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Albicocche cotte dal sole e non solo quelle

Alla fine non era piovuto. Alexander lo capì non appena ebbe messo piede fuori dalla muffosa penombra del casale.
Il sole lo colpì in faccia dandogli il più abbacinante dei suoi buongiorno e il tepore della mattina gli scaldò gli arti indolenziti. Quando si fu abituato alla luce il ragazzo ebbe conferma di quanto aveva già intuito: i campi erano secchi e aridi come il giorno prima e il cielo luccicava come se non avesse mai visto una sola nuvola in tutti i millenni in cui era esistito. In sostanza, il clima aveva scherzato con loro nel modo più meschino possibile. 

Tutto quel trambusto e nemmeno una gocciolina, Alexander la trovò una curiosa metafora della vita. Sospirò, decisamente sollevato almeno per non essere rimasto sepolto sotto metri di secolare muratura.

Un venticello profumato di prato frascheggiava fra i fusti di grano, le foglie di edera guizzavano con un riverbero verde nell'aria tiepida, il vociare di Felix e Samantha vibrava vivace e lui si sentiva proprio bene. Del resto, nell'ultimo periodo, ad Alexander era iniziato a piacere svegliarsi. Gli piaceva aprire gli occhi e trovare quelli dei suoi amici. Vero era che non avevano una routine casalinga, dovevano adeguarsi alle più disparate abitudini e si svegliavano ogni volta in un angolo diverso di mondo. Come era vero che le colazioni erano quasi sempre deprimenti, i posti in cui si addormentavano così scomodi che la mattina ogni muscolo era anchilosato e non avevano mai idea di che ore fossero. Ma almeno, quando riapriva gli occhi, Alexander con loro non si pentiva di averlo fatto.

Dopo una notte all'insegna della pelle d'oca il clima si era intiepidito ed era facile immaginare che presto si sarebbe arroventato. Alexander si godette la temporanea mitezza del mondo.
Nel casale Esme stava ancora dormendo e lui, svegliatosi da poco, si era deciso a uscire sentendo le voci di Samantha e Felix provenire dall'esterno. Non fece alcuna fatica a individuarli. Stavano bisticciando qualche metro vicino all'entrata. Samantha era seduta fra i ciuffi di trifogli e appoggiava la schiena contro il muro dell'edificio in una delle rare zone prive di ortiche. Felix - e nel vederlo Alexander provò una vibrante scossa di buonumore - era invece in piedi e camminava fra le erbacce tirando qualche calcio ai detriti e ai pezzi di muro sparsi in giro. Stavano discutendo con equivalente fervore riguardo due argomenti totalmente diversi.

"Non mi prudono più, dici che è perché sono passate da sole o perché qualcuno mi ha spalmato addosso la sua saliva mentre dormivo?" stava dicendo Samantha con un timbro vocale acuto e brioso quanto quelli dei passerotti che cinguettavano sul tetto cadente.
"Ma chissenefrega, piuttosto sai quanto diamine di cibo ci rimane oppure no?" replicò Felix, tirando di punta un tocco di intonaco dritto dritto fra il frumento frusciante.
"Ma le tue prudono ancora? Intendo, le tue punture di ortica o si dice morsi? No, morsi no, sono quelli delle api..."
"Cristo, non posso sopportare queste cose senza edulcoranti."

Alexander tentennò un po' sulla soglia, con la punta lisa delle scarpe sotto la luce limpida del sole e i talloni scalcagnati ancora immersi nella penombra stantia. Dopo qualche istante di torpida meditazione si decise a raggiungere i compagni. La leggera brezza mattutina gli scompigliava i capelli mentre lui muoveva le scarpe sui cespi di erba croccante.

Non ci vollero più di un paio passi perché il suo sguardo incontrasse quello di Felix, il cui volto, fino a quel punto lievemente contratto, si distese nel suo solito sorriso un po' sghembo.
"Alexander!" lo salutò, "Diamine, per fortuna ti sei svegliato. Non ce la facevo più a contrastarla da solo. È troppo potente." Pronunciò le ultime parole alludendo canzonatorio a Samantha, intenta a studiare con massimo puntiglio la violacea globosità dei fiori di trifoglio.
Sentendosi chiamata in causa la ragazza di tutta risposta fece spallucce come se la cosa non la riguardasse affatto e sorridendo chiese: "Esme sta ancora dormendo?"

