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Chi non muore si rivede, parte due

"Presumo non abbiate un posto dove dormire, o mi sbaglio?" esordì Sen togliendosi quell'opinabile cappellaccio e appoggiandolo sul tavolino. Gli occhi erano così neri da sembrare costituiti da un unica pupilla gigante e abbastanza espressivi da fare trapelare una punta di ironia.
I quattro continuarono a fissarla senza sapere con esattezza come reagire. Lo sciacquio sotterraneo delle fognature ribolliva nell'aria soffocante mentre la donna li osservava con malcelata compiacenza.
"Be', se contiamo un rottame microscopico e puzzolente come posto dove dormire, allora sì, ti sbagli," rispose alla fine Felix con un certo fastidio. E, per suggellare il proprio disappunto, si sfregò seccato il naso.

Con tutta quella gente che saltava fuori all'improvviso, ricompariva senza ragione e si metteva a sparare un sacco di assurdità, gli sembrava di essere malauguratamente capitato in una di quelle squallide telenovele brasiliane tanto care a sua madre. Fortuna che non era ancora morto nessuno, si disse, altrimenti lo avrebbero sicuramente visto resuscitare con un grosso e insensato colpo di scena.
Shock, la salma non era mai stata tale. Sbam, il protagonista aitante e paralitico tornava a camminare grazie alla forza dell'amore. Plot twist, Sen non era mai stata catturata da nessuno e aveva passato tutto il tempo a sollazzarsi nei bar.
Felix si sentiva autorizzato a credere che la propria indignazione fosse non solo motivata, ma anche doverosa. 

Sen rispose alla provocazione del ragazzo con un sorrisetto che poteva dire tutto e niente, e prese a ravvivarsi i liscissimi capelli neri appiattiti dal cappello.
"Ho capito," commentò annuendo. Continuò a sistemarsi l'acconciatura senza aggiungere nulla, non una spiegazione sulla sua ricomparsa, non un cenno a cosa avesse fatto per tutto quel tempo. Il cameriere passava uno straccio inumidito sulla porta a vetri del bar senza fare caso a loro.

Alexander aveva irrigidito le spalle e incrociato le braccia al petto. Piccole stille di sudore gli luccicavano fra i capelli scuri e sul volto confuso.
"Ma Vadoma aveva detto..." iniziò incerto per interrompersi subito. Abbassò gli occhi sul bordo del tavolino di vimini e riformulò la frase. "Cioè, pensavamo ti avessero, ecco..." Lanciò un'occhiata di impacciata supplica a Felix, che non ebbe bisogno di farsi pregare oltre per scapicollarsi in suo soccorso. 
"Il succo è: cosa stradiamine ci fai qui?" domandò ostentando sfacciataggine, ma non riuscendo a rimanere indifferente alla riconoscenza di cui lo inondarono gli occhi di Alexander.

"Giusto!" concordò Samantha, la cui espressione solare suggeriva una totale e ottusa mancanza di stupore. "Non dovresti essere al luna park con tutti gli altri e non al baretto, scusa?"
Come suo solito Samantha aveva intravisto il fulcro del problema e aveva deciso di tenersene meticolosamente alla larga. Felix alzò gli occhi al cielo, anche se ormai faticava a dirsi sorpreso dalla perenne disattenzione della ragazza per le cose importanti.
Sen finì sbrigativamente di raccogliersi i capelli e abbassò il busto verso di loro.
"Vi spiegherò tutto, solo non qui," dichiarò modulando la voce quasi in un bisbiglio. Dopodiché, diede una scorsa rapida all'assolato ambiente circostante, afferrò il cappello con le unghie laccate di un perfetto blu e se lo infilò nuovamente in testa, calandosene la tesa sul viso. Esme la analizzava con una gamma di espressioni facciali che andavano dal sollievo, passavano per la curiosità, approdavano allo scetticismo e poi ripercorrevano tutta la scala a ritroso.
"Caspita, sei sotto copertura?" sussurrò Samantha, mandata in un solluchero di infantile esaltazione da quella prospettiva.
"Più o meno," annuì Sen prima di fare un cenno eloquente verso la strada. "Allora, venite con me o avete il desiderio sfrenato di tornare a crogiolarvi nel vostro rottame?"

