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Il Tale e la sua Grande Rivelazione

La prima cosa che travolse Alexander, lasciandolo momentaneamente abbagliato, fu tutto quel colore. Colore che lo investì come una secchiata di vernice o un fiotto di luce splendente e intenzionato a bruciargli le retine.
Infatti, dopo la fredda penombra del resto della centrale elettrica, la stanzetta in cui Leandro li aveva appena abbandonati era un tripudio orgiastico di tonalità pimpanti, uno spettacolo pirotecnico di fuochi d'artificio che scoppiavano direttamente in faccia. Il pavimento era in un fiammante linoleum arancione, sul quale era posizionato con maniacale precisione un tappeto fatto di soffici peli in poliestere turchese. Contro le pareti intonacate di verde acido, era schiacciata una lunga scrivania ad angolo color glicine, sulla quale brulicava un complesso ecosistema di monitor accesi e schedari variopinti. Non c'erano finestre, ma le varie lampade sistemate con cura avevano paralumi color crema che davano alla luce un tono denso e mielato.

Nonostante fosse tutto estremamente pulito e impeccabilmente ordinato, l'impressione era quella di qualcuno che avesse preso un'accozzaglia di roba che gli piaceva, solo per poi raffazzonarla senza curarsi minimamente dell'effetto d'insieme. E quel qualcuno era lì, accomodato in una poltroncina girevole color cipria e li stava fissando con un largo sorriso. Aveva i denti bianchissimi, perfetti, notò subito Alexander, troppo belli per non essere incapsulati.

Il ragazzo non sapeva come sentirsi, se sollevato o deluso. Era la stessa confusa sensazione che aveva provato nel vedere Samantha sbucare dalle tenebre, quella notte nel campo di papaveri. Qualcosa che lo lasciava scombussolato e interdetto.
Nelle ultime ore, del resto, la sua immaginazione gli aveva alzato troppo le aspettative e non aveva fatto altro che fremere e partorire orribili prospettive, avvinghiandolo in un bozzolo di non meglio precisato turbamento. E ora si sentiva piuttosto frastornato.

Pensò, tuttavia, che quanto provava poteva essere verosimilmente sintetizzato dal suono gutturale - tipico di chi reprime una risata - in cui si esibì Felix in quel momento. Unica reazione che, dopotutto, sembrava adatta al tizio stravagante e compiaciuto che si ritrovavano davanti.

Loro quattro - silenziosi e guardinghi - guardavano lui, e lui - silenzioso e serafico - guardava loro quattro. Era completamente a suo agio, voleva che lo guardassero. 

La stanza era gravida di un profumo esasperato ai chiodi di garofano.

Alexander pensò che se si fosse trovato lui sulla poltroncina color cipria, analizzato da quattro sconosciuti taciturni e maldisposti, sarebbe stato ben lontano dall'esserne contento. Quel tizio invece si sollazzava della loro ostilità e crogiolava nel loro sospetto con lo stesso mellifluo istrionismo di un gatto a pancia in su in attesa di essere accarezzato.
L'uomo accavallò una gamba affusolata sull'altra. Il lucido tessuto blu dei pantaloni scintillò come metallo esibendosi in quel movimento. Nemmeno un cigolio sfuggì alla poltrona.
Si fece contemplare un altro po'.

Nella pelle del viso, levigata e uniforme come lattice, sfolgoravano due occhi così blu che quando Alexander riuscì a sbirciarli ebbe subito il sospetto si trattasse di lenti a contatto.
L'uomo mosse un braccio, ammantato nella manica impossibilmente bianca di una camicia inamidata, per sfiorarsi con le dita i capelli. Erano del colore delle bucce di patata e pettinati con la riga in mezzo in un'acconciatura che Alexander non avrebbe mai consigliato a nessuno. 
Compiendo quel gesto, l'uomo - apparentemente per sbagliò - si agitò gli orecchini che gli pendevano ai lobi. Raffiguravano quello che, a tutti gli effetti, pareva essere un cammeo di sé stesso intagliato in madreperla. Dopodiché, notando l'attenzione con cui loro quattro erano intenti a studiarlo, inclinò leggermente la testa in modo da mettere il più possibile in mostra la narice destra, dove gli baluginava un brillantino della stessa tonalità delle brache.