"Sì, penso di sì," annuì Alexander con la voce ancora impastata dal sonno e, non sapendo bene cosa fare con il suo corpo, decise di sedersi. Ebbe la fortuna di sprofondare in un punto ricoperto da un fresco manto erboso e non in uno di quelli popolati da fili di graminacee pungenti. Gli steli gli solleticarono la pelle.
Felix lo imitò e mentre incrociava le gambe tornò a rivolgersi a lui: "Dormito bene?" La voce era noncurante, ma gli occhi fecero sentire Alexander oggetto della più affettuosa premura.

Socchiuse la bocca pronto a rispondere, ma Samantha lo anticipò precludendogli ogni possibilità di farlo: "Mi hai spalmato tu la saliva?" Con ciò indicò le gambe ancora lievemente arrossate dalle ortiche, ma che non sembravano più dare alcun fastidio. Alexander sollevò le sopracciglia incerto: spesso non sapeva se a certe domande ci si aspettava che lui rispondesse davvero, e quella era una di quelle volte.

Fu Felix ad accorrere in suo soccorso.
"Ma cazzo, certo che non l'ha fatto," sbottò, "Cristo, sono passate da sole."
Samantha si guardò gli stinchi malconci con un'espressione di gongolante stupore.
"Oh davvero?" disse allegra, "Potevi anche dirmelo subito, è da secoli che te lo sto chiedendo!"

Prima che Felix potesse ribattere e dare avvio a un'altra discussione infinita, Esme sbucò fuori dall'edificio attirando la loro attenzione. Si guardò intorno intontita, si stropicciò gli occhi e, dopo averli individuati, fece loro un cenno di saluto.
"Ciao, Esme!" la salutò Samantha scuotendo la mano nella sua direzione.
"Mi spiace assalirti così di prima mattina, ma sai cosa diavolo c'è da mangiare?" le domandò invece Felix, sfregandosi distrattamente una mano sullo stomaco
Esme sbatté un po' di volte le palpebre, quando parve aver processato l'informazione indicò l'interno del casale e vi si riaddentrò. Ne uscì subito dopo trascinando gli zaini e sistemandoli infine nell'erba fitta. Alexander provò un certo senso di colpa nel vedere che stavano lasciando fare tutto a lei, dunque si alzò in piedi e la raggiunse. Felix e Samantha non esitarono a fare lo stesso.

"Dobbiamo razionare il cibo, dico bene?" commentò Felix avvilito.
Esme serrò le labbra e assentì desolata. Dopodiché si sedette e aprì la cerniera dello zaino. Lì l'erba era meno soffice e Alexander nel sedersi si sentì pungere i polpacci. La ragazza estrasse un pacco di biscotti, uno di quelli in cui i biscotti se ne stanno tutti impilati in un lungo cilindro di carta spessa, e distribuì tre dischetti a testa. Alexander fu l'ultimo ad accettarli. Se li rigirò un po' fra le dita: erano perfettamente circolari e compatti, dovevano essere ai cereali.
Felix fissava la loro grama colazione con una smorfia così sofferente che Alexander sentì il cuore torcerglisi in un nodulo duro. Ma cosa avrebbe potuto fare? Consolarlo sarebbe stato difficile, a meno che...
Alexander infilò una mano in tasca e trovò la rassicurante consistenza del lecca-lecca che gli aveva dato Felix. Era una cosa sciocca, ma l'aveva custodito. Come i cavalieri e i gentiluomini tenevano nel panciotto i fazzoletti ricamati delle loro fanciulle, lui portava con sé un cuoricino di cancerogeno zucchero trafugato durante una violazione di domicilio.
D'altronde l'amore si concretizza nei modi più improbabili.