Il sospetto per quella proposta satura di arrogante ambiguità e la stizza per la pseudo-frecciatina portarono Felix a incrociare la braccia con sdegno. "Venire con te dove?" brontolò quindi.
Sen si sistemò con maggiore accortezza il cappello sul viso e sorrise enigmaticamente. "Alla mia base segreta," rispose spedendo Samantha dritta dritta al settimo cielo.
A Felix, invece, parve di essere colato a picco nell'inferno del patetismo. Dopo il quartier generale non poteva mancare la base segreta, certo. Dovevano solo aspettare un terzo stronzo che li conducesse a un bunker militare popolato da ex-nazisti ed erano a posto.

Tuttavia i suoi amici sembravano disposti ad accogliere la proposta di Sen, e lui stesso dovette ammettere che non avevano quello che si dice un progetto geniale e accurato da dover perseguire con massimo puntiglio, dunque seguire Sen poteva rivelarsi addirittura una buona idea. Si consultarono mentre la donna aspettava paziente la loro decisione.
"Dai! Ci andiamo?" propose concitata Samantha, intrecciando le mani in un groviglio di dita unte di burro.
Esme si strinse nelle spalle e assentì, lo stesso fece Alexander, che proseguì fissando poi lo sguardo su Felix come per cercare anche la sua approvazione. Felix si inorgoglì un po', temporeggiò per qualche istante, ma alla fine decise di dare anche il suo beneplacito.
"Mah, sì dai," sospirò, "Siamo sempre in tempo ad andarcene."

Sen sorrise soddisfatta.
"Avete fatto la scelta giusta," si complimentò, "Anche perché scommetto che abbiate un po' di domande da farmi e io penso di potervi aiutare in molteplici modi."
Felix fece schioccare la lingua sul palato e si alzò dal tavolino, subito seguito dagli altri tre. Le gambe delle sedie strisciarono sulle pietre calde della piazza in una sinfonia di suoni stridenti.
Sen fece un cenno di saluto al cameriere, che interruppe la propria attività di lucidatura delle tazzine per ricambiarla, e si incamminò senza fretta.
"Su, andiamo," li esortò, facendo agilmente strada in quel dedalo di insidiosi tavolini in vimini. 

Felix rischiò per ben tre volte di sbattere contro gli spigoli tanto arrotondati quanto malvagi di sedie e tavoli, ma alla fine fu in grado di uscire incolume dalla zona ombreggiata dai parasole. La luce diretta lo colpì in mezzo alla fronte, violenta e fulminea come un minerale di iridio scagliato da qualcuno di parecchio arrabbiato.
"Cristo, quanto diavolo fa caldo," si lamentò facendosi aria con la camicia. Ottenne i consensi di tutti i suoi amici, non meno accaldati di lui, e pure di Sen che però, nel suo leggerissimo e pulitissimo vestitino beige e nella sua pelle diafana e perfettamente asciutta, aveva l'invidiabile aria di una a cui i raggi roventi del sole scivolino addosso senza lasciare alcun danno.

"Non è lontano comunque," li rassicurò la donna. 
Loro assentirono senza troppa convinzione e proseguirono ad arrancare sul selciato.
Le strade di quel postaccio sembravano prodotte in serie in una catena di montaggio da tanto erano simili fra loro e mai che cambiassero più di una virgola, eppure ogni nuova volta che ci passavano sembrava  peggiore della precedente.
Boccheggiarono per una decina di minuti fra le mura raschiate dal tempo e scolorite dal sole. Samantha zampettava accanto a Sen e le stava parlando di qualcosa che c'entrava con il tiro a segno e il pasticcio che lei aveva combinato con i prezzi, Esme ascoltava la conversazione ridacchiando, mentre Felix e Alexander camminavano fianco a fianco.

