Marmellata sui denti e piani di fuga
Alle dieci e quarantacinque esatte il cervello di Samantha ritenne di aver oziato abbastanza e quindi - con una serie di scariche elettriche ben assestate - costrinse anche il resto del corpo a divincolarsi dalle impalpabili braccia di Morfeo.
Samantha proruppe in un prolungato mugugno e socchiuse le palpebre. Per un minuto pieno osservò vitrea la porzione di salotto illuminato che le si offriva sfocata alla vista.
Quando finalmente si convinse di esistere, la ragazza si stropicciò gli occhi incrostati di caccole e l'ultimo rantolo di un sogno che c'entrava con un'impresa coloniale, un paio di granchi bolliti e il cantante dei Duran Duran si perse nell'oblio della memoria a breve termine.
La ragazza strisciò un braccio sul pavimento alla ricerca degli occhiali abbandonati lì nei dintorni finché non riuscì a scovarli lasciandovi una nitida ditata sulle lenti. Se li sistemò sul volto riposato, si tirò a sedere sul materassino scalcagnato dove aveva dormito e sorrise al nuovo giorno. Si sentiva piena di energie.
Dalla tapparella alzata per metà entrava la luce indolente della tarda mattinata, che sgusciava poi sul materasso vuoto sottostante e si impigliava fra i pelucchi rossicci del tappeto. Con gesti pieni di vanità, Samantha si lisciò la camicia da notte che le aveva prestato Sen e che la riempiva di borioso amor proprio. Certo, un po' le mancava il suo fidato vestitino azzurro, ma quella sottoveste inutilmente elegante non aveva difficoltà a consolarla.
La ragazza si stropicciò nuovamente gli occhi. C'erano solo lei ed Esme nel pulviscolo ambrato del piccolo soggiorno ed Esme dormiva ancora della grossa raggomitolata sul divano. I suoi respiri profondi vibravano nell'aria tiepida e quieta.
Dal corridoio non proveniva nemmeno un suono mentre dalla cucina si udiva un sommesso parlottio.
Dato che in quelle condizioni Esme non era una gran compagnia, Samantha sospirò rassegnata e con un movimento piuttosto disarticolato si alzò in piedi. Rimirò ancora un po' il raso lucente in cui era avvolta e che le dava tutto l'aspetto di una ricca ereditiera che abbia appena perso il marito in circostanze misteriose. Tutta piena di sé barcollò quindi fino alla cucina, dal cui varco proveniva un rettangolo di luce chiara.
Chissà quante delizie si celavano dietro ai pensili smaltati o dentro al cuore gelato del frigorifero, si disse trepidante.
Quando la ragazza posò finalmente i suoi piedi scalzi sul linoleum della cucina, trovò Alexander e Felix intenti a confabulare seduti al tavolo. Avevano le teste tanto vicine da sfiorarsi e ognuno era così annegato negli occhi dell'altro che Samantha dovette esplodere nel più vivace dei suoi "buondì!" per attirare la loro attenzione.
Felix ruotò il capo di scatto e la guardò di sbieco, mentre Alexander - dopo un contenuto sussulto - le rivolse un impacciato cenno di saluto.
A Samantha dispiacque un po' averli disturbati: non era certo una sciocca lei e, sebbene non si fosse mai innamorata e avesse tutta l'intenzione di continuare a non farlo, subodorava il lezzo dell'amore come un maiale fa con i tartufi. Tuttavia era anche vero che i due ragazzi, nonostante la sottile ostilità con cui l'avevano inizialmente accolta, sembravano entrambi di ottimo umore e che Samantha aveva un languorino non trascurabile. Per queste ragioni il dispiacere della ragazza durò quanto un rutto e si dissolse con la medesima immediatezza.
"Voi avete già mangiato?" chiese quindi. La finestra era spalancata e il sole inondava la stanzetta nel modo più impudico possibile. L'odore di candeggina aleggiava insieme a quello di detersivo per piatti al limone fra i pensili ben strofinati.
Felix si grattò una spalla sotto la manica grigia della maglia e scosse la testa. "No, diamine. E ora che mi ci fai pensare mi è venuta una fame assurda."
