla contrastava con la pelle color ebano e se ne stava indifferente a leggere un volumetto dalle pagine sgualcite.
A Felix non parve di averla mai vista, ma di solito non prestava molta attenzione alla gente che lo circondava.
"No, non credo" rispose Samantha, risistemandosi gli occhiali che le erano scivolati sul naso.
La donna, a quel punto, alzò gli occhi dal libro, registrò la loro presenza senza interesse e tornò alla sua lettura. Il negozio, per il resto, era deserto e silenzioso.
Solo il fruscio delle pagine che venivano girate echeggiava fra i ripiani.

Nei minuti successivi i tre ragazzi si aggirarono come teppistici spettri fra i pochi scaffali.
Felix lo fece mantenendo una smorfia di suprema insoddisfazione sul volto, infastidito dalla scarsa scelta di prodotti che quel postaccio offriva.

Alla fine si prese tre pacchetti di patatine e un pacco di focacce preconfezionate. Non c'era molto altro di pronto al consumo.
Avrebbero dovuto trovarsi un posto meno di merda, pensò sbuffando.

Individuò gli altri due dalla parte opposta del negozio: Alexander aveva preso due bottiglie, che reggeva fra le braccia come fossero bebè, mentre Samantha stringeva qualche pacco di biscotti.
Felix agganciò quindi il proprio sguardo in quello di Alexander e, con un cenno del capo, gli indicò la porta. L'altro ragazzo sostenne il suo sguardo per qualche secondo, per poi annuire e bisbigliare qualcosa a Samantha, fino a quel momento intenta a studiare una mensola piena di sughi.
I tre ragazzi iniziarono a convergere verso la porta, ostentando un'innocente nonchalance.
"Bisogna spingere o tirare?" domandò Felix, che a quel quesito tendeva a dare sempre la risposta sbagliata.
"Spingere credo" gli rispose Alexander, lanciando un'occhiata preoccupata alla volta della donna.

Fu Samantha, inaspettatamente, a confermare quell'ipotesi. Si appoggiò infatti con la schiena alla porta e fece pressione finché non l'aprì.
Aria umida e goccioline di pioggia si fecero strada nel negozio.
"E ora?" domandò Samantha.
Felix la guardò sbigottito. "Via, cazzo!"
La ragazza lo fissò con aria tonta per qualche secondo più del dovuto, dopoché proruppe in un enfatico "oh". Si scollò dalla porta e scalpicciò veloce sotto il cielo lacrimante.
Felix bloccò con il piede la porta.
"Vai prima tu" disse ad Alexander. Questi alzò gli occhi verso di lui, con un certo stupore.
"Grazie" farfugliò, prima di sgusciare svelto fuori dalla porta. La sua spalla sfiorò quella di Felix.
Quest'ultimo lo seguì subito a ruota.
Nell'allontanarsi udì un "ehi!" provenire dal fondo del locale: la donna si era ovviamente accorta. Tuttavia era l'esclamazione meno esclamante che Felix avesse mai sentito, nulla più di un rimprovero di circostanza.
Il ragazzo non ci diede quindi troppo peso e si allontanò a passo sostenuto attraverso l'aria frizzante.

Raggiunse gli altri e si infilarono tutti nella macchina, che Esme aveva già messo in moto. Ripartirono con un leggero rombo.
Samantha non aveva perso tempo e stava già raccontando tutta quella breve e patetica avventura all'amica.
"Siamo entrati! Però c'era una donna che ci scrutava, ma noi siamo riusciti comunque a eludere la sua sorveglianza e..."
Felix smise di ascoltarla, si stravaccò sul suo sedile e aprì con un gesto secco un pacchetto di patatine. Lo tese ad Alexander, che si aprì in un vago sorriso e acconsentì a prenderne qualcuna.
"Be', e ora che facciamo?" domandò Felix, interrompendo Samantha, "Ci fermiamo a mangiare o andiamo a fare quel cavolo di rifornimento?"

Fu la macchina a decidere per loro.








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