Non c'era dubbio, rifletté stordito Alexander, quello era lo stesso tizio rappresentato nella statua e immortalato in qualsiasi fotografia ci fosse in quella stanza. A quanto pareva, quell'uomo aveva iniziato il proprio privatissimo culto della personalità, il cui unico idolo era lui stesso e l'unico adepto sempre lui.

Il silenzio stava iniziando a farsi teso. Il tale continuava a fissarli lezioso e loro, in piedi e schierati l'uno accanto all'altro, sembravano quattro soldatini in attesa dell'ispezione mattutina. Si udivano le lancette di un orologio ticchettare da qualche parte e il condizionatore rimestava l'aria con un leggero riverbero.
Il silenzio si fece doloroso.

"Be', quindi sei tu il figlio di puttana?" sbottò alla fine Felix. Alexander sussultò, ma non poté fare a meno di rivolgergli un'occhiata piena di ammirazione, troppo colpito dal coraggio di quelle parole per considerarne anche l'impudenza. Esme si coprì la bocca per mascherare un sorriso.

Fu il turno dell'uomo di assumere un'espressione sbigottita. Lo smarrimento che gli sconvolse il volto da statua greca non durò molto però. Il tizio infatti prese un bel respiro, appoggiò le mani curate sui braccioli della poltroncina e si alzò con un movimento flessuoso. In poco tempo, era tornato a sfoggiare un'impeccabile maschera di compiacenza.
"Si dà il caso che io sia la mente dietro a tutto," disse con la voce nitida e ben modulata di uno speaker radiofonico, "E sarebbe cortese da parte vostra portarmi almeno un briciolo di rispetto."

Alexander continuò a sentirsi parecchio confuso, il profumo che impregnava la stanza gli invadeva le narici, e quindi il cervello, con un'intensità da capogiro. Per evitare di incrociare lo sguardo dell'uomo, gli piantò gli occhi sui piedi: indossava le classiche scarpe da ufficio, lustre e bianche.

"Oh! Ma quindi ci sei solo tu?" domandò a quel punto Samantha, con un pizzico di delusione che non si prese la briga di dissimulare.
L'uomo tirò indietro le spalle in una posa impettita.
"Esattamente," rispose.

Alexander si fece coraggio. Deglutì uno spesso groppo di soggezione, si inumidì le labbra e iniziò a dire: "È che... È che Vadoma parlava di loro e non, non di lui..."
L'uomo scosse la testa e mosse una mano nell'aria come se volesse dissipare quelle insinuazioni.
"Ma sì," lo liquidò, "Intendeva quelli a cui devo presentare il progetto, oppure i miei dipendenti, oppure anche il fatto che a volte parlo in plurale maiestatis tanto per sfizio." Si portò elegantemente un palmo al petto. "Comunque, mi lusinga sapere che tutto questo sembra lavoro di più persone quando in realtà è solo mio."

Parlava cambiando spesso inflessione della voce. Si esibiva in gesti enfatici e deformava quel volto che pareva plastificato in microespressioni drammatiche. Forse aveva preso lezioni di teatro, provò a ipotizzare Alexander, oppure era una regina del dramma e basta.