Samantha non perse tempo e si diresse verso il frigorifero a silenziosi passi scalzi. Strinse la maniglia di acciaio con entrambe le mani e, utilizzando la stessa forza che avrebbe messo per scardinare una porta blindata, lo spalancò.
La diafana luce interna miscelata a una folata di gradevole frescolino le investì il viso deluso: delle meraviglie che si era aspettata non ce n'era nemmeno mezza. Aveva infatti sperato di imbattersi in montagne di panna montata, torri di fragole zuccherate, pianure di cioccolato e dolci declivi di torte al pistacchio. Invece niente. In eremitaggio fra i ripiani freddamente illuminati si scorgevano a malapena due cartoni di latte della più economica delle sottomarche, una triste confezione di uova, qualche formaggio puzzolente, alcune vaschette di carne dall'aspetto un po' troppo arancione, una sfavillante sfilza di lattine di birra e poco altro.
Le spalle di Samantha, già afflosciate dall'amarezza, furono bersagliate anche dalle voce impaziente di Felix che le chiese: "Allora? Cosa diavolo c'è lì dentro?"
La ragazza richiuse il frigorifero, si voltò e fece spallucce. "Nulla, a meno che voi non abbiate per caso delle eccellenti doti culinarie."
Alexander arricciò le labbra e scosse la testa. Felix invece indicò sé stesso con entrambe le mani e sbottò: "E me lo chiedi pure? Avete davanti a voi il mago del microonde".
Alexander ridacchiò sollevando le sopracciglia in un'espressione scherzosamente impressionata mentre Samantha si imbronciò, improvvisamente rabbuiata.
"Io di quell'aggeggio infernale non voglio proprio sentire parlare," disse con perentoria cupezza. L'unica volta che aveva avuto l'audacia di usare un microonde era stato per scaldare una cioccolata calda, tuttavia qualcosa era andato storto e quando aveva riaperto il portellino la ragazza aveva trovato cioccolata dappertutto tranne che nella tazza. E così sulle sue esigenti papille gustative non si era impresso l'afrodisiaco aroma del cacao, ma il sapore acre della frustrazione. Da allora aveva giurato a sé stessa che mai avrebbe rimesso il proprio cibo in una di quelle diavolerie.
Tuttavia non ci volle molto perché tiepidi fili di vento serpeggiassero fra le ante aperte, soffiando via ogni residuo di cupezza dal viso di Samantha.
"Ma sei... sei sicura che non ci sia proprio nulla? Perché, ecco, prima di uscire Sen a noi ha detto di aver lasciato qualcosa," mise insieme Alexander sfregandosi pensieroso un braccio.
Felix annuì dondolandosi sulla sedia scricchiolante. "Già," convenne, "Controlla meglio, su."
Samantha fu tentata di offendersi per la scarsa fiducia e la marcata supponenza, tuttavia lei in primis spesso dubitava un po' delle sue percezioni e quel giorno si sentiva buona. Si limitò quindi a sbuffare e a riaprire il frigo. Lo stesso paesaggio desolato la ricolpì con uno schiaffo freddo, ma lei non demorse. Si sollevò in punta di piedi e mise a soqquadro un po' tutto con le braccia addentrate in quei meandri refrigerati. Dopo una ricerca caotica e imprecisa, spostò le lattine giuste e le riuscì di trovare un barattolino appiccicaticcio di marmellata alle fragole.
Si girò vittoriosa proprio nel momento in cui Esme faceva il suo ingresso in cucina con i capelli spettinati e ancora semiaddormentata. Samantha si assicurò di stringere per bene il barattolino di confettura e richiuse il frigo.
"Ciao, Esme!" salutò quindi allegra, "Capiti proprio a fagiolo! Sai dove si nascondono il pane o quelle cose lì?"
Esme le rivolse uno sguardo aggrottato e si passò le mani sul viso, nel tentativo di scacciare il broncio insonnolito e l'intontimento. Fuori dalla finestra proveniva il borbottio della mattina, con i suoi uccellini cinguettanti, i tenui rombi delle rare vetture e le tapparelle riarrotolate.
Esme si profuse in un lungo sbadigliò e studiò la cucina con gli occhi strizzati per la troppa luce. Alla fine fece qualche passo e aprì un paio di credenze finché non riuscì a estrarre un pacco di fette biscottate.