Alexander guardò Felix che studiava afflitto quei miserabili biscottini e non ebbe più dubbi. Gli tese il dolcetto. Gli dispiaceva separarsene, ma gli dispiaceva anche di più vedere il compagno così sconsolato.
"Se hai bisogno di zuccheri, ecco... Tieni," gli disse.
Felix lo guardò sbigottito. Dapprima corrucciò le sopracciglia senza capire e poi le sollevò abbozzando un sorriso.
"Uh, no. Mi piace che ce l'abbia tu," replicò con un'alzata di spalle.
Un sorrisetto comparve sul volto di Esme prima che la bocca si spalancasse per addentare il biscotto e inghiottire insieme al boccone anche quell'espressione di chi la sa lunga. Alexander annuì, doppiamente felice per essere riuscito a dissipare la nube di sconforto dal volto di Felix e per potersi tenere il suo sciocco pegno d'amore. Si fece riscivolare in tasca il lecca-lecca e iniziò a mangiare i biscotti. Erano piuttosto secchi, si incastravano a lato dei denti e l'idea di solidità era solo apparente, in realtà erano tremendamente friabili e una cascata di briciole zampillava sui vestiti e sugli steli d'erba a ogni morso. Un paio di merli zampettavano vicino a loro nella speranza di beccare qualche avanzo, ma Alexander dubitava fortemente ce ne sarebbero stati.

"Sanno un po' di foraggio per cavalli, non trovate?" biascicò a un tratto Samantha ancora a bocca piena, "No, anzi, sanno esattamente di mangime per criceti." La faccia convinta e il tono da esperta con cui lo sentenziò fecero temere ad Alexander che non si trattasse di una spiritosa metafora o un'astratta supposizione.
"Diamine, mi costa ammetterlo ma hai ragione," convenne Felix facendo sparire anche l'ultimo biscotto.
Gli occhi di Samantha baluginarono dietro le lenti sporche. "Oh, avevi un criceto anche tu?"
"No, perché diamine avrei dovuto?" Felix fissò Samantha e dall'espressione che gli si dipinse in volto dovette realizzare il motivo per cui la ragazza conosceva così bene il sapore del mangime per criceti. "Cristo, mi stai dicendo che... No, anzi non dirmelo. Non voglio sapere."

Nel frattempo Esme aveva estratto dallo zaino una borraccia dal rivestimento grigio. Svitò il tappo e perentoria li avvisò: "Poca".
Esme si stava sobbarcando il lavoro più ingrato e Alexander le fu per questo riconoscente. Bevvero qualche sorso ciascuno, l'acqua era buona come solo quelle in bottiglia sanno essere e la borraccia in metallo, combinata al tempaccio della notte, l'aveva mantenuta fresca. Fortunatamente non faceva ancora così caldo e il bisogno di bere era più psicologico che fisico, tuttavia Alexander sapeva bene che prima di pomeriggio sarebbero stati condannati a venire a patti con bocche riarse e lingue asciutte. In ogni caso, decise di non pensarci troppo e si godette quel senso di refrigerio fin tanto che poteva.
Quando tutti ebbero finito di idratarsi, Esme rimise a posto tutto e chiuse gli zaini.

I merli curiosavano ancora nei dintorni, per nulla spaventati dalle loro quattro umane, gigantesche presenze. Sarebbero dovuti ripartire, Alexander lo sapeva, ma per qualche ragione nessuno accennava a muoversi. Si stava bene lì. Samantha si divertiva a canzonare i passeri scimmiottandoli con una sequenza di acuti "cip cip", Esme fissava il cielo cristallino solcato solo da qualche nuvola, bianca, sfilacciata e innocua. Felix invece era occupato ad avvolgersi i fili d'erba che gli capitavano a tiro attorno alle dita irrequiete, per poi sradicarli da terra e sminuzzarli. Alexander seguiva ogni suo movimento con grande fascinazione.

"Sapete, io mi sono trovata proprio bene a dormire lì dentro," disse Samantha quando gli uccellini furono volati via e insieme a loro il suo discutibile passatempo, "Faceva un po' schifo, ma aveva un certo non so che."
"Ecco, sempre... Sempre più pulito del motel," scherzò Alexander con voce incerta. Lui era ben consapevole di avere il classico, scomodissimo problema delle persone timide, per cui era così preoccupato che la battuta venisse male che si incartava e poi veniva male davvero. Eppure Felix rideva sempre lo stesso e lo fece anche in quel caso.
"Puoi dirlo forte," rise sgomitandolo, "Sicuramente in questo cavolo di rudere ci sono meno insetti."

