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I mezzi giustificano il fine

Esme si inumidì la gola con uno degli ultimi gocci d'acqua che avevano a disposizione. Sentì una risata amara riecheggiarle nel petto. Era ridicolmente crudele, infatti, che fossero circondati da chilometri e chilometri d'acqua e che loro non potessero berne nemmeno una goccia. Il mare si estendeva davanti a loro per quello che si poteva senza problemi definire uno spazio infinito. Era profondo, scintillante e tutto straordinariamente imbevibile.

Del resto la natura aveva deciso così: l'uomo doveva avere l'ineludibile necessità di bere, il mondo doveva essere ricoperto per tre quarti da acqua e questa - per pura beffa - doveva essere praticamente tutta imbevibile. Quello era in tutta probabilità l'esempio più lampante di come la Terra stessa dovesse avere un attivo programma di propaganda anti-umanità. Esme scosse la testa con cinico divertimento e risigillò la borraccia.

"Ma sei un incivile!" esclamò d'un tratto Samantha seduta accanto a lei sulla coperta ancora umida. Quell'esclamazione indignata era tutta per Felix, la cui nuova occupazione consisteva nello scagliare fra i flutti lividi del mare i noccioli di albicocca.
"Cristo, che spina nel fianco che sei," replicò lui togliendosi un flaccido residuo di polpa dai denti. Dopodiché lo ammiro con una smorfia e lo scagliò lontano fra la sabbia ondulata.
"Ma tanto è tipo bio... biodegradabile, giusto?" provò a difenderlo Alexander. Il sole che li aveva presi a pugni tutto il giorno era stato con lui particolarmente inclemente e gli aveva scottato le guance con un alone di perpetuo rossore.
Felix schioccò le dita soddisfatto. "Infatti," concordò e afferrò l'ennesimo nocciolo, che - con un secco gesto del braccio - venne scagliato lontano e inghiottito dall'orizzonte. Samantha scosse la testa con disappunto e ricominciò a tumulare i propri piedi sotto una montagnetta di sabbia tiepida.

Esme sorrise e addentò la penultima albicocca la cui buccia vellutata era della stessa sfumatura d'arancio che avrebbe preso il sole da lì a poco. Non avevano ancora cenato, ma lei aveva suggerito di finire la frutta prima che il caldo e gli insetti lo facessero al posto loro. Era stata una buona idea e lei se ne godette il succo dolce. Era da una appena ventina di minuti che erano riemersi dal turbinio delle onde, ma il sole estivo aveva asciugato in fretta i loro corpi stanchi. Avevano anche provato a sciacquarsi sotto il getto gelato della vecchia fontanella, ma non era servito a granché. Continuavano ad avere gli occhi arrossati dall'acqua di mare e righe di pelle ancora incrostate di salsedine. L'umidità aveva calcificato i loro capelli in riccioli induriti che venivano ora scossi da una brezza salmastra proveniente dal mare.

Si stava bene. Esme finì l'albicocca con un sospirò soddisfatto e affondò i piedi costellati di vesciche nella sabbia ancora calda. Aveva i muscoli e la mente avvolti nel tepore della stanchezza, ma il sole e il mare l'avevano resa una stanchezza buona. Quella che emana un mite senso di pace col mondo e rende ogni percezione più lenta e gradevole. Esme percepiva tutto in modo languidamente amplificato. La salsedine che le tirava la pelle e saturava i capelli suoi e dei suoi compagni. L'aria salubre e pulita dopo tutti quei chilometri di polvere e cemento. Le strida roche dei gabbiani e lo sciabordio regolare delle maree. L'odore dello iodio che impregnava ormai anche i loro vestiti da poco rindossati e penetrava salino nel naso con quella sua caratteristica fragranza di alghe macerate al sole e molluschi passati a miglior vita. Tutto appariva nitido, pacifico e carezzevole.