Felix guardò l'uomo con astio. "Tutto questo cosa?" lo interrogò inviperito.
Il tale inclinò il capo e sbatté tre volte le palpebre per sottolineare bene l'abnorme stupore che gli aveva suscitato quella domanda. Nel secondo immediatamente successivo rilassò il volto in un sorriso di supremo appagamento e batté insieme le mani.
"A quanto pare avete fortunatamente ancora svariate lacune!" disse allegro, "Temevo che intrufolandovi in casa mia aveste scoperto tutto, invece rimangono un bel po' di cosette che posso svelarvi io personalmente."
Un brivido di contentezza gli scosse le braccia lunghe.
"Ma su, accomodatevi!" li esortò chiamando in causa qualcosa alle loro spalle.

Solo in quel momento Alexander si rese conto che premuto contro il lato da cui erano entrati c'era un divanetto in velluto: verde e luminoso come le squame di un serpente. Nonostante il ragazzo si sentisse pungolato da un acuto senso di disagio in presenza di quell'uomo, gli fu comunque grato per averli invitati a sedersi: stare in piedi lo metteva sempre in estremo imbarazzo e non sapeva mai cosa fare con il suo corpo.
Le braccia soprattutto. Le braccia erano per lui qualcosa di eccezionalmente ingombrante, a tratti impossibile da gestire. Come facevano le altre persone a sapere cosa fare con le proprie braccia? Questa era una domanda a cui mai avrebbe saputo rispondere.

Si sedettero con una certa diffidenza. Il divano era comodo, ma davvero piccolo, cosicché Alexander si ritrovò schiacciato fra Felix e il bracciolo, una posizione di cui non ebbe motivo di lamentarsi e che gli infuse un caldo senso di conforto in quella situazione estranea. Samantha, accomodata al lato opposto del divanetto, aveva capovolto il secchio per appoggiarci il mento, mentre Esme aveva preferito non sedersi e se ne stava in piedi con le mani in tasca e una spalla appoggiata allo stipite della porta.

L'uomo li osservava tenendo le mani giunte insieme, quasi fosse un artista che rimirasse orgoglioso il suo bel quadro. Il divanetto vibrava lievemente insieme alla gamba destra di Felix, che si muoveva nervosa su e giù.
"E allora?" sbottò d'un tratto il ragazzo, "Cosa diamine hai di tanto importante da dirci?"

L'uomo socchiuse la bocca con un suono secco e poi la richiuse. Boccheggiò di sbigottimento per un istante.
Alla fine si sistemò il colletto della camicia e scosse mollemente la testa. "In tutta franchezza credevo aveste delle domande da rivolgermi. Quindi, prego, chiedetemi e io dissiperò i vostri dubbi! Sarò la vostra migliore sibilla, il vostro Oracolo di Delfi!"
Si esibì in una sorta di inchino e con un unico aggraziato movimento tornò a sprofondare nella poltroncina.

I quattro si guardarono incerti. Esme sembrava star combattendo un'ardua battaglia per non scoppiare a ridere, Samantha fissava un po' loro e un po' per aria e Felix era a un passo dall'avere una vena pulsante di impazienza sulla tempia. Alexander dal canto suo avrebbe forse voluto avere qualche chiarimento, ma il suo cervello si rifiutava di elaborare domande di senso compiuto.
A concludere quella consultazione silenziosa fu Samantha che bisbigliò: "Faccio io, tranquilli".

Alexander si preparò al peggio.

"Ho la domanda," annunciò quindi solenne la ragazza. "È stato forse lei-" dietro le lenti i suoi occhiali iniziarono a strizzarsi minacciosi, "-a creare quegli orribili mostri nel ruscelletto accanto alla strada, Mister Giochiamo con il DNA della gente?"
Alexander si lasciò sfuggire un gemito: ancora quella storia? 

Il Tale fece saettare le pupille da destra a sinistra in una maschera di sconcerto.
"Temo di non sapere proprio di cosa tu stia parlando, dolce Samantha," ammise.
Sapeva i loro nomi? Alexander sentì il colore cadergli dal viso e rotolare per terra fino a disperdersi nell'arancio del pavimento.
Samantha fece schioccare sonoramente la lingua sul palato e sollevò le sopracciglia con sufficienza. "Io non me la bevo."
L'uomo tirò un sorriso e sottilmente spazientito tornò a chiedere: "Nient'altro? È solo questo che non riuscite a spiegarvi?"