Esme ridacchiò e facendo leva sulle ginocchia si alzò in piedi. Si spolverò i pantaloncini scrollandosi di dosso qualche fogliolina e rientrò nel casale. Ne uscì imbracciando le coperte appallottolate. Alexander si sollevò a sua volta e, come succede quando ci si alza troppo in fretta, la sua vista si offuscò, tutto si ridusse a una pixellata macchia nera e rossiccia, e lui barcollò. Quando fu in grado di uscire da quella tenebra vertiginosa, il mondo tornò al suo posto, il ragazzo strizzò le palpebre e si fece passare una coperta. Felix lo aiutò a sbatterla e arrotolarla, mentre Esme faceva lo stesso con l'altra e Samantha provava ad acciuffare un merlo particolarmente impertinente.

Incastrarono a fatica le coperte negli zaini e si guardarono. Dovevano ripartire, ma per andare dove? Alexander si mordicchiò l'interno del labbro. A pensarci bene era quasi paradossale che conoscessero la strada, ma non la meta. E, dato che una preoccupazione tira l'altra, il ragazzo si trovò a chiedersi se il Tale avesse già notato che qualcosa non andava. Si era già accorto che non erano più a scorrazzare nel centro del paese? Aveva già messo i suoi scagnozzi sulle loro tracce? Tutte quelle incognite non erano affatto rassicuranti.

"Secondo voi si sono... si sono già accorti che manchiamo?" domandò quindi. Ormai aveva imparato che vomitare fuori quanto lo tartassava lo rendeva meno terribile.
Felix storse le labbra. "Nah, quel tizio mi sembrava un po' troppo assorbito da sé stesso per preoccuparsi anche degli altri."
"Anche secondo me. E poi il signor Igor e Sen ci copriranno le spalle!" Samantha pose un'attenzione tutta particolare sull'ultima espressione, come se attendesse da tutta la vita l'occasione per pronunciare una frase simile.
Esme assentì e si caricò sulle spalle il primo zaino, a quella vista Samantha esclamò: "No! E' il mio turno!" Esme si strinse nelle spalle e senza fare obiezioni lasciò all'altra ragazza l'onore di trasportare il loro bagaglio, Alexander si sobbarcò di buon grado del peso dell'altro zaino. Le cinghie gli grattavano sulla pelle e affaticavano i muscoli, ma non era nulla che lui non fosse in grado di sopportare.

"Bene, immagino che dovremo ripassare in mezzo a quello schifo," commentò Felix guardando i campi sterminati e sterminanti con una smorfia di avversione.
Esme annuì e si incamminò. Nemmeno Alexander era felice della loro imminente passeggiata, ma dovette arrendersi alla necessità dei fatti. Si avviò a fianco di Felix, seguito a ruota da Samantha.

Tagliarono il campo in diagonale, facendosi strada fra le spighe che arrivavano alle ginocchia e la sovrabbondante, spinosissima flora di erbe infestanti. Le ali spiumate delle cornacchie e i corpi luttuosi dei corvi si levavano ancora in volo sul grano morente, ma sotto la sfavillante luce della mattina inoltrata non erano più così spettrali. Esme faceva strada passando per i punti più agibili, tallonata da Alexander che stringeva i denti sotto il peso dello zaino e da Felix.
Per ultima, Samantha ansava un po' per il carico che doveva portare e quando rimaneva troppo indietro li raggiungeva trotterellando in un'orchestra di rantoli affaticati, passi scomposti e viveri che cozzavano fra loro nello zaino. La strada si snodava davanti a loro, dritta e opaca, e si faceva più nitida a ogni scrocchiante passo sulla terra arida.

Alexander si girò più volte indietro. Sia perché la sua coscienza era ancora abbastanza forte da spingerlo a controllare che Samantha non si perdesse, sia perché una parte di lui era convinta che il casolare sarebbe crollato all'improvviso, franando in una malinconica collinetta di polvere che sarebbe stata spazzata via dal vento estivo. Inutile dire che non successe, o per lo meno non nei frangenti in cui il ragazzo ruotò il capo. La struttura divenne sempre più piccola, i miliardi di foglioline che la ricoprivano si amalgamarono ben presto in un'uniforme parete nerastra e le ortiche che ne abbracciavano le pendici sparirono dietro a metri di spighe gialle. Però continuava a essere lì, tristemente visibile nel suo vano tentativo di rannicchiarsi fra il frumento.