Dalla scogliera il garrito di un gabbiano fendette l'aria e si propagò sopra le loro teste in un frullo d'ali. L'uccello iniziò a dimenarsi sulla spiaggia dorata e sul mare in subbuglio con un volo sconnesso e chiassoso. Un paio di gabbiani istupiditi, scarrufati e screziati di sporcizia era tutto ciò che un ornitologo avrebbe potuto sperare di vedere in quell'unghia di costa.

"Quanto scommettete che riesco a colpirlo?" li sfidò Felix agguantando un nocciolo e fissando con occhi perfidi il volatile starnazzante. Sgomitò Alexander. "Guarda la mia abilità."
Alexander dapprima rise, ma poi rendendosi conto - al pari di Esme - che il gabbiano era effettivamente a portata di tiro allungò la mano verso quella dell'altro nel tentativo di bloccare il lancio.
"Non so se è una buona idea," disse, "Non è che... che diventano violenti?"
"Oh sì!" annuì Samantha, "Io ho sentito che i gabbiani sono uccelli un po' stronzetti." Esme rise e assentì. Non se ne intendeva di ornitologia, ma era certa di non voler imparare a sue spese le nozioni di base. Felix storse le labbra, ma si lasciò convincere. Il nocciolo atterrò sulla battigia, dove il rombo di un onda lo risucchiò trascinandolo via con sé.

Il sole si ritirava lentamente sempre più a ovest e il cielo si era tinto di un tenue color pesca che sfumava il blu dell'acqua con increspature rosate. Le nuvole scivolavano sull'orizzonte con una dolce vaporosità botticelliana. Esme provava un balsamico senso di frescura e, sebbene fosse ricoperta di salsedine e avesse granelli di sabbia impigliati fra i capelli increspati e sui vestiti umidi, si sentiva piacevolmente pulita. I graffi e le irritazioni che rovi e ortiche si erano divertiti a creare non davano più il minimo fastidio. Il bagno fra le onde li aveva resi sterili e innocui. Certo, il mare non era la cosa più igienica del mondo - lo sapeva -, ma era da lì che si era originata la vita quindi tanto male non doveva poi fare. 

L'ultimo boccone dell'ultima albicocca cadde nello stomaco senza fondo di Felix. Il ragazzo si pulì quindi la bocca con il dorso della mano e si stese, appoggiando la testa sulla coperta in pile logoro e lasciando il resto del corpo abbandonato sulla sabbia sempre più fredda. Si portò le mani sotto la testa e sbuffò: "Fatemi sapere quando ceniamo". Alexander distese a sua volta le gambe imporporate dalle scottature e voltò il capo verso Esme. "Quanto cibo ci è rimasto?"

Esme fece mente locale e lanciò una breve occhiata agli zaini che aveva avvicinato. "Abbastanza," si sentì in diritto di sentenziare. Aveva fatto un preciso inventario e aveva stimato che, a forza di stenti e patimenti, avrebbero potuto campare anche per una settimana. Il vero problema era l'acqua. Anzi, a pensarci bene il vero problema era che non avevano la mininima idea di cosa dovevano fare da quel punto in poi. Il bagno nel mare era stato divertente, mangiare albicocche sulla riva un bel momento e sentire la sabbia soffice sotto i piedi doloranti era tutt'altro che sgradevole, ma questo non cambiava il fatto che erano a un punto morto. Si erano allontanati dal centro del paese, ma non ne erano usciti. Forse lì il Tale non poteva controllarli, ma presto o tardi li avrebbe raggiunti. Se volevano andarsene non avevano molto tempo. Esme arricciò le labbra pensierosa e intravide di sfuggita come Samantha fosse arrivata a seppellirsi fin sopra le ginocchia.