Alexander fissava le proprie mani torcerglisi in grembo. Prese un profondo respiro.
"Ma, ecco, il paese è stato tutto recintato?" azzardò.
Evidentemente sollevato da quella domanda, il Tizio si strinse piano nelle spalle. "Non tutto, no. Non ce n'è stato bisogno."
Alexander annuì senza sapere bene come rielaborare quell'informazione, mentre una scintilla di interesse parve accendersi nei tratti di Esme.
"Non nego che mi sarebbe piaciuto molto mettere una cupola come in quel film dei Simpson," proseguì il Tale, "Ma, ahimè, costava davvero troppo."

"E si può sapere perché diavolo l'hai fatto?" sbottò Felix, picchiettandosi una mano sulla coscia.

L'astro della soddisfazione rischiarò la faccia dell'uomo, che sfregò le mani insieme e si sollevò dalla poltroncina.
"Ho iniziato a temere non me l'avreste mai domandato," sospirò.
Detto questo, si sgranchì la gola e si portò le mani dietro la schiena.
"Ebbene," esordì con tono melodrammatico, "Io ho un progetto. Un'idea brillante per cui spero un giorno di ricevere il riconoscimento che merito." Parlava con una cadenza ben misurata e camminando lento sul tappeto turchese. "Voglio creare un posto, dei centri, in cui circoscrivere tutti coloro che non sono altro che un peso per la società. Coloro che si sentono a disagio con gli altri e portano gli altri a sentirsi a disagio con loro."
L'uomo si fermò e fece scivolare quello sguardo smagliante su loro quattro. Alexander ebbe la sensazione che non stesse semplicemente parlando, ma come recitando un copione che si era studiato a lungo. Non si sentiva però di giudicarlo: anche lui stesso a volte provava i discorsi particolarmente lunghi prima di sostenerli davvero.
"Coloro," riprese il Tale, portandosi all'altezza del petto le braccia e stringendo le mani a pugno, "che parlano a sproposito o non parlano affatto, coloro che se ne stanno reclusi in un angolo o che fanno di tutto per occupare il centro. Coloro che se la prendono con il mondo per torti che non hanno mai subito e che non vogliono mai farsi scattare le fotografie. Coloro che vengono lasciati per ultimi quando si fanno le squadre di pallavolo o che non fanno alcuno sforzo per andare d'accordo con gli altri. Coloro che non vengono mai scelti per i progetti di gruppo e che non vanno alle gite scolastiche."
Fece una pausa teatrale in cui gli occhi con i quali li fissava si fecero accusatori. "Coloro che non fanno altro che rifiutare quanto la società ha da offrire. I punti neri sulla faccia di un mondo altrimenti perfetto. In altre parole-" altra pausa d'effetto, "-voi."

Alexander si sentì gelare il sangue e deglutì pesantemente. Felix aveva smesso di muovere la gamba e scrutava truce il Tizio, Samantha aveva stampata in volto un'espressione tonta ed Esme aveva incrociato le braccia al petto.
Il silenzio si trascinò indisturbato per qualche istante.

"Tuttavia," proseguì d'un tratto il Tale, "Si tratta di un progetto ambizioso e ancora da definire. Per questo le alte sfere non erano convinte di volermi concedere le licenze. Dovevo dar prova che ne valesse la pena. Dar prova che gli individui - come dire- socialmente menomati siano anche socialmente pericolosi qualora ne abbiano l'occasione. E voi, lasciatemelo dire, siete stati a questo proposito dei collaboratori brillanti, inconsapevoli certo, ma brillanti!"

"Oh, grazie!" esclamò Samantha, che con ogni probabilità aveva ascoltato solo l'ultima frase. Alexander invece aveva commesso l'errore di ascoltare tutto e non era sicuro di voler sentire oltre. Rimpiangeva quando, fino a poche ore prima, poteva avere il lusso di avvilupparsi nella rassicurante trapunta offerta dall'ignoranza.

"Vi siete comportati sempre nel peggiore dei modi possibili, è straordinario!" si complimentò l'uomo, "Atti di vandalismo fini a sé stessi, furti tranquillamente evitabili, profanazione gratuita, turpiloquio, minacce e generica condotta deviante." Si rimirò le cuticole ben tenute. "Non ho motivo di dubitare che fra un po' assassinerete qualcuno. Chissà, magari proprio me!"

Ogni elemento di quella lista pugnalava il tenero cuore di Alexander con la brutalità che solo i sensi di colpa serbano dentro. E quel po' di euforia che gli era rimasta per tutte quelle trasgressioni avvizzì in un colpo, fino a che non si ridusse ad un acino di uva passa. Il rimorso gli mangiava il fegato a grandi bocconi.
Tutte le giustificazioni che si era provato a dare si rivelarono labili come carta bagnata che si sfaldò sotto ai suoi occhi in un migliaio di inutili scuse. I cattivi, in realtà, erano loro.

"Eh, ma che esagerato!" obbiettò invece Samantha, incrociando le gambe sul divano. "Al supermercato guardi che abbiamo sempre pagato."
L'uomo sfoggiò il proprio armamentario di denti da star delle televendite. "Ma che bravi! Con i soldi rubati alla chiesa, proprio quattro ragazzi modello."

Esme fece schioccare la lingua e aprì la bocca come per dire qualcosa, ma la richiuse subito. Felix non ebbe lo stesso problema. Sporse minaccioso il busto e sbottò: "Ma cazzo, la tua testa piena di merda è consapevole che non avevamo molte altre possibilità, eh?"
Il Tizio ignorò l'aggressività del tono e non si scompose. "Ciononostante dovrete ammettere che non abbiate perso chissà quanto tempo a pensare a un'alternativa."
Alexander sentì il corpo di Felix scattare in uno spasmo di nervosismo accanto al suo irrigidito dall'angoscia.

L'uomo li osservò senza smettere di sorridere, i suoi denti erano quasi più bianchi della camicia.
"A ogni modo," ricominciò, continuando a sfilare per la stanza. Le scarpe intonse sprofondavano nel manto fitto del tappeto. "Lo stesso comportamento deprecabile l'avete tenuto anche quando di certo non si può dire foste alle strette." Un piede gli scese sul pavimento e la suola schioccò sul linoleum tirato a lucido. "Sto parlando del luna park, se non l'aveste capito. L'ho organizzato sia per tenervi sotto controllo mentre facevo costruire la recinzione, sia per raccogliere i consensi anche dell'opinione pubblica e, in tutta sincerità, la vostra condotta non si può sicuramente definire esemplare."
Si fermò, piantandosi proprio di fronte a loro. La sua figura longilinea si stagliava netta contro il caleidoscopico resto della stanza. "Avete abbandonato i vostri obblighi, travisato i vostri compiti, fatto quanto più vi garbava e vi siete allontanati dal lavoro che vi era stato affidato per chissà quale sporco rendezvous."

Alexander si sentì chiamato personalmente in causa ora più che mai e lanciò un'occhiata satura di colpevolezza e supremo imbarazzo a Felix. Il ragazzo però gli rispose con un mezzo sorriso e una strizzata d'occhio scherzosamente ammiccante.
Il sangue tornò ad affluire nelle guance di Alexander: se anche dopo tutte quelle parole era ancora possibile scherzare, forse non tutto era perduto.

Felix abbandonò la schiena contro il divano e fissò dritto in faccia il Tale. "E tu come diamine fai a sapere tutte queste cose?" lo interrogò.
Alexander intravide Samantha portarsi una mano alla bocca e sussurrare: "Oddio, è un guardone".

