Le torride luci dell'alba
L'adrenalina gli scorreva nelle vene e martellava nel petto.
Respirava affannosamente cercando di riprendere fiato. Non aveva mai fatto nulla del genere.
La soluzione brillante di Felix era stata farli uscire dal locale, mentre lui distraeva il commesso fingendo di voler pagare. Li aveva poi raggiunti correndo come un pazzo e intimando loro di fare lo stesso. Si erano, quindi, abbandonati ad una corsa frenetica. Le suole delle scarpe che rischiavano di scivolare sull'asfalto vecchio.
Correndo alla cieca per quelle vie deserte, avevano raggiunto una sorta di parco pubblico. Si erano seduti su una panchina.
Si era aspettato un inseguimento, grida o minacce, ma nulla. L'unica cosa che aveva sentito era il sangue che gli palpitava esaltato nelle tempie.
Alexander iniziò a tirare respiri più profondi. Nel suo cervello, ebbrezza e rimorso se la giocavano a braccio di ferro.
Era entusiasta per aver preso parte ad un gesto così folle ed irresponsabile, ma anche, lo sapeva, per la consapevolezza di essere riuscito a mangiare di fronte ad altri. Non era una cosa che gli risultava tanto facile, di solito.
Tuttavia, era conscio che, se il tale del locale avesse chiamato la polizia, non sarebbe stato difficile trovarli e un po' si sentiva in colpa per aver rubato ad un posto che non doveva passarsela molto bene.
Forse non mi sarei dovuto lasciare coinvolgere, rifletté, asciugandosi il sudore dalla fronte con il dorso della mano.
D'altra parte, però, non ricordava di essersi mai sentito così...così vivo.
Era per quello, forse, che la gente rubava le auto, scriveva sui muri di ville costose, saliva sul treno senza biglietto o scappava di casa. Perché, cominciò a pensare Alexander, ci sono alcuni rischi che valgono la pena di essere presi. Perché, di fronte a quell'attimo in cui il cuore batte dappertutto e ci si sente in grado di fare qualsiasi cosa, anche dieci anni in prigione non fanno più così paura. Anche dietro le sbarre, dopotutto, serberai dentro per sempre quell'istante di onnipotenza.
Si riscosse da quei deliri moralmente dubbi, sentendo la gamba di Felix premere contro la sua. Non si scostò, del resto la panchina era molto piccola. O, per lo meno, questa fu la scusa che decise di raccontarsi.
Alexander spiò il ragazzo accanto a sé: lunghe strisce di sudore gli colavano dall'attaccatura dei capelli, aveva le guance arrossate e, grazie al cielo, la ferita alla mano non sanguinava più da un bel pezzo. Alexander proprio non sopportava la vista del sangue.
Samantha, intanto, stava borbottando qualcosa di inintelligibile, in cui si distinguevano solo degli esagitati "oh cielo!". Esme, sdraiata nell'erba color smeraldo di fronte alla panchina, fissava il cielo che iniziava ad annacquarsi, passando da blu a celeste. L'alba iniziò a diffondere capillari aranciati fra le nubi buie. Il cielo si tinse di rosa.
Alexander guardò il sole alzarsi fiacco e rilucere in un'aura color albicocca. Per qualche minuto, nell'aria sembrò aleggiare un pulviscolo dorato.
Era da un pezzo che non vedeva il sole sorgere, a pensarci bene, forse non lo aveva mai visto.
"Che bello" sospirò Samantha, dando voce ai pensieri di tutti.
I quattro rimasero in silenzio finché il cielo non si stabilizzò in un'uniforme azzurrina e il sole non iniziò a fare il suo lavoro. Gli uccelli iniziarono a cinguettare da qualche parte fra i rami degli alberi.
"Ora che si fa?" proruppe d'un tratto Felix, sbattendo le mani l'una contro l'altra.
Samantha staccò gli occhi dal cielo e li fissò con aria interrogativa sui compagni: "Andiamo alla polizia a chiedere se accade spesso che persone sconosciute si risveglino nei dintorni?".