Perché erano lì?, si chiese mentre il vento fischiava la sua aria salmastra e il mare scrosciava sul bagnasciuga. Che avessero sbagliato strada? Esme scosse la testa. Improbabile. Samantha forse non era il navigatore più esperto, ma le sue informazioni erano state vagliate e tutto combaciava alla mappa. Inoltre Sen sapeva bene dove li stava mandando. Le allusioni, i sorrisetti... Era ben conscia di cosa avrebbero incontrato. Ma cosa si aspettava che facessero? Esme inclinò il collo e fissò il cielo sempre meno azzurro senza vederlo davvero. La sua parte più pratica la portava a maledire la donna per essere stata così volontariamente misteriosa, tuttavia dovette ammettere a sé stessa che, forse, ci sarebbe rimasta peggio se davvero Sen avesse rivelato tutto. Era una sfida e se Sen era convinta che l'avrebbero potuta vincere, allora sarebbe stato così.

I gabbiani, attratti dalle loro segrete riserve di cibo, continuavano a turbinare sopra di loro con famelici schiamazzi. 
"Giuro che se uno di quei cosi mi caga sulla testa io mi incazzo," sbottò Felix fissando con occhi fiammeggianti gli uccelli sopra di loro. Alexander si passò istintivamente una mano fra i capelli e gettò una scorsa terrorizzata al cielo da cui da un momento all'altro potevano piovere bianche schegge di guano. "Ma... sono svegli anche la notte?" domandò con uno sconforto che si sarebbe potuto tagliare a fette.
Ormai era assodato che avrebbero dormito lì. Esme incassò la testa nelle spalle. Temeva di sì, ma sperava vivamente di no. 

La luce intanto era andata affievolendosi sempre di più e l'acqua aveva salutato i suoi mille riflessi d'azzurro in favore di un manto man mano più scuro. Il sole si tingeva di pennellate sempre più vivide via via che si apprestava a sparire. Ci fu un incantevole momento in cui tutto parve d'oro. I riflessi sulle onde ormai dell'indaco più scuro brillarono come i grani del rosario di un papa tedesco, i miliardi di miliardi di granelli di sabbia ebbero la stessa luminosità delle colline di monili a ventiquattro carati che si deve sognare un Compro Oro e la salsedine incrostata sui loro quattro corpi - per un istante - fu fatta dei brillantini che ricoprono il Natale dei grandi magazzini. E dopo tutto si annacquò. 
Tuttavia un tramonto sul mare fu un privilegio che la natura decise di non concedere e il sole finì con lo scivolare dietro la scogliera senza che loro vedessero più di un alone aranciato aleggiare nel cielo.

Gli occhi di Esme si dimenticarono presto di tutto quello splendore in favore di una fievole luce cianotica. La ragazza si ravvivò i capelli increspati, si fece schioccare le ossa del collo e si alzò in piedi. Da qualche parte la chiave di Igor si sarebbe dovuta inserire e non era stando in panciolle sulla spiaggia che lei avrebbe scoperto dove. Doveva approfittare della luce residua del sole appena morto e provare a raccapezzarsi su tutta quella storia prima che facesse veramente buio.

"Dove stai andando, Esme?" le domandò Samantha mentre studiava un insetto bruno che le si era inerpicato su quel poco di gamba non seppellito. Esme indicò il casotto del bagnino: non era molto promettente, ma da qualche parte doveva pur iniziare. 
"Vengo anche io!" trillò la compagna, emergendo dalla sabbia come un golem che si innalzi dal fango. Esme assentì convinta: Samantha a volte aveva idee bislacche e c'erano lunghi periodi in cui la sua testa sembrava dappertutto tranne che sulle spalle, ma aveva un sorprendente spirito di osservazione. 