Qualche filo di vento faceva sbattere le veneziane contro gli infissi scorticati delle finestre e svariati bidoni della spazzatura occhieggiavano statici sui marciapiedi. 
A un certo punto Sen si fermò davanti a un edificio discreto e intonacato con una brutta sfumatura di marrone. Sfilò un mazzolino scarno di chiavi dalla tasca e trafficò con la serratura di un vecchio portone in legno verniciato finché un lungo strillo non uscì dai cardini forzati a ruotare.
La donna si girò quindi verso di loro e li invitò a seguirla dentro. I quattro tentennarono per qualche istante, ma alla fine si decisero a entrare.

Il portone dava su un piccolo atrio buio che sfociava in una stretta rampa di scale. I loro passi piombarono sulle piastrelle in ceramica ed echeggiarono per tutta l'altezza del condominio. Era la primissima volta che si avventuravano nelle viscere di una delle case e l'interno confermava tristemente le promesse dell'esterno: era infatti qualcosa di decrepito e antidiluviano in cui qualsiasi vecchia zitella bigotta avrebbe adorato appendere il proprio crocifisso migliore.
Sen appoggiò un piede sul primo gradino e li informò: "Il mio rifugio è all'ultimo piano, siamo praticamente arrivati".
Felix sbuffò profondamente urtato: nessuna ombra di un ascensore e ancora scale? E dovevano di nuovo percorrerle fino in cima? Cominciava ad averne abbastanza.
Scocciato, si avviò su per quei gradini impervi insieme agli altri, tutti demoralizzati quanto lui.
Come presto però ebbero il piacere di constatare, si trattava di una struttura molto vecchia e il suo ultimo piano corrispondeva al secondo di qualsiasi altro edificio, quindi in meno di due minuti furono in cima.

Sen attraversò il pianerottolo scarsamente illuminato e infilò una seconda chiave nell'unica porta che sembrava prodotta in quel secolo. Strofinò le suole sul dozzinale zerbino spaparanzato lì per terra e spalancò la porta.
Samantha fu la prima a fiondarsi dentro e l'espressione di tradita delusione che le si dipinse in volto fu interpretata da Felix come un ottimo segnale. Finalmente qualcosa che non li avrebbe lasciati istupiditi a boccheggiare stupore.
Esme entrò con aria curiosa, subito tallonata da Felix e Alexander, che si premurò di richiudersi la porta alle spalle.

La prima impressione che Felix ebbe fu quella di un immenso conforto: l'appartamento era anonimo, deludente e scialbo come aveva sperato. Il ragazzo fu tuttavia rapido a trasformare il sollievo in sufficienza e alzando un sopracciglio sdegnoso domandò: "Be', sarebbe questa la tua fantomatica base segreta?"
Sen ridacchiò e si sedette su uno sgabello in plastica buttato in un angolo.
"Ammetto di aver calcato un po' la mano," confessò togliendosi il cappello.

I ragazzi, ancora sull'uscio della porta, diedero una scorsa in giro. Erano in un salotto striminzito ed essenziale, che per l'impersonalità e la nudezza ricordò a Felix l'ambientazione di una pubblicità di prodotti per pavimenti, così come gli arredi erano tanto basici e disadorni da assomigliare in modo preoccupante alle forniture che si ricevono al primo livello nei videogiochi di simulazione.
Sul pavimento in laminato chiaro era posizionato un angusto divano in tessuto grigio, che un ruvido tappeto rossiccio separava dal mobiletto in plastica bianca su cui era posta la televisione. Schierate contro le pareti c'erano due tristi librerie riempite solo per metà da romanzetti western e manuali sulla pesca, mentre nell'angolo dove Sen era seduta era gettato un materasso sormontato da un lenzuolo stropicciato e da un borsone blu. Sulla parete di fronte a loro, fra alcuni scatoloni pieni di paccottaglia un varco senza porta forniva un quadretto spoglio della cucina, e alla loro destra una porta socchiusa permetteva di spiare in un corridoio stretto e scuro.