Alexander non era mai stato capace di indovinare l'orario, ma ipotizzò che stessero camminando lì in mezzo da una buona ventina di minuti. O forse a lui sembravano venti minuti, mentre ne erano passati solo cinque. E se invece il loro trapestio su quelle coltivazioni agonizzanti avesse occupato ore? Il ragazzo venne assalito dalla relatività del tempo e per non affogarci dentro decise di rinunciare a sguazzarvi. La strada si stava avvicinando, il sole era ancora alto. Si fece bastare questo.

Continuarono a camminare a passo sostenuto e, dopo un lasso temporale che Alexander non ebbe cuore di analizzare, riuscirono a raggiungere la carreggiata. Scavalcarono con movimenti maldestri il guardrail ammaccato e posarono le suole sull'asfalto.

"Oh, che bello! Siamo arrivati?" trillò Samantha togliendosi le pieghe dal vestito impolverato.
"Nah," replicò Felix facendosi schioccare la lingua sul palato, "Ora dobbiamo consumare i nostri piedi di merda su tutta questa strada infinita."

E così fu.
Fecero a cambio per chi doveva portare lo zaino e si rimisero in cammino. Alexander senza quel peso addosso si sentiva fisicamente più leggero, ma a livello emotivo fu sopraffatto dal bagaglio solido dell'apprensione. Gli dispiaceva vedere Felix costretto a incedere con quella zavorra addosso. E quindi si ritrovò a sperare che toccasse presto di nuovo a lui.
Alexander non ebbe difficoltà a capire che, per quanto l'orario per lui rimanesse ancora un mistero, ormai non era più prima mattina. Iniziava a sudare copiosamente.

In un primo momento, l'abitudine l'aveva portato a scalpicciare sul bordo della strada, fra i sassolini e le erbacce. Tuttavia, man mano gli era diventato sempre più chiaro che da lì non passava nessuno da parecchio tempo e si risolse a imitare gli amici e camminare esattamente al centro della corsia. Starsene in mezzo alla carreggiata senza preoccuparsi delle possibili macchine gli dava uno strano senso di libertà.

"Se volevo marciare come uno stupido soldato, mi arruolavo in quel cazzo di esercito," fu il lapidario e azzeccato commento di Felix riguardo la loro camminata.
E Alexander non avrebbe potuto dargli più ragione. Però, in fondo, sapevano bene tutti che, anche ammettendo che non dovessero fare in fretta, quantomeno non dovevano adagiarsi sugli allori. Il ragazzo deglutì un groppo di saliva amara.
Non gli piaceva non sapere dove stavano andando, a lui del resto le sorprese piacevano così poco che quando iniziava un libro leggeva prima l'ultima pagina per sapere cosa si sarebbe dovuto aspettare. Tuttavia doveva anche ammettere che nell'ultimo periodo stava iniziando a prendere un certo gusto nel fare salti nel buio e quella situazione non lo angosciava come avrebbe fatto di norma.

Il sole si surriscaldava a ogni battito di ciglia e cuoceva l'asfalto in modo così efficiente che Alexander iniziò a credere di star camminando su una piastra da cucina. Anche Esme, che di norma dettava il ritmo, dovette accusare i colpi inferti dal caldo e dall'intenso movimento, quindi presero ad avanzare con progressiva lentezza. Se da Samantha fino a quel momento era provenuto un confuso parlottio, presto questo si perse in un affaticato ansimare.

A quel punto, si fermarono qualche istante per bere e per fare un secondo cambio di turno. Alexander bevve, assaporando fino all'ultima molecola di quegli scarni rivoletti d'acqua che si concesse. Non era molto, ma gli diede un po' di refrigerio.
Lui e Samantha si rimisero gli zaini in spalla e tutti e quattro ripartirono, nello stesso boccheggiante silenzio che li aveva accompagnati fino a quel momento.

I campi che si estendevano attorno a loro brillavano con luminosità dolorosa sotto al sole diretto. Qualche moscone ronzava attorno ai loro visi irrigati di sudore e pure il vento aveva deciso che era meglio non avventurarsi fra le spire incandescenti di una giornata simile e si era quietato in una viscosa calura.
Alexander si inumidì le labbra secche. Lo zaino gli sudava contro la schiena e i raggi del sole gli scoccavano baci roventi sul volto esposto. Avanzava ansando e a tratti gli pareva di essere sul punto di perdere l'equilibrio. Se avesse mangiato di più forse avrebbe rischiato di vomitare.

