Ancora Alexander
I muscoli della faccia gli dolevano da quanto stringeva la mascella. La lingua giaceva come una pesante bistecca nella bocca asciutta. Sedeva rigido, abbracciandosi le ginocchia e conficcandosi, senza nemmeno accorgersene, le unghie nella carne delle braccia.
Alexander, pallido come la luna che brillava sopra di lui, non aveva il coraggio di muovere un muscolo.
Calmati. Va tutto bene. La notte non può durare in eterno. Ecco cosa andava ripetendosi come un mantra. A forza di rigirarsi in testa quelle parole, però, esse avevano perso di significato. Gli sembrava di soffocare sotto il peso morto della sua paura.
Fissava vacuo i fusti di papaveri davanti a sé. Passavano molti secondi fra un battito di ciglia e l'altro. Iniziava ad avere anche gli occhi secchi. Trasaliva ad ogni rumore, anche il più minimo faceva scattare un allarme di rosso panico lampeggiante nella sua testa. Aveva totalmente perso la cognizione del tempo: potevano essere passati cinque minuti come centoventi. Arrivò a temere di essere seduto lì da giorni. Forse da sempre.
Una formica iniziò ad arrampicarglisi spavalda su una scarpa, superò la fila di stringhe e si inerpicò con abilità sul calzino. Alexander lasciò che l'insetto proseguisse la scalata sui suoi jeans. La guardò, impassibile, confondersi con il tessuto nero e poi ricomparirgli sull'avambraccio. La sentì zampettare sulla pelle. Con un estenuante sforzo di volontà, la schiacciò con il pollice, per poi perdersi ad osservare quel cadaverino scuro. Intanto minuscoli moscerini avevano preso a svolazzargli davanti alla faccia, finendo per appiccicarsi al sudore che gli incorniciava il volto.
L'aria era calda, il suo corpo sudava, ma Alexander non ricordava di aver mai avuto così freddo.
Un suono lontano arrivò ovattato alla sua coscienza. Quanto sperava che fosse tutto solo un brutto sogno! Una proiezione crudele nella sua testa, che comodamente affondava in un cuscino morbido fra le rassicuranti pareti di casa. Ci sperava, ma non ci credeva.
Altri suoni. Qualcosa si muoveva fra gli steli dei rosolacci e si stava avvicinando. Orribili fruscii sempre più distinti e concitati lo paralizzarono. Alexander non aveva alcuna intenzione di alzarsi o di scappare e, anche volendo, non ci sarebbe riuscito. Decise di rimanere nel suo piccolo nascondiglio, immobile.
Il ragazzo tremava, con gli occhi spalancati e il panico nel cuore, fra i gambi di papavero.
La cosa si avvicinava sempre di più. Alexander sentiva le vibrazioni nel terreno sotto i piedi. Il rumore si fece sempre più vicino, il suolo tremò sempre di più, fino a che la cosa non raggiunse il ragazzo, rischiando di inciamparvi.
Alexander non sapeva se fosse più sollevato o deluso. Si aspettava un contadino dalla pelle cotta dal sole e le mani consumate, o un maniaco dalle pericolose parafilie, o, nello stato in cui era, anche un mostro gigante e affamato. Di certo non una sua gracile coetanea.
La ragazza lo guardò con occhi grandi e tonti, come quelli dei cerbiatti davanti ai fanali delle macchine, e proruppe in un sorpreso "oh!". Si guardarono perplessi per qualche istante: lei in piedi e affannata, lui seduto e accigliato. Per un po', il frinire delle cicale fu l'unico rumore.
"Sono Samantha" disse alla fine lei, ignorando, Alexander non avrebbe saputo dire se volontariamente o no, la stranezza della situazione. Il ragazzo deglutì e la fissò con diffidenza.
Lei inclinò un po' la testa e si abbassò, accucciandosi davanti a lui. Gli posò una mano sull'avambraccio e, con sincera curiosità, gli chiese:" Vieni spesso qui?". L'insanabile avversione per il contatto fisico di Alexander lo spinse a scattare all'indietro, sottraendosi a quel tocco appiccicaticcio. La ragazza non solo non sembrò pentirsi dell'inappropriatezza della domanda, ma pareva anche aspettare una risposta.
Alexander si rassegnò e buttò fuori dell'aria che non si era reso conto di star trattenendo nei polmoni.
"No, mi sono svegliato qui e ci sono rimasto" riuscì a mettere insieme.
Il volto dell'altra si illuminò: "È successo lo stesso a me! Solo che io mi sono mossa e, oddio non l'avessi mai fatto, ho visto delle cose..."
Il resto era un resoconto allucinato e confuso che c'entrava con ibridi creati in laboratorio e mostri nella sporcizia, a cui Alexander non fece molto caso.
"Ora che siamo in due sarà più facile trovare un posto meno spaventoso!" proseguì la ragazza, alzandosi in piedi, "Da che parte dici di andare?".
Lui le restituì uno sguardo ostile, ragionò per un attimo e decise che forse era giunta l'ora di spostarsi da lì. Ne aveva piene le tasche di quei maledetti papaveri. Si alzò. Non ricordava fosse così difficile: i muscoli gli fecero male, le ginocchia scrocchiarono e rischiò di perdere l'equilibrio. Dio, quanto era rimasto seduto?
Una volta ripreso il controllo del proprio corpo diede un'occhiata in giro: a sinistra si scorgevano delle luci, forse insegne al neon. Non era molto, tuttavia era più del nulla che si dipanava nelle altre direzioni.
"Direi di là" concluse, indicando il fatuo barlume di civiltà. La ragazza annuì e i due si incamminarono silenziosi fra i lunghi fiori, attratti come tristi mosche da quella luce lontana.
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