"È casa tua?" domandò Samantha con la bocca storta dall'insoddisfazione.
Sen la guardò divertita mentre si slacciava i sandali in cuoio con movimenti automatici.
"No," fu la risposta, immediata e scabra come l'appartamento in cui fu pronunciata. "Però, io mi comporto come se lo fosse e voi potete fare lo stesso," aggiunse stiracchiandosi le dita dei piedi.
"Ma e... allora, allora di chi è?" farfugliò Alexander che si fissava in giro disorientato e stringendosi nelle braccia.
"Ci arriviamo," replicò Sen annuendo. Poi notò la loro titubanza e sbottò: "Ma buon Dio! Non statevene lì impalati! Su, sedetevi un po' dove vi pare. Anche per terra, tanto è pulito".
Esme si strinse nelle spalle e decise di andarsi a sedere sul tappeto rigido. Samantha, Alexander e Felix si risolsero presto a fare lo stesso.

Spostandosi dall'ingresso, Felix scivolò accanto a uno specchio appeso alla parete e intravide per un microsecondo il riflesso del proprio volto, su cui l'acne, il caldo e la stanchezza facevano a gara a chi lasciava più segni. Sbuffò stizzito, si sedette a gambe incrociate sul tappeto e abbandonò la schiena contro il divano.
Quando tutti e quattro si furono accomodati lì per terra, i loro otto occhi si piantarono interrogativi su Sen.

La casa odorava di nuovo e questo esaltava le esalazioni di sudore, fatica e docce a base di acqua piovana di loro quattro.

La donna si sciolse i capelli, vi passò le dita per districarne i nodi e nel mentre si interessò: "Cos'è che vi ha detto Vadoma?"
I ragazzi si guardarono incerti, ma alla fine fu Alexander a prendere la parola.
"Che... che ti avevano catturata perché, ecco, perché volevi dirci cosa sapevate," disse spostando a intermittenza gli occhi da Sen ai pelucchi rigidi del tappeto e a Felix.
La donna si sistemò i capelli dietro le orecchie lievemente sporgenti e annuì.
"Immaginavo," commentò pensierosa, "In effetti sarebbe andata così se non mi fossi allontanata in tempo. Perché, non so se lo sapete già, quello zotico di Leandro aveva origliato un discorso mio e di Vadoma e sapeva che vi avrei voluto spifferare tutto." Fece una pausa in cui prese a massaggiarsi i polpacci.
"Per questo io e lui abbiamo discusso animatamente quella sera, il porco voleva distogliermi dal farlo, no? E quando mi sono dimostrata inamovibile mi ha minacciata. Mi ha detto che i patti non erano quelli e il grande capo non ne sarebbe stato contento e blah blah blah." Si appoggiò le mani minute sulle ginocchia e si sollevò dallo sgabello.
"Io ho deciso di andarmene prima di essere costretta a farlo e scoprire da me cosa c'era dietro tutto quello," proseguì mentre sfilava scalza davanti a loro per dirigersi in cucina.
"E ci sei riuscita?" intervenne Samantha, che nel frattempo armeggiava disperata con i lacci delle scarpe nel tentativo di toglierle. Felix sperò ardentemente che non ci riuscisse: avere sotto il naso il lezzo fetente dei piedi sporchi di Samantha era una cosa di cui faceva volentieri a meno. Per sicurezza, si allontanò comunque schifato e si avvicinò di più ad Alexander, di cui - come dovette ammettere a sé stesso con un certo imbarazzo - il flebile odore di inevitabile sudore non gli dispiaceva.

"Sì, ci sono riuscita," aveva gridato intanto Sen dalla cucina, "E voi?"
"Più o meno," rispose Alexander, a sua volta appoggiato contro il divano.
Felix emise un mugugno di assenso. "Già," confermò, "Abbiamo avuto l'onore di incontrare il mega stronzo che c'è dietro."
Dalla cucina si sentì il rumore di ante spalancate e richiuse con un leggero tonfo. Dopo poco Sen fece capolino con la testa
"Davvero?" domandò con sincero stupore, "Ho sentito cose piuttosto strane su di lui."
Samantha corrucciò la faccia in una sottospecie di broncio pensieroso e osservò: "Oh sì, lui è piuttosto strano".