"Io sto qua, per oggi ho dato abbastanza," sentenziò Felix scrollandosi dalla faccia una formica delle dimensioni di un chicco di cuscus.
"Anche io," disse Alexander, "Però... se c'è bisogno, ecco, chiamateci." Esme fece segno dell'okay e si incamminò seguita a ruota da Samantha. I loro piedi gonfi si immergevano nella sabbia intiepidita con gradevole morbidezza. Esme aveva indossato scarpe senza calze dall'inizio di tutta quella demenziale avventura e quella pessima idea si era fatta sentire con un doloroso arabesco di vesciche e taglietti. La ragazza svuotò il petto rassegnata e si godette - fin tanto che poteva - i granelli di sabbia accarezzare i suoi malconci piedi nudi. Il cielo iniziava a incupirsi e farsi un tutt'uno con il mare che si stava assopendo in una quieta oscurità alle loro spalle. Tuttavia la luce era ancora sufficiente ed Esme non ebbe alcuna difficoltà a individuare la casetta cadente. Nell'avvicinarsi Samantha urtò contro una sdraio, celata sotto la superficie della sabbia con lo stesso naturale mimetismo di una sogliola, e proruppe in un sofferente "ohi". Esme si assicurò che l'amica stesse bene e pensò che, se le fosse avanzato tempo, avrebbe saggiato lo stato di quelle sdraio. Dopotutto, un lettino da spiaggia su cui passare la notte non doveva essere affatto male.

Raggiunsero il vecchio lido con Samantha che zoppicava teatralmente lamentandosi dell'irreversibile frattura che doveva aver avuto. La casetta si delineò azzurrina nella luce calante.

Esme ne perlustrò brevemente l'esterno. Le assi erano corrose dall'inesorabilità delle intemperie e così sconnesse che lasciavano lunghi sfregi attraverso cui era possibile scorgere l'interno. Aprirla non fu difficile e la ragazza non ne fu affatto stupita. Il legno era infatti così gonfio che bastò sfiorarne la serratura smangiata perché la porta si spalancasse. Uno stridio acuto in modo doloroso diede il suo benvenuto.

L'interno era angusto, piuttosto buio e odorava del banco pesce dei supermercati di provincia. Forse una volta aveva un pavimento, magari reso in cemento o con un soppalco in legno, ma la sabbia, la polvere e le foglie trascinate lì dal vento vi si erano insediate senza remore e ora anche lì era un piccolo, orrendo quadrato di spiaggia. 
"Wow," sussurrò Samantha reverenziale, palesando per l'ennesima volta il proprio debole per tutte le cose, anche quelle drasticamente brutte. Esme storse la bocca e vi si addentrò, non che ci fosse esattamente uno spazio sufficientemente grande da usare l'espressione "addentrarsi", ma la sensazione fu quella. Il vento si insinuava sibilando in quella catapecchia piena di spifferi.

Alla luce fioca della sera incipiente Esme notò delusa che lì dentro, a parte una massiccia dose di frustrazione, non c'era quasi nulla. Fra la sabbia vecchia e il fogliame giaceva inerte un salvagente bucato mentre le fragili pareti erano tagliate obliquamente da qualche mensola mezza caduta. Su un tavolino dai bordi tarlati erano sparpagliati alcuni fogli di carta e giornali che anni di aria marina avevano reso illeggibili e duri. Andando a recuperare anche qualche legnetto e un accendino disperso nello zaino magari sarebbero riusciti ad accendere un fuoco, rifletté Esme. Avrebbe segnalato la loro presenza in modo imbarazzante, ma le notti sul mare possono essere perfidamente fredde e loro non avevano nulla con cui coprirsi. La ragazza si picchiettò un dito sul mento e decise che non era un'opzione da scartare a priori.

"Questa me la prendo io!" Samantha la distrasse e afferrò tutta contenta una cassetta del pronto-soccorso dalla superficie butterata. Esme annuì confidando che se ci fosse stato dentro qualcosa di utile Samantha non avrebbe tenuto l'informazione per sé. Continuò quindi a frugare - più con lo sguardo che con le mani - lo stanzino cigolante, ma non trovò nulla. Aveva preso un granchio e fatto un buco nell'acqua, giusto per rimanere in tema.