Samantha squittì di gioioso trionfo e, dopo che Esme ebbe preso anche un coltello da burro abbandonato nel lavello, seguì l'amica al tavolo e si sedettero entrambe.
"Speravo in qualcosa di meglio, ma ci si accontenta," sbuffò Felix guardando le fette biscottate tutte sbriciolate che sfilavano fuori dalla confezione.
Sul tavolo in legno chiarissimo erano sparpagliate quattro tovagliette grigie ed esattamente in mezzo era posizionata una ciotola di frutta. Mentre Esme si occupava di spalmare la marmellata, Samantha osservò con fascinazione quella caraveggesca natura morta. Contò tre albicocche troppo mature, una famigliola affiatata fatta da quattro banane maculate di marrone, due limoni butterati e una mela dalla buccia opaca.
La lama smussata del coltello tintinnava nel vetro del vasetto e sfregava sulle fette biscottate, che si sgretolavano sul tavolo fornendo le note finali di quella sinfonia dal tepore casalingo.
"Ma quindi voi due avete visto Sen questa mattina?" domandò Samantha realizzando improvvisamente le parole di Alexander.
Il ragazzo annuì.
"Stava uscendo, ma non ha detto a fare cosa," spiegò mentre Felix accanto a lui confermava con cenni del capo.
"E il signor Igor dov'è?" tornò a chiedere Samantha. Quell'uomo le stava molto simpatico e le era dispiaciuto non averlo potuto salutare con un brioso buongiorno.
"Il signor Igor sarà nella sua diavolo di officina," rispose Felix continuando audacemente a dondolarsi sulla sedia.
Esme sbadigliò nuovamente mentre proseguiva a spennellare le fette biscottate di marmellata rossa.
L'ultimo grumo di confettura si esaurì in una striscia zuccherata prima che potessero riempire più di otto fette. Se le divisero e iniziarono a mangiare.
Sgranocchiarono la loro modica colazione nella pigra dolcezza di quella mattinata estiva, senza bisogno di dirsi nulla in particolare. Le fette si frantumavano a ogni morso in decine di briciole dure che grandinavano sulle tovagliette e la marmellata lasciava il suo marchio scarlatto sulle labbra e sui denti. Da fuori si udì il portone stridere arrugginito e richiudersi con un tonfo cupo.
Se loro quattro avessero avuto visi più telegenici, pigiami più carini e sorrisi più artificiali, quella scena sarebbe stata una candidata perfetta per uno spot di biscotti, sospirò fra sé Samantha deglutendo anche l'ultimo croccante boccone. Tornò quindi a rimirare la frutta con intensa concentrazione. Non che le sembrasse particolarmente buona, ma quanto le piacevano i colori!
D'un tratto, fra i sederi rubizzi delle albicocche intravide Alexander ed Esme muovere le mani in un gesto di saluto. Curiosa, Samantha staccò gli occhi dalla canestra di frutta marcescente e proruppe in un gioioso "oh!".
"Ehi," li salutò Sen di rimando, avanzando nella piccola cucina. Aveva i capelli legati in una coda bassa, un vestito cremisi stropicciato e le braccia occupate da due bitorzoluti zaini verde oliva.
Si avvicinò al tavolo accompagnata da un lieve profumo di lillà e con un sospiro vi appoggiò in mezzo gli zaini. Questi produssero un tonfo pesante quando vennero depositati fra le briciole e dal loro interno si udì un'accozzaglia di roba sbattere insieme.
"Cosa c'è lì dentro?" ficcanasò Samantha sporgendosi sul tavolo.
Sen si passò il dorso di una mano sulla fronte come per detergersi dal sudore di cui però non c'era traccia.
"Della roba che vi potrebbe servire," rispose aprendo il frigorifero per estrarne una lattina di birra, "Borracce, cibo in scatola o comunque pratico e a lunga conservazione, cerotti, assorbenti, fazzoletti, un paio di coperte e altre cose così." Le sue unghie laccate alla perfezione aprirono senza sforzo la lattina.
"Caspita, come la borsa di Mary Poppins!" esclamò Samantha, che di quel film si ricordava tutte le canzoncine a memoria.