Sen mormorò fra sé qualcosa e poi tornò a rivolgersi a loro: "Avete sete?"
Felix strabuzzò gli occhi.
"Diamine, sì. E ce lo chiedi pure?" sbottò prontamente. Faceva un caldo boia, aveva la lingua riarsa e la bocca impastata di saliva acre, come poteva non avere sete?
Sen uscì dalla cucina con una bottiglia d'acqua appannata dalla condensa e cinque bicchieri impilati. Li appoggiò su un tavolino in plastica abbandonato lì vicino, riempì il proprio bicchiere e fece un sorrisetto ironico. "I vostri riempiteveli da soli, siete abbastanza grandi."
I quattro assentirono con una nota di risentimento, calcata particolarmente da Felix e Samantha, anche se alla fine a versare l'acqua per tutti fu Esme. Quel liquido cristallino fluì con sibilante freddezza mentre zampillava nei bicchieri.

Samantha ebbe l'audacia di prendersi un bicchiere pieno fino a l'orlo e sgocciolò un po' dappertutto, lasciando chiazze bagnate sul tappeto e sul laminato.
Da parte sua, Felix non perse tempo e bevve così velocemente da sentirsi gelare al contempo l'esofago e il cervello. Gli parve di sentire le sue cellule fino a quel punto rinsecchite e grinzose tornare a fiorire rigogliose e appagate.
Esme beveva a piccoli sorsi e reggeva il bicchiere con entrambe le mani. Una perla d'acqua indugiò all'angolo delle labbra di Alexander, gli rotolò gelata sul mento e scivolò sulla pelle tesa del collo in una lunga striscia opalescente che terminò solo nel colletto della maglietta. Felix distolse a fatica lo sguardo.

Quando tutti loro ebbero ristabilito la normale percentuale di acqua nel corpo, Alexander appoggiò il proprio bicchiere sul tavolino e si rivolse nuovamente a Sen: "Ma tu come hai fatto a scoprire tutto?"
"Giusto!" si inserì Samantha, "Noi abbiamo fatto un sacco di domande ma nessuno ci ha mai risposto."
Sen appoggiò le spalle al muro imbiancato e tamburellò le dita sul bicchiere. "Be', tanto per cominciare la gente di qui era tenuta a non dirvi nulla. In secondo luogo scommetto che avete sbagliato approccio."
La luce del sole entrava da una piccola finestra e colpiva in pieno Sen, rendendole i capelli lucidi come petrolio. La schiena di Felix sudava contro la stoffa grezza del divano, quindi il ragazzo si vide costretto a scollarsi da lì e incurvare le spalle. Non c'era l'aria condizionata e nemmeno un cavolo di ventilatore lì dentro. Assurdo, si lamentò fra sé.
"Voi vi siete fatti avanti sempre facendo domande, dico bene?" continuò Sen appoggiando il bicchiere ormai vuoto sul mobiletto della televisione, accanto a un intatto pacchetto di fazzoletti.
I ragazzi annuirono.
La donna trascinò lo sgabello più vicino a loro e vi si risedette. Distese con calma le gambe. 
"Dovete sapere che il modo migliore di prendere contatto non è facendo domande, ma lamentandosi. Vi assicuro che è così, alla gente non piace sentirsi interrogata, ma adora lamentarsi." Si fissò le dita curate dei piedi. "Ed è quello che ho fatto, mi sono lamentata un po' qui e un po' là, finché non ho trovato chi aveva da lamentarsi più degli altri."

Felix si sentì un po' punto sul personale. Lui credeva fermamente che lamentarsi fosse un diritto sacrosanto e lo esercitava tutte le volte che ne aveva occasione. Quindi gli sembrò come se la sua arma migliore gli si stesse rivoltando contro e ciò lo portò a battere il pugno sul tappeto con nervosismo.
Esme aveva invece un'aria concentrata. Sporse il busto in direzione di Sen e senza troppi fronzoli chiese: "Di cosa si lamentano?"
La donna increspò un secondo la fronte e poi disse: "Questo forse non lo sapete, ma il paese era ed è in una situazione parecchio difficile e-"
"Questo lo sapevamo, fidati," la interruppe Felix, che iniziava a essere stufo di starsene lì fermo su quello scomodissimo tappeto a sentire chiacchiere per cui aveva già perso interesse, se mai ce ne avesse avuto.

Sen sorrise e riprese: "Il punto è che tutte le famiglie giovani se ne sono andate per garantire un futuro ai loro marmocchi e cose così. Dai e ridai, è rimasto qui solo chi apprezza l'odore della muffa o chi non ha abbastanza denaro per liberarsene."
"E quindi?" la incalzò spazientito Felix, pure il sedere e le gambe gli sudavano contro il tappeto.
"E quindi al megalomane che ha partorito il progetto serviva un paese in cui metterlo in pratica e a questo paese serviva un megalomane che lo salvasse dalla rovina. Il patto era quello di incrementare il turismo e modernizzare il posto con una centrale termoelettrica nuova di zecca, in cambio del permesso di recintare il paese e di ficcarci dentro voi quattro." Sen si alzò e si diresse verso la finestra per tirarne le tende, mitigando così l'azione del sole.
"Gli ingenui abitanti hanno accettato subito," proseguì mentre tornava a sedersi, "Continuo a non capire come nelle loro teste mettersi in gabbia potesse favorire il turismo, ma be', chi sono io per giudicare."

Felix sbuffò annoiato e si mise a fissare il soffitto stuccato in un bianco uniforme. Agli angoli non c'erano né muffa né ragnatele. Decisamente molto strano, sbuffò fra sé. Non era più abituato a luoghi puliti.

"Oh, e ha funzionato?" domandò Samantha, che grazie al cielo aveva rinunciato al progetto di togliersi le scarpe e teneva le mani giunte sullo sporco vestito azzurrino.
"Ovviamente no," sentenziò la voce di Sen, "L'unica volta che c'è stata una specie di turismo è stata con il luna park. Ma voi, giustamente, ve ne siete andati subito ed è durato solo un giorno. E lo stesso gigantesco buco nell'acqua vale per la centrale, mai che lavori e mai che palesi l'intenzione di farlo."
Esme si versò un altro bicchiere d'acqua annuendo pensierosa, mentre Samantha si tolse gli occhiali e li ammirò controluce, così da fare bella mostra di tutta la sporcizia che era spalmata sulle lenti.
Dopodiché domandò: "Ma perché te ne vai in giro in incognito allora?" Evidentemente sperava ancora che la loro vicenda di trasformasse all'improvviso in un'avvincente spy story.
Con la coda dell'occhio Felix intravide Sen stringersi nelle spalle. "Non voglio che Leandro mi riconosca o che qualche impiccione lo informi."
"E perché non l'hai detto a Vadoma?" riprese Samantha, stranamente non a torto, "Era molto preoccupata, sai?"
"Ero molto di fretta ed era più sicuro non dirlo a nessuno," spiegò Sen, "Però hai ragione, dovrei davvero trovare un modo per farle sapere che sto bene."
Ci fu un attimo di silenzio.

"Ma di chi è questa casa?" chiese d'un tratto Alexander. Felix scollò gli occhi da quell'insulso soffitto e li indirizzò sull'altro ragazzo. Anche lui a gambe incrociate, si tormentava il lobo roseo dell'orecchio sinistro con le dita.

"Diciamo della persona più giusta con cui potessi lamentarmi," rispose Sen, mentre giochicchiava con un orlo sfilacciato del vestito, "In pratica uno dei molti dipendenti diretti del progetto insoddisfatti dalla piega che hanno preso gli eventi. Uh, a proposito..." Si alzò in piedi battendo insieme le mani. "Fra un paio d'ore Igor dovrebbe essere di ritorno, quindi vi chiedo spassionatamente di andare a lavarvi."

Felix sbuffò di nuovo. Non sapeva se sentirsi più sdegnato dall'allusione a quel misterioso Igor del cavolo o dal fatto che Sen gli aveva appena detto chiaro e tondo che puzzava.









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