"Trovato qualcosa?" La voce di Alexander si insinuò con incerta curiosità nel legno marcio della casetta. Lui e Felix le avevano raggiunte e aspettavano riluttanti sulla soglia. Esme si voltò e scosse la testa. Ciò che cercavano non era lì. Sorrise amaramente fra sé: se solo avessero saputo cosa stavano cercando!

"Ma sì invece! Guardate qui." Samantha scosse la scatoletta ormai aperta e indicò un minuto gomitolo di spago sottile, forse filo da sutura, forse filo interdentale. "Questo lo possiamo usare per pescare!"
Felix ruotò gli occhi seccato e sbuffò. "Ma sì, tanto noi siamo tutti e quattro esperti pescatori, no?" Un sorriso divertito aleggiò sulle labbra di Alexander, mentre Esme sentì come una spia accendersi nella sua mente. Pescatori, perché le diceva qualcosa? Pesca, pescatori... Esme si morse il labbro in uno sforzo cerebrale estremo. Dove aveva già sentito parlare di pesca in quei giorni? Si sfregò il mento con le dita che sapevano di mare. Il cappello di Sen! Certo, ma cosa c'entrava? Era troppo grande per lei... Doveva averglielo prestato Igor, sì, ma allora? Esme uscì dalla casupola rancida sentendo la risposta urticarle la punta della lingua. E non ci volle più di qualche secondo perché le si sciogliesse in bocca inebriandole di successo il cervello.

Una scintilla di vittoria le saettò negli occhi quando tutto iniziò ad avere senso. I libri sulla pesca in casa di Igor, il cappello che aveva prestato a Sen e una cosa - lampante, così banale! - a cui lei prima, stordita dal sole e spossata dall'acqua, non aveva dato il giusto peso. Le barche! 

Fuori il giorno bollente si era definitivamente trasformato in una serata violacea, ma Esme era troppo illuminata dalla propria scoperta per farci caso. Controllò di avere ancora la chiave di Igor in tasca e si avviò a passi veloci sulla sabbia, verso il pontile. Sapeva come avrebbero fatto ad andarsene. Non sapeva dove sarebbero andati, ma sapeva come l'avrebbero fatto. Era già qualcosa.
"Esme! Veniamo con te?" le gridò alle spalle Samantha. Esme si girò, senza accennare a rallentare, e annuì con forza, facendo gesto di seguirla. Non sarebbero partiti quella sera, era troppo tardi, ma anche i suoi amici dovevano sapere.

Attraversò la spiaggia scura e in breve tempo raggiunse il pontile. Si allungava smilzo fra una montagna frastagliata di scogli grigi e si gettava sul mare spompato con una sequenza di pericolanti assi in legno. Era stretto, senza alcuna protezione e molte assi mancavano, scoprendo rettangoli sussultanti di mare. Ma era lì che erano ormeggiate le barche ed era da lì che se ne sarebbero andati.

Esme appoggiò i piedi nudi sui gradini in legno slabbrato, preoccupandosi di non ritrovarsi qualche scheggia nella pelle. Quindi, sgambettò con cautela sul pontile, facendo attenzione a non mettere un piede in fallo. Non poteva permettersi di prendere una storta.
Le assi scricchiolavano e oscillavano pericolosamente a ogni movimento, ma reggevano. Vicino alla scogliera il vento era più impetuoso e fischiava con raffiche fredde. Esme proseguì stringendo saldamente la chiave fra le dita mentre folate di aria costiera le sferzavano fra i capelli rovinati e le onde più tumultuose le schizzavano le caviglie. Raggiunse le barche e prudentemente si accucciò per osservarle meglio.
Una era un vecchio canotto sgangherato, forato in più punti e attraccato con una corda sfibrata e logora. L'altra, invece, era una discreta barchetta - neanche a dirlo - da pesca. Aveva le fiancate pitturate di un rosso fragola slavato e l'interno sobriamente verniciato di bianco. Era piccola, ma era in buone condizioni e aveva spazio sufficiente per accogliere tutti loro quattro senza colare a picco. Doveva essere la barca di Igor. Forse era arrivato lì con quella, o magari nei suoi giorni liberi ci andava a passare il tempo. Ma questo non importava, ciò che era davvero importante era che lui avesse deciso di darla a loro, quattro semi-teppistelli sconosciuti, senza alcuna garanzia. Anzi, con l'unica garanzia che difficilmente sarebbe tornata indietro.

Esme sentì qualcosa di molto simile a commozione stringerle il cuore: quando si era detta che ringraziare davvero Igor sarebbe stato impossibile non si sbagliava. Si sentì anche un po' in colpa e si promise che, prima o poi, avrebbe trovato un modo per ripagare Sen, Igor, Vadoma e tutti gli altri per tutto quello che avevano fatto gratuitamente per loro. Forse anche il Tale stesso avrebbe meritato un ringraziamento speciale, del resto Esme in poco più di una settimana aveva incontrato persone migliori che in tutta la sua vita. Quindi, se in quel caso - come in molti altri - la frase "il fine giustifica i mezzi" avrebbe scricchiolato, il Tale si sarebbe comunque potuto scusare con "i mezzi giustificano il fine".

"Caspiterina! Ci facciamo un giro in barca?" esclamò Samantha con un fremito di esaltazione, mentre - insieme a Felix e Alexander - percorreva il pontile verso di lei. Esme sorrise. "Domani ce ne andiamo," annunciò.
"C-con quella?" Alexander indicò la barca con un dito tremolante. Il ragazzo stava esattamente al centro del pontile e fissava con un'espressione di pura angoscia il bordo senza precauzione su cui si frantumavano le onde e sbatacchiavano le fragili barchette. Esme assentì.
"E come diavolo facciamo? A remi?" sbottò Felix a cui la precarietà del pontile non faceva alcuna paura e - sotto lo sguardo apprensivo di Alexander - stava pericolosamente vicino al ciglio.
Esme rifletté un attimo. Ma poi ebbe un lampo e capì a cosa serviva la chiave. Non serviva ad aprire un qualche lucchetto con cui pensava sarebbe stata assicurata la barca, ma era una chiave di accensione! Serviva ad azionare il piccolo motore fuoribordo appollaiato sulla poppa della barca. La ragazza lo indicò mostrando la chiave.
"E tu... Tu sai pilotarla?" chiese titubante Alexander che - dopo aver fatto un timido cenno a Felix di allontanarsi un po' dal bordo -  guardava la barca poco convinto.
"Impareremo," rispose Esme per nulla preoccupata.

Samantha si lasciò sfuggire un gridolino di gioia di fronte a quella prospettiva. Felix invece sollevò le sopracciglia e, rivolgendosi a Esme, sospirò: "Ma come diamine fai a sapere sempre cosa fare?"
Esme rise. La risposta lunga era che in pieno divorzio i suoi solevano scaricarla dalla nonna mezza sorda e l'unica cosa che lei poteva fare era frugare in soffitta. Lì non aveva altra attività se non leggere volumi dalle pagine irrigidite in un muffoso giallore chiamati con titoli come "Il Manuale di sopravvivenza del piccolo scout", "Cento e più cose che il ragazzo moderno deve imparare", "La guida completa per le signorine per bene" e altre scemenze generaliste e sessiste che catalogavano il "saper stare nel mondo" come prerogativa dei maschi e il "saper apparire al mondo" come dovere inderogabile delle femmine. Ma almeno le avevano insegnato che davanti agli orsi è meglio non fuggire via a gambe levate, che il muschio cresce tendenzialmente a nord e che i brufoli non devono essere schiacciati. Esme, però, non era fatta per le lunghe spiegazioni. La risposta breve fu quindi un'alzata di spalle che ai suoi amici sembrò bastare.