Felix sbuffò: "Dopo aver preso parte alla distruzione di un distributore di snack ed essere scappato da un ristorante senza pagare il conto, gli sbirri sono senza dubbio l'ultima cosa che voglio vedere".
Alexander sorrise coprendosi la bocca con la mano, mentre Esme ridacchiò, per poi tirare su la schiena e mettersi a sedere. Indicò la via che avevano attraversato durante la fuga: la città sembrava iniziare ad animarsi. Si udiva, infatti, qualche rado motorino scoppiettare sulla strada, accompagnato dal suono delle tapparelle che venivano riarrotolate su loro stesse e delle saracinesche che venivano alzate con sonori rumori metallici.
"Potremmo cercare qualcuno che sappia dirci dove ci troviamo, o che ci presti un telefono" suggerì Alexander. In realtà, dovette ammettere a sé stesso che l'idea di contattare casa non lo faceva impazzire. A dirla tutta, non riusciva a trovare nessuna parte di lui che volesse farlo.
Anche gli altri, forse, la pensavano allo stesso suo modo, intuì Alexander, guardando come, a quelle ultime parole, un'ombra sembrò essersi calata sui loro volti.
"Ma sì, andiamo a scoprire in che razza di buco siamo capitati" disse alla fine Felix, alzandosi in piedi.
Finirono per girare a vuoto tutta la mattina.
Nel paese, che pure sembrava relativamente grande, non c'era la quantità di gente che ci si aspetterebbe da un centro urbano di medie dimensioni, mentre, sui rari cartelli, non era mai riportato il nome del comune. Coloro che passeggiavano per strada o li ignoravano o rispondevano evasivamente. Lo stesso i camerieri, i cassieri, i netturbini, i macellai e i panettieri.
Inizialmente a fare le domande era stato Felix, tuttavia tendeva ad innervosirsi piuttosto facilmente, dunque il compito era passato a Samantha, che, però, aveva cominciato a comportarsi come il detective caricaturale in un film di spionaggio di serie B. In altre parole, un fiasco totale.
Il profumo di caffè, che sgusciava fra le veneziane dei bar, aveva ormai ceduto il posto a quello dell'arrosto o della peperonata.
Era mezzogiorno inoltrato quando iniziarono a dirigersi verso la biblioteca. Esme ne aveva individuato il cartello, piccolo e sbiadito, all'angolo dell'ennesima anonima viuzza, e, ora, stavano seguendo quella vaga indicazione. Il sole splendeva ardente nel cielo estivo.
Ad Alexander sembrava che ogni millimetro quadrato della sua pelle sudasse. L'aria sopra all'asfalto nero o ai tettucci cromati delle macchine pareva deformarsi e tremolare.
Aveva sempre fatto così caldo? Vide confusamente Samantha sventolarsi le mani accanto al collo. Iniziò ad avvertire un dolore opprimente alla testa. Era forse dovuto a quel continuo ronzio che gli sembrava di udire?
Sollevò un braccio pesante per massaggiarsi la fronte. Un'ondata di nausea dolciastra lo investì quando si rese conto di avere la pelle bollente.
Aveva la bocca riarsa. Aveva bisogno di acqua.
La cercò fra le case in mezzo a cui camminavano. Vide solo indistinte macchie arancioni che sembravano volerlo stringere nel loro abbraccio rovente. Gli sembrava che i propri vestiti volessero soffocarlo.
Solo un goccio d'acqua. Le gambe erano piombo incandescente in quella fodera spessa che erano i suoi jeans.
Solo un filo di vento. Stava camminando in una ciotola di melassa. Lo stomaco gli si rigirò, ma la vertigine fu nella testa.
Intuì una nebulosa figura viola davanti a lui girarsi e chiedergli qualcosa che suonava come: "Stai bene? Cazzo, Alexan...".
Dopo fu tutto buio e il suo corpo sbatté con un suono sordo sui ciottoli caldi, ma lui, fortunatamente, non poté accorgersene.
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