Davanti a loro la strada sembrava non più andare avanti all'infinito, ma anzi pareva proprio interrompersi d'improvviso precipitando nel nulla. Quasi di sotto ci fosse stato un precipizio o le fantomatiche colonne d'Ercole che popolavano i libri di avventura quando ancora l'umanità si puliva il sedere con le foglie e pensava che la Terra fosse piatta. Tutto ciò diede una brusca vertigine ad Alexander, che ricevette così il colpo di grazia. Il senso della vista gli si polverizzò in una pulsante macchia rossiccia, il suo corpo barcollò sull'asfalto caldo e il suo cervello nel cranio provato. Dio, stava per svenire di nuovo?

"Tutto okay?" La voce di Felix gli diede una scossa e lo riportò con i piedi per terra. Alexander strizzò gli occhi e si rese conto che il compagno lo stava sostenendo per un braccio.
Boccheggiò un istante. E, per lo stesso riflesso che a lungo lo aveva costretto a portarsi una mano alla bocca ogni volta che la apriva, si trovò sul punto di sferrare il più automatico dei suoi "sì grazie", ma si fermò. Era con i suoi amici, gli unici che avesse mai sentito il bisogno di avere. E quello che gli stava chiedendo se stesse bene non era un socialmente minaccioso compagno di classe, ma era... era Felix. Perché avrebbe dovuto mentirgli? Questa riflessione articolata durò in realtà pochi secondi, sufficienti però ad Alexander per decidere cosa dire.

"Non molto," ammise massaggiandosi le tempie percorse da caldi rivoli di sudore, "Vi spiace se... se ci fermiamo un po'?"
"Diamine!" esclamò Felix continuando a sorreggerlo, "Certo che ci fermiamo, anche perché il mio orologio biologico segna che è ora di pranzo passata, eh."
Esme si era fermata qualche passo più avanti, aveva una lunga striscia scura di sudore sulla stoffa lilla del pigiama. Annuì visibilmente d'accordo e, dopo aver dato una scorsa al vuoto panorama che li circondava, indicò un punto ombreggiato a lato di un campo. L'erba cresceva rigogliosa e qua e là spuntava qualche albero. Forse era un vecchio frutteto, rifletté confusamente Alexander nel suo semi-delirio da cociore estivo.
Samantha si avvicinò e lo scrutò attentamente. "Qualcuno ha sempre la pressione un po' bassa, non è così?" insinuò con lo stesso tono che usa il dentista quando chiede allo sventurato di turno se si è ricordato di passare il filo interdentale delle ultime settimane.

"Dallo a me lo zaino," gli disse Felix allungando già la mano verso uno degli spallacci.
Alexander scosse la testa pesante. "N-no, no, non ce n'è bisogno."
"Ma quante storie!" sbottò Samantha, "Se non glielo dai tu, glielo do io il mio zaino."
Felix fece una smorfia. "Tu il tuo te lo puoi anche tenere." Samantha sorrise e fece spallucce.
Alexander alla fine cedette e passò lo zaino a Felix. In genere non gli piaceva ricevere aiuto, ma non era nelle condizioni poterlo rifiutare. Se fosse davvero svenuto avrebbe creato solo più problemi.
"Grazie,"mormorò quindi a Felix.
"E di che?" gli rispose lui guardandolo con quei suoi occhi dalla bellezza un po' selvaggia.

A quel punto seguirono Esme verso il frutteto. Alexander aveva superato il momento di quasi black-out e riuscì a raggiungere lo spiazzo senza problemi. Era a meno di una decina di metri dalla strada, l'erba era stranamente lussureggiante e disseminata da frutti caduti e schiacciati per terra. Le fronde degli alberi offrivano un valido riparo dal sole e l'odore di frutta troppo matura impregnava l'aria. Dovevano essere albicocche, gli alberi ne erano carichi. Si sedettero in quel campo minato di ammaccate bucce rossastre e aranciata polpa marcescente.