"E quella cos'è?" domandò d'un tratto Samantha indicando una scatoletta di plastica verde incastonata sotto il sedile della barca. Esme la studiò curiosa, si posizionò meglio sulle assi sconnesse del pontile e - accompagnata da un suono strozzato da parte di Alexander - si sporse. Allungò un braccio e afferrò il contenitore. Era una di quelle scatoline in cui i pescatori tengono le esche. La scosse piano e si sentì uno sbatacchiare di roba. Esme si rialzò facendo scroccare le articolazioni delle ginocchia.
"Possiamo, ecco, andare sulla spiaggia ad aprirla?" suggerì Alexander con tono supplicante. Felix annuì. "Sono d'accordo, qui va a finire che uno di noi casca giù." 

Così fecero. Samantha si appropriò della scatoletta - la seconda nel giro di poco - ripercorsero quella passerella pencolante e tornarono sulla spiaggia sempre più cupa. Camminarono senza alcuna fretta fra le piccole dune di sabbia che non avevano più alcun sole sotto cui scintillare.

Esme si sentiva così appagata che decise di prendersi qualche rischio. Si avvicinò alla fontanella ossidata, l'aprì e - sacrificandosi per la causa - ne bevve un sorso. L'acqua sapeva di acqua, e quella era già una cosa buona. Se quella notte l'intestino non le si fosse liquefatto avrebbero riempito le borracce. Si asciugò la bocca e sperò con tutta sé stessa che quella che l'era sgusciata giù per la gola fosse davvero acqua e non salmonella liquida.

I suoi compagni intanto si erano riaccomodati sulle coperte stese sulla sabbia dunosa. Esme li raggiunse e si sedette a sua volta. Samantha aveva aperto la scatolina rivelandone il deludente contenuto: qualche amo difettoso, una rivista arrotolata di divulgazione scientifica e un consumato cubo di Rubik a cui mancavano dei quadratini come a un sorriso guasto. Samantha si tenne il cubo colorato e ignorò il resto.

Le barche ondeggiavano sul pelo mosso dell'acqua, i lembi delle onde spumeggiavano sulla riva e il vento si era fatto più freddo. Le nuvole si erano allontanate verso altri lidi e ormai stava facendo davvero buio. Samantha armeggiava con il cubo canticchiando una canzoncina senza ritmo, Alexander fissava il mare rumoreggiante e Felix si sfregava lo stomaco affamato.
Esme sorrise pacifica e, mentre progettava su come effettivamente accendere un fuoco, pensò che era giunto il momento di fare una cosa che voleva da tanto.
"Comunque grazie," disse ai suoi amici.
Questi la guardarono sbigottiti.

"E di cosa?" proruppe Felix sorpreso.
Esme si strinse nelle spalle. "Per non avermi fatto domande." Per avermi accettato da subito, aggiunse mentalmente.
Alexander abbassò gli occhi sulla sabbia fredda e sorrise vagamente. "Penso che nessuno sia nella posizione di... di giudicare gli altri," commentò centrando appieno il nocciolo della questione.
Felix ridacchiò e annuì con uno storto sorriso ironico.
"Ma Esme!" esclamò Samantha incrociando le gambe, "Basta fare la falsa modesta, caspiterina! Chissà che fine avremmo fatto noi tre senza di te!"
"Già, diamine!" sbuffò Felix, "Ammettilo che l'hai detto solo perché volevi che ti facessimo i complimenti."

Risero tutti e pure il verso stridente dei gabbiani, per un secondo, parve diventare uno spensierato risolino. Esme allungò le gambe gonfie sulla sabbia friabile. Non dormiva in un letto vero da giorni, la natura era ormai diventata la sua toilette preferenziale e non ricordava l'ultima volta in cui aveva aperto un libro, ma non si era mai sentita così a casa.

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