L'uomo storse le labbra sottili con leggero fastidio, ma poi si passò una mano sul volto e riassunse un'espressione affabile.
"Dispongo sia di fidati informatori teoricamente in incognito, che a quanto pare però non hanno fatto un gran lavoro, sia di qualche telecamera sparsa qua e là. Senza contare che gli abitanti del paese sono stati informati della situazione e si sono dimostrati disposti a collaborare."
Alexander prese a mordicchiarsi l'interno della guancia. Erano stati per tutto quel tempo sotto gli occhi guardinghi di chiunque? Spiati, controllati e giudicati costantemente. Non che in effetti ci fosse molta differenza da come era abituato a vivere.
Esme aveva la fronte corrugata e fissava con attenzione qualcosa alle spalle del Tale.

"Quindi fammi capire," interruppe Felix, "Siamo in una sorta di demenziale Truman Show in cui noi però non stiamo simpatici a nessuno?"

L'uomo gemette mesto e si abbandonò nuovamente sulla poltroncina, che questa volta produsse un flebile singhiozzo.
"L'idea era quella," sospirò, "Però, che dirvi, non mi voleva finanziare quasi nessuno, avevo pochi risparmi da parte ed enormi problemi di budget. Quindi mi sono dovuto accontentare di questo paesuncolo sull'orlo del lastrico e abitato solo da anziani e di un numero ridicolo di telecamere, tutte di una qualità scandalosa. Guardate voi stessi."
Rabbuiato, indicò i monitor alle sue spalle che mostravano tutti immagini pixellate e sgranate che si muovevano a scatti. Con uno strisciante senso di nausea, Alexander riconobbe l'esterno del diner, la navata centrale della chiesa e la piazza. Tuttavia aveva gli occhi affaticati e il cervello indolenzito, quindi proprio non gli riuscì di decifrare anche gli altri. Grazie al condizionatore la stanza era fresca, ma lui iniziava a sudare sul tessuto spesso del divanetto e percepiva l'urgenza fisica di uscire di lì. Non voleva saperne più niente, tutto il resto per conto suo poteva benissimo rimanere un gigantesco punto di domanda.

"Ma perché ha scelto proprio noi quattro, scusi?" domandò invece Samantha.
Il Tale scrollò le spalle, facendo sbatacchiare gli orecchini.
"Come in gran parte dei casi in questo mondo, non c'è alcun perché. Ho condotto delle ricerche che non ho alcuna voglia di illustrarvi, ho raccolto pagine di nominativi di possibili e - perché no?- futuri candidati, poi ho chiuso gli occhi, fatto scorrere il dito e voilà-" estese tutte le dita di entrambe le mani, "- chiamalo Dio, chiamalo destino, chiamale corrispondenze baudelairiane, siete saltati fuori voi quattro."
Alexander sentì qualcosa di molto simile a un baccello di delusione romperglisi nel petto: lui era stato solo una casualità, nulla più di una possibilità su probabilmente migliaia di altre. Non c'era nulla di poi così unico o di speciale in lui, il Tale aveva estratto alla cieca e, casualmente, era uscito lui. Loro quattro erano stati solo una fortuita coincidenza. Ci si fa sempre un sacco di paranoie quando in realtà tutto succede a casaccio, pensò grattandosi convulsamente l'avambraccio.
Se la manicure costosa dell'uomo fosse scivolata solo una riga sotto forse lui, Alexander, non avrebbe mai potuto sapere dell'esistenza di Samantha, di Esme o... o di Felix.

La spalla dell'altro ragazzo premeva solida e reale contro la sua. Il volto vicinissimo al suo senza che questo gli provocasse alcun fastidio. E questo bastò per scacciare ogni macchia di amarezza dall'animo di Alexander.
Forse era stato per caso che era incappato in quelle tre persone dal cuore impacciato come il suo, rifletté, ma - come recitano le frasi più inflazionate sull'amicizia - era per scelta che se le sarebbe tenute strette.