"Sì, una specie," rise Sen, dopo aver bevuto un sorso, "Ho pensato di fornirvi anche documenti falsi, ma sinceramente dubito che qui ci sia qualche ultrasettantenne pratico di contraffazione."
A queste parole Felix fece schioccare la lingua sul palato e brontolò un amareggiato "peccato".
"Perché ci stai dando queste...queste cose?" domandò dubbioso Alexander osservando Esme che scorreva la zip di una delle tasche più esterne dello zaino per curiosarci dentro.
Sen sgranò gli occhi che sembravano contenere non iridi, ma pece liquida e sbottò: "Come perché? Perché da qui ve ne dovete andare".
Samantha sentì il proprio cuoricino ridursi in un farinoso mucchietto di dispiacere.
"Il signor Igor si è stufato di averci in casa sua?" chiese a occhi bassi.
Sen arricciò il naso e corrugò le sopracciglia sottili. "Ma no! Buon Dio, non intendo via da qui nel senso di via da questa casa, ma via da questo paese. E sì, comporta anche via da questa casa, ma non è quello il punto!"
Il cuore di Samantha si riassemblò e tornò a palpitare di sollievo.
"Seh, va be'," sbuffò Felix, "E dove diamine dovremmo andare?"
"Uh, giusto," borbottò Sen appoggiando la lattina ancora mezza piena sull'orlo del lavello. Si riavvicinò quindi al tavolo e armeggiò con uno degli zaini finché non ne ricavò un foglietto accuratamente ripiegato. Fece un po' di spazio e dopo una sequenza di scrocchi di carta distese il foglio.
"L'ho fatta stampare in biblioteca," spiegò tenendo le braccia saldamente appoggiate sul tavolo, "Per essere precisi me l'ha data la bibliotecaria che aveva l'accesso al sito del vostro amico. È la mappa del paese."
In un solo fulmineo movimento, le loro quattro teste si strinsero sulla pagina. Sospesa nel bianco della carta stampata stava una patacca frastagliata che a Samantha fece pensare a una frittella, una di quelle un po' deformi che aveva visto girare al luna park. Era in bianco e nero, piuttosto sgranata e percorsa da un fitto reticolo di stradine.
"Noi siamo qui." Sen appoggiò un dito sottile in un punto anonimo in mezzo a quel pasticcio. "Voi dovete andare qui e - mmh, aspettate." Frugò nuovamente in una tasca dello zaino e in poco tempo sfoderò una penna a sfera blu.
"Tu che sei la più responsabile," disse indicando Esme, "Guarda attentamente. Dovrete passare per di qua, prendere quest'altra strada e seguirla fino a che non sarete arrivati qui." Aveva accompagnato quella sommaria spiegazione con un tratto di biro che attraversava zigzagando il paese, procedeva dritto per un bel pezzo e terminava con un grosso cerchio in un punto sul bordo più estremo.
"E cosa stracazzo c'è lì?" proruppe Felix, che per riuscire a vedere aveva proteso gran parte del busto sul tavolo ingombro.
Sen richiuse la biro e fece uno dei suoi sorrisetti ironici. "Vi lascio il piacere della scoperta."
"E ti pareva," sbuffò Felix riabbandonando il bacino sulla sedia con un tonfo secco.
Esme invece studiò ancora per qualche secondo la mappa, annuì meditabonda e ripiegò il foglietto, rinfilandolo nello zaino.
"Ma quindi ce ne andiamo e... e basta?" domandò incerto Alexander, del quale Samantha vedeva solo la testa sporgere scettica fra gli zaini cicciotti.
Sen, che nel frattempo era tornata alla sua lattina di birra, si strinse incurante nelle spalle rotonde. "Eh, sì. Capite bene che a volte fuggire è l'unica cosa coraggiosa da fare."
Nonostante Samantha cominciasse ad avvertire i primi formicolii di esaltazione per quel piano di fuga, qualcosa le impediva di sentirsi pienamente euforica. Del resto, la sua immaginazione traviata da Hollywood l'aveva portata a immaginarsi una conclusione diversa. Magari una fatta di esplosioni, elicotteri in fiamme e salti in slow motion.
Si grattò delusa la punta del naso e chiese: "Perché non sventiamo invece il suo piano malvagio?"