Si divisero due scatolette di insalata di riso, della quale Esme lasciò accuratamente da parte le verdure. Alexander si sentiva meglio a ogni boccone e quando ebbe finito fu certo di essersi ripreso del tutto. Si riposarono beandosi dell'ombra ristoratrice che li proteggeva dal bollore del cielo. Attorno a loro alcuni passerotti screziati di bianco beccavano le albicocche disseminate fra l'erba soffice.
"Secondo voi riusciamo a raccoglierne qualcuna?" domandò Samantha indicando quelle dolci sfere arancio brillante nascoste fra le foglie macchiate dal sole.
Esme si alzò in piedi, studiò l'albero ed emise un mormorio di assenso.
"Seh, bello tutto," si intromise Felix steso sul prato profumato, "Ma chi diamine ci arriva lassù?"
Non aveva torto, convenne Alexander, i rami erano bassi, ma la frutta si annidava solo fra quelli più alti. Tuttavia un modo c'era.
"Se... Se qualcuno sale sulle spalle di qualcun altro è possibile, no?" suggerì quindi.
Samantha scattò in piedi. "Oddio, sì! Io sono la più leggera e Alexander il più alto!"
Felix provò a ribattere, ma Alexander lo tranquillizzò. Del resto, si sentiva di nuovo in forze e aveva una gran voglia dei dolci sapori della frutta.

E fu così che in meno di un minuto si ritrovò con il peso appiccicoso di Samantha sulle spalle. Le gambe sudaticce della ragazza erano pericolosamente vicine alla sua faccia e Alexander dovette lottare con un sottile senso di repulsione. Samantha frugava con un fruscio fra i rami scuri e quando acchiappava un'albicocca la lanciava a Esme o a Felix. Alexander invece doveva impegnarsi a mantenere l'equilibrio, così da muoversi senza far cadere il suo prezioso e schiamazzante carico. 

Samantha gli diede un calcetto nel fianco con il tallone. "Un po' più avanti!"
"Ma vacci piano!" la rimproverò Felix, "Non è mica un cavallo, Cristo."
Esme ridacchiò e guardando le albicocche adagiate fra le sue braccia e fra quelle di Felix disse: "Bastano".
Samantha, con un sostanziale aiuto dagli altri due, scese un po' delusa e Alexander si sgranchì la schiena decisamente sollevato.

Mangiarono di gusto. Le albicocche erano morbide e succose, e riempivano la bocca di un sapore dolcissimo. Ne era valsa la pena, Alexander non aveva dubbi. Il sole filtrava fra le foglie verde brillante e illuminava di mille scintilli il tappeto di frutta spappolata, gramigna e trifogli. Esme mangiava appoggiata al tronco, le formiche le saggiavano la pelle con le zampette e poi riprendevano la loro strada sulla corteccia. Samantha studiava la polpa stucchevole con attenzione prima di cacciarsela in bocca, mentre Felix si divertiva a lanciare i noccioli agli uccellini cinguettanti che facevano loro compagnia e Alexander sbocconcellava i frutti sentendosi proprio bene.
Così, senza alcuno sforzo, fecero passare i picchi più caldi del pomeriggio.

Quando si decisero a ripartire il sole era ancora alto nel cielo, ma almeno Alexander non temeva più di ritrovarsi privo di sensi ad abbrustolirsi sull'asfalto bollente. Dopo aver fatto una bella scorta di albicocche, si allontanarono a malincuore dal vecchio frutteto e tornarono sul cemento. 

La fine della strada si avvicinava sempre di più, ma Alexander non accolse questa prospettiva con sollievo. Non riusciva infatti a liberarsi dalla sensazione che la strada precipitasse nel vuoto e il mondo si interrompesse all'improvviso. Cosa c'era lì? Dove stavano andando? Sen sapeva dove li aveva mandati? Davanti a loro sembrava che ci fosse come un pannello verticale dipinto con una vernice dello stesso azzurro intenso del cielo. Avrebbero finito con lo sbatterci contro?

Man mano che avanzavano un venticello dissipava l'afa e l'aria diventava come più gravida. Si udiva inoltre uno sciabordio sempre più vicino e sempre più forte. Possibile che fosse il vento? Alexander avrebbe mentito se si fosse definito tranquillo, ma a quel punto voleva solo vedere dove sarebbero finiti.

Con crescente titubanza si avvicinarono al ciglio della strada e infine, con i visