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Gnam Gnam fanno le scarpe

Quando Samantha si risvegliò la nuda luminosità del mattino le fendette le pupille.
Dovette quindi strizzare le palpebre per tre volte prima di potersi abituare almeno un po' alla luce, che - dopo ore passate nelle soffici tenebre del sonno - tagliava lo sguardo con la morbidezza di un rasoio a due lame.
Samantha staccò con un mugugno la testa dal finestrino e si stiracchiò piano, mentre i pochi contatti sinaptici nel suo cervello tornavano ad avere una vaga coscienza di sé e iniziavano a funzionare lucidamente.
Si sentiva i muscoli indolenziti e annidato in bocca aveva un disgustoso saporaccio, rancido ricordo del mix di patatine formaggiose, focaccine di scarsa qualità e biscotti al cioccolato della sera prima.
Era inoltre così sprofondata nel sedile smollato della macchina da sentirsi autorizzata a sperare che vi fosse rimasta impressa la forma del suo fondoschiena.

Ancora intontita provò a darsi una sistemata ai capelli, solo per accorgersi che il clima torrenziale del giorno prima li aveva resi crespi e amorfi. Questo le inondò entrambi i ventricoli del cuore di afflizione.
Era una grande ingiustizia, pensò mesta, ricordando soprattutto come invece le signorine in fuga dei video musicali avessero sempre delle acconciature impeccabili.
Sbuffò tristemente e, insieme all'anidride carbonica, buttò fuori anche quei pensieri, che si dileguarono silenziosi nell'aria viziata dell'abitacolo.

Samantha, abituatasi alla luce, contemplò quindi la porzione di realtà che poteva vedere dal sedile, che emanava un flebile odore di cane bagnato.
La pioggia aveva lasciato le sue ditate grigie nella polvere dei finestrini e, da brava massaia, aveva lavato il mondo, che ora luccicava radioso e pulito come un lenzuolo fresco di bucato.
Nel cielo finalmente sgombro il sole riluceva dubbioso e con un leggero pudore, quasi si vergognasse a farsi rivedere dopo tutto quel putiferio.
Ma era tornato a sorgere, come faceva sempre, considerò felice Samantha, iniziando a sperare di poter passare tutta la mattina a crogiolarsi in quei raggi tiepidi, filtrati con premura dal parabrezza.

"Ti spicci? Stiamo aspettando solo te, cristo!"
La ragazza sussultò sorpresa e per un istante pensò fosse stato il sole a parlarle. Tuttavia quando una mano prese a sbattere senza ritegno sul suo vetro Samantha fu a malincuore costretta a ricredersi. E solo in quel momento si rese conto che i suoi amici erano già tutti svegli.
Alexander era infatti seduto sul bordo del sedile posteriore e teneva le gambe allungate fuori dalla portiera aperta. Esme, invece, se ne stava in piedi davanti al cofano e, schermandosi gli occhi con una mano, scrutava la strada con espressione vigile.
Felix, infine, se ne stava appoggiato contro l'automobile a picchiettare le mani un po' sul tettuccio producendo sonori rimbombi metallici, un po' contro il suo finestrino.

Samantha trasse una sorta di egoistico piacere nel costatare che anche i capelli dei compagni avevano perso la loro battaglia contro l'umidità e se ne stavano dunque schiacciati, opachi e scoraggiati sulle rispettive teste.
Animata quindi da una rinnovata energia, si decise a spalancare anche la sua portiera e abbandonare il cantuccio che l'aveva accolta per tutta la notte. Uscì con una spinta risoluta dall'auto e si mise in piedi.
Il sole tiepido prese a scaldarle il corpo ancora intorpidito e lei bevve a grandi sorsi l'aria fresca e frizzante che la circondava, più consapevole che mai del sottile fetore presente invece nell'atmosfera della macchina.
"Hallelujah, eh" sbottò Felix, alzando con faccia spazientita le mani al cielo.
Samantha fece spallucce e sorrise scintillante di buoni propositi.
"Che cosa facciamo oggi?" domandò pimpante.

"Andiamo a cercare il distributore di benzina, penso" le rispose Alexander, sollevandosi dal sedile per chiudere la portiera con un tonfo attutito.
Esme annuì, chiuse ufficialmente l'automobile e subito si incamminò sulla strada chiazzata da profonde pozzanghere iridescenti. Alexander e Felix la seguirono a ruota, mentre Samantha decise di prendersi del tempo per salutare la loro non troppo fedele vettura.
La ammirò con affetto, utilizzando lo stesso sguardo spassionato e vagamente lezioso che si rivolge alla nonna che nonostante l'artrite cucina ancora i biscotti o al cane che, sebbene sia zoppo, continua comunque a riportare il bastone.