Samantha provò a obbiettare: "Ma mi scusi, quando i nostri genitori..."
L'uomo la interruppe prima che potesse finire la frase: "Lo sanno già, ovviamente. Chi pensate che vi abbia fornito i vestiti e somministrato il sedativo per potervi trasportare fin qui?"
Alexander sentì che il suo cuore mancava un battito, tuttavia, riflettendoci, non si sorprese che i suoi avessero acconsentito a spedirlo lì. Forse li avevano pagati e il denaro non era certo qualcosa che avrebbero potuto rifiutare. O forse avevano pensato che fosse una sorta di campo estivo all'avanguardia e non quella distopica perversione di epurazione sociale quale aveva tutta l'aria di essere. Emotivamente, però, non poté far a meno di sentirsi comunque un po' come un Giulio Cesare seduto di spalle il quindici di marzo.

"Diamine, quella stronza!" sibilò invece Felix, battendosi un pugno sulla gamba. Dopodiché, un lampo di rinnovato furore gli saettò negli occhi.
"A proposito," esordì accusatorio, "C'è un criterio particolare per cui io mi sono svegliato nella spazzatura e per esempio Esme nella tua stramaledettissima reggia?"
Il Tale appoggiò un gomito sul bracciolo della poltroncina e agitò con noncuranza la mano.
"Sì e no," rispose, "Volevo farvi risvegliare in posti diversi, ma non troppo lontani. Sapete, per aumentare il divertimento, no? E uno di quelli era la mia residenza qui. Ho pensato sarebbe stato interessante mettere qualcuno alla prova e ho scelto lei perché mi pareva la più sveglia."

Felix sollevò entrambe le sopracciglia e poi storse le labbra. "Questo è anche più offensivo di quanto immaginassi."
Esme, appoggiata alla parete verde acido alle sue spalle, ridacchiò.

Samantha finì di pulirsi gli occhiali con un lembo del vestito e li riposizionò sul suo viso imbronciato.
"Sa una cosa?" intervenne, "Non si gioca così con le vite delle altre persone, lei è proprio un perverso." Un'enfasi particolare fu messa sull'ultima parola.

L'uomo parve profondamente offeso da quell'accusa. Si raddrizzò, contrasse un istante la mascella scolpita e corrucciò le sopracciglia.
"Ma non capite, ingrati?" proruppe piccato, "Lo sto facendo per voi e per quelli come voi!"
Fece la solita pausa drammatica. Si lisciò i capelli sottili come fidelini e prese un profondo respiro.
Con più calma, ricominciò: "Siete come bambini che non sono in grado di camminare, capite? E cosa si fa con questi bambini? Li si mette nei recinti, nelle loro tenere gabbiette di plastica colorata. Lì potrete cadere quanto vorrete senza farvi mai male. Picchiare la testa ovunque senza mai avere un livido. Lo sto facendo per voi!"
Fece una seconda pausa piena di suspense in cui li guardò alzando il mento e impettendosi tutto.
Si fissarono reciprocamente per qualche istante. Alexander deglutì distintamente, si sentiva frastornato. Il profumo intenso gli ottenebrava i sensi e tutto quel macello di colori gli ballava opprimente sulle retine.

"Be', cosa ti aspetti?" sbottò alla fine Felix, "Che alziamo in aria il braccio destro e urliamo 'Heil Tizio Che Non Ci Vuole Rivelare Il Nome Perché Probabilmente È Una Schifezza'? O che ci genuflettiamo tutti a baciarti quelle scarpe orrende?"
L'uomo, preso alla sprovvista, non seppe come rispondere e si limitò a guardarli con disapprovazione.