Felix smise di ripulire il coltello della marmellata con la lingua e la fissò interdetto.
"Perché non siamo eroi e non possiamo pretendere di esserlo," sbottò per riprendere subito dopo a raschiare il fondo del barattolo con la punta del coltello. "Ricordi quello che ha detto quel tizio? Siamo solo quattro sfigati che vengono scelti per ultimi quando si fanno le squadre di pallavolo."
Esme ridacchiò e si profuse in un brontolio di assenso.
Samantha tuttavia non era ancora convinta. Voleva l'epico scontro con il cattivo. Voleva il vento che le scompigliava reverenziale i capelli, un duello all'ultimo sangue e un raggio di sole che spaccava la torbidezza del cielo solo per illuminare lei e la sua vittoria.
"Ma io volevo la grande battaglia finale!" si lamentò quindi.
Felix si rassegnò ad abbandonare il vasetto ormai ripulito e fece una smorfia.
"Notizia dell'ultima ora," sbuffò, "Nella vita non ci sono grandi battaglie, ma solo tante piccole sconfitte." I suoi occhi però scivolarono alla sua destra, dove c'erano Alexander che lo contemplava assorto e i resti della colazione. "Va be', sì," aggiunse quindi a mezza voce, "Anche qualche immeritata vittoria una volta ogni tanto."
Samantha si imbronciò: a quanto pare non avrebbe mai avuto nessuna travolgente musica ad archi e nessuna sanguinosa lotta titanica a colorare di drammatica epicità la sua esistenza.
"Sì, ma che schifo," sentenziò lapidaria.
Sen alzò gli occhi al cielo e mise la sua lattina nel lavello. "Buon Dio, a volte siete proprio pesanti, lo sapete?"
"Be', sai com'è," sogghignò Felix, "La vita fa schifo, ma io di più."
Alexander si lasciò sfuggire una risata e con ciò Felix mise in mostra la propria sfilza di denti macchiati di marmellata in un sorriso compiaciuto. Sen si esibì in un sospiro di provata pazienza e prese ad aprire ante e cassetti della cucina.
A quel punto Esme si rivolse alla donna, indicò gli zaini e domandò: "Quando?"
Sen, senza interrompere la propria ricerca, rispose: "Il prima possibile, questo pomeriggio per esempio potrebbe andare. Per ora il grande capo non si è ancora insospettito, ma non ci vorrà molto perché si accorga che non siete in giro a fare casini e -" Si grattò la testa accigliata, "Ma dove cavolo sono le mie barrette?"
Felix e Alexander si lanciarono un'occhiata colpevole e si sforzarono, senza molto successo, di reprimere una risata.
"E tu invece, Sen? Tu cosa farai?" si interessò Samantha.
Sen abbandonò sconfortata la propria caccia negli scaffali e si slegò i capelli con un gesto fluido. "Be', le cose che volevo scoprire le ho scoperte, stare qui ancora sarebbe inutile." Si ravvivò i capelli e infilò l'elastico al polso. "Tornerò dalla mia famiglia. Igor ha saputo che hanno iniziato a farli sloggiare non appena voi ve ne siete andati, ma fortunatamente la ruota panoramica è lunga da smontare e sono ancora al campo."
Samantha si illuminò: come le sarebbe piaciuto tornare da Vadoma e da tutti gli altri!
"E non possiamo venire anche noi con voi?" chiese quindi speranzosa.
Sen storse le labbra e scosse desolata la testa. "Sono guardati a vista, vi scoprirebbero subito."
I quattro annuirono con un velo di mestizia.
A quel punto, Felix batté le mani insieme e sbottò: "Be', quando si pranza?"
Sen diede una scorsa all'orologio che segnava l'ora di pranzo e scrollò le spalle. "Fra un po', aspettiamo che anche Igor torni. Dopodiché avrete tutto il tempo per andare in bagno, lavarvi e - uh, a proposito." Si stiracchiò la schiena. "Le vostre seconde pelli sono asciutte e pulite. Potete riprenderle o anche tenervi i vestiti che avete addosso. Scegliete voi."
I quattro ragazzi si rivolsero un'occhiata eloquente e non ebbero bisogno di dirsi nulla per prendere la loro scelta.
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