Con la sua ulcerata carrozzeria blu-camicia-da-ufficio e il paraurti acciaccato, l'auto sonnecchiava esausta e prosciugata, aspettando solo che loro le restituissero la linfa vitale con cui tornare a sfrecciare sull'asfalto nero.
È vero che i sedili erano tutti sdruciti, l'abitacolo aveva un diffuso odore di cimice e sotto la luce diretta del sole appariva nel complesso più brutta che mai, eppure Samantha sentiva di volerle bene.
La ragazza non sapeva se questo acuto sentimento di affetto disinteressato provenisse dal fatto che dopo aver visto con grande sgomento i Trasformers non aveva più guardato le macchine con gli stessi occhi, oppure dalla sua tendenza animista di attribuire agli oggetti una vita segreta, tuttavia le palpitava nel petto come solo le vere emozioni sanno fare.

"Tornerai a correre, te lo prometto" sussurrò all'automobile dormiente, suggellando la loro amicizia con un complice gesto di saluto e un sorriso amorevole. Dopodiché, si voltò e, dimenticandosi quasi subito quel lungo e melodrammatico addio, raggiunse i suoi altri amici con una sequenza di saltelli arzilli.

"Sappiamo dove stiamo andando?" chiese quindi, sorridendo a un refolo che le aveva sfiorato vivido le guance.
Esme ruotò il collo verso di lei e annuì senza esitazione, il vento che le scompigliava i capelli rosati.

Continuarono a camminare per una buona quindicina di minuti ispirando silenziosi l'aria effervescente. Minuti in cui Samantha non pensò a nulla di particolare, se non che era proprio contenta della piega che avevano preso gli eventi.
Se, infatti, fino a una settimana prima non si sarebbe mai azzardata nemmeno a calpestare le aiuole e, anzi, si sarebbe sentita in dovere di rimproverare aspramente chiunque avesse avuto l'ardire di farlo, ora viveva nella trepidante attesa che qualcuno si decidesse a proporre di rapinare una banca.
Forse non era diventata una persona migliore, rifletté, ma era sicuramente più felice.

Passarono accanto alla rotonda in cui si erano imbattuti la prima sera.
"Cristo, mi ero dimenticato di quella statua di merda" commentò Felix caustico.
Samantha registrò passivamente sia il commento dell'amico sia la statua, le immagazzinò in un'area recondita del proprio cervello e non si prese la briga di rielaborarle. D'altra parte, era troppo occupata a studiare con crescente sospetto e fascinazione la propria ombra, che la precedeva scivolando sicura.
Con quella sua caliginosa sottigliezza, quell'arcana ma inequivocabile impertinenza e i contorni netti eppure sfuggenti, la sua ombra costituiva per Samantha un motivo di interesse ben maggiore rispetto a quello offerto dal suo riflesso. Le ricordava un po' le sagome tracciate con il gesso o con il biadesivo sulle scene del crimine e la cosa non mancava di suscitarle un leggero, diabolico divertimento.

Intorno a loro gli uccellini fischiettavano misteriose arie con quelle loro vocette stridule e insensibili a qualsiasi cosa se non loro stesse. Il sole nel frattempo si era fatto forza e stava tornando a imporre il suo dominio, combattendo un'aspra battaglia con la frescura del vento.
La brezza che si levava a tratti profumava di gelsomino.

Dopo una quantità di tempo troppo soggettiva per poter essere quantificata, la soglia della percezione di Samantha fu attraversata dalla voce di Felix che sbottò in un incredulo: "Madonna, non l'hanno ancora aggiustata?"
Samantha a quel punto alzò lo sguardo e il suo petto fu inondato da una fiumana di gioia nostalgica vedendo dove erano arrivati. Erano niente di meno che alla stazione di servizio!
"Oh cielo!" pigolò quindi. Gli occhi le luccicavano dalla meraviglia. "Qui è dove ci siamo incontrati tutti per la prima volta, vi ricordate?"
Gli amici annuirono, senza riuscire a reprimere un sorriso e iniziarono ad aggirarsi per quello spazio che, sotto la luce indagatrice del giorno, si rivelava in tutto il suo squallore. Le pompe per la benzina erano impolverate e la vernice di cui erano ricoperte veniva giù a brandelli. Senza il bagliore della luna a investirla di fascino mistico o il neon sfarfallante a donarle una sorta di eterea luminescenza, la stazione di servizio appariva come il posto vecchio e piuttosto triste che era sempre stata.
Tuttavia Samantha non aveva bisogno di panorami perfetti e colori fiammanti per trovare il bello nelle cose, dunque nessuno dei difetti del distributore riuscì a mitigare il suo entusiasmo.
Lì era dove tutto era iniziato, pensò con un fremito.