"E poi," si intromise Samantha, "Mica i bambini si mettono lì in attesa che camminino? A me sembra tanto che lei, caro signore, voglia proprio toglierci ogni possibilità di imparare."
Con ciò la ragazza assunse un'aria molto compiaciuta, come se l'impeccabile logica del suo ragionamento non ammettesse repliche.
Il Tale si massaggiò le tempie, chiaramente spazientito.
"Perché?" sbuffò, "Voi vorreste imparare a camminare insieme agli altri e come gli altri?"
Altri minuti di silenzio.
Alexander aveva la testa pesante e, paradossalmente, uno strano senso di vuoto nel petto, come se dentro non ci fosse più nulla. Iniziò a temere che se qualcuno avesse appoggiato l'orecchio alla sua bocca spalancata avrebbe sentito solo quel suono di vuoto che si ascolta nelle conchiglie. Era come se la sua cassa toracica si fosse ridotta a cassa di risonanza.

"E allora?" li incalzò l'uomo, tamburellandosi un indice sulla fronte priva di imperfezioni.

"Probabilmente no, ma non spetta a lei decidere."
Fu Esme a parlare. La voce non tradiva alcun turbamento, era una considerazione pronunciata in modo pacato e deciso. Lei stessa, le mani nuovamente in tasca e il volto disteso, era il ritratto della tranquillità.

Il Tale abbandonò le spalle contro lo schienale e sbuffò.
"Comincio ad averne abbastanza di voi, sapete?" disse.
Alexander, sebbene ormai percepisse tutto in modo piuttosto caotico e incomprensibile, iniziò ad avere un terribile dubbio. Combatté quindi con la leggera nausea che lo attanagliava e chiese: "Ma perché ce lo stai dicendo?"
L'uomo parve rianimarsi, riaccavallò le gambe.
"Ve l'ho rivelato perché ritengo di aver raccolto una documentazione sufficiente per dare credibilità al mio progetto," rispose, "Quindi ho ragione di credere che, se farete ancora un po' i pazzerelli, verrà approvato di sicuro.  E poi, detto fra noi, volevo togliermi lo sfizio di spiegarvi tutto io, piuttosto che aspettare ci riusciste da soli."

"Oh!" esclamò Samantha, "Quindi non ci ucciderai?"
Esme soffocò una risata e Felix sogghignò, Alexander invece capiva perfettamente la domanda di Samantha. Era proprio quello di cui pure lui aveva avuto una cospicua dose di irragionevole, viscerale paura.

Il Tizio sembrava al limite della disperazione e autenticamente provato.
"Ma che?" sbottò, "No, ovvio che no. In realtà, ora ve ne potete pure andare, rimanendo sempre nel paese si intende. Volevo solo farvi la grande rivelazione." Gli occhi blu sembravano lampeggiare con meno intensità.
Ad Alexander tornò in mente una cosa e, sopprimendo temporaneamente il suo desiderio di uscire al più presto di lì, si fece forza e chiese: "E cosa è successo a Sen?"
Ricordava bene il viso cupo di Vadoma quando aveva confidato che avevano preso la donna. E ricordava bene come lui aveva improvvisamente sentito il cuore riempirglisi di ghiaccio.

L'uomo, però, sollevò il capo e, con sincero sbigottimento, domandò: "Perdonami, chi?"
I quattro si guardarono un po' spiazzati e tacitamente decisero di non insistere oltre.

"Ora," riprese il Tale, "Per favore, andatevene. Badate, non è né un invito né un ordine, ma una preghiera."
Detto ciò, dimenticando tutta la cortesia zelante e le movenze affettate con cui li aveva accolti, si afflosciò sulla poltrona. Con la mano sinistra si nascose il volto e con l'altra indicò con un gesto secco la porta.

Evidentemente quell'incontro grottesco non aveva provato solo lui, si disse Alexander mentre al colmo del sollievo si alzava dal divano e seguiva gli amici fuori di lì.

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