Felix si era diretto con decisione nella direzione della macchinetta degli snack, il cui vetro, come il ragazzo stesso aveva fatto notare poco prima, non era ancora stato aggiustato e i suoi frammenti scintillavano ancora per terra. Felix allungò una mano attraverso il bordo frastagliato del vetro rotto, come Samantha gli aveva già visto fare, e afferrò qualcuna delle confezioni rimaste.
"Oddio!" Samantha non riusciva più a contenere l'emozione e vibrava gongolante i pugni all'altezza del petto. "Eri esattamente lì quando ti abbiamo visto la prima volta! Ricordi, Alexander? Era proprio lì! Con la mano tutta sanguinolenta!"

Felix si voltò verso Samantha storcendo la bocca. "Guarda che c'è poco da ridere, mi è rimasta una stramaledetta cicatrice."
Detto questo, sollevò con aria risentita un avambraccio per mettere in mostra il dorso della mano e far vedere il fantomatico sfregio. Tuttavia da quella distanza gli occhi miopi di Samantha non davano il loro meglio e lei non poté confermare l'affermazione del compagno.

Alexander, che insieme ad Esme stava cercando qualcosa che fungesse da contenitore, in quel momento alzò lo sguardo alla volta del ragazzo. Abbozzò poi in un sorriso che, pur essendo inibito dalla timidezza, rivelava una certa dose di affettuosa ironia.
"Be'..." iniziò a dire, "Fa... Fa uomo vissuto, dai."
Felix lo guardò con un leggero iniziale stupore e poi scoppio a ridere, seguito subito da Esme.
"Allora è stata una iella nera non essermela fatta in mezzo alla faccia. Vi immaginate quanto sarei sembrato figo con una cazzo di cicatrice sull'occhio?"

Mentre gli amici continuavano a ridacchiare, Samantha tornò a guardarsi in giro e si rese conto con suprema sorpresa che la strada che avevano percorso per arrivare lì quella mattina era la stessa che avevano percorso nella direzione opposta la prima sera.
Come aveva fatto a non accorgersene?, si chiese accorata.
Che occasione persa! Ripercorrendo quello storico marciapiede si sarebbe potuta ricordare a ogni passo le stelle che brillavano allora nel cielo, la sensazione di essere alle porte di una nuova magica avventura e il sapore croccante dei tre M&M's che aveva sgranocchiato.
A questo punto, sommerso dal patetismo dei suoi ricordi, il suo cervello decise di rincarare la dose e, in quel connubio di memorie, diverse immagini le si sovrapposero davanti agli occhi in un'associazione di idee che avrebbe dovuto fare subito, ma di cui lei non si era mai interessata più di tanto.

"Oh!" le sfuggì, più dalla gola che dalle labbra, a quell'improvvisa presa di coscienza.
"Il simbolo!" esclamò, "Quello del tridente, della statua! Io l'ho visto anche altre volte!"

Gli altri si voltarono di scatto verso di lei. Un soffio di vento le incollò qualche capello sulle labbra inumidite.
"E si può sapere dove?" le domandò Felix, scartando abilmente l'ennesima merendina.
"Boh," replicò eloquentemente la ragazza, "Su un cartello vicino al posto dove mi sono svegliata e su tipo un sito che stava consultando la bibliotecaria quando siamo entrati."

In quel momento, Esme sobbalzò e il suo viso ebbe come un'illuminazione, quasi fosse riuscita ad afferrare i lembi di un pensiero che le era sfuggito a lungo. Scattò in piedi, fece loro cenno di seguirla e si incamminò sulla strada che Samantha ricordava lei e Alexander avessero percorso per arrivare alla stazione di servizio.
I tre rimasti fecero spallucce e la seguirono.

Samantha percorse la strada a passetti veloci, curiosa di sapere dove l'amica li stesse conducendo.
Il rumore delle sue scarpe sull'erba croccante a lato della strada le ricordava quello di denti che triturino frutta secca. Gnam, gnam, le pareva facessero le sue suole.
Gnam, gnam, gnam.

In poco tempo, gli alberi si fecero via via più curati e nel giro di qualche minuto fra le piante ben potate si stagliò quella che aveva tutta l'aria di essere una grossa e piuttosto fuori luogo villetta.

Doveva appartenere ad una persona molto egocentrica, valutò Samantha, considerando che quello era l'unico edificio a non cadere a pezzi in quel paesello in polverosa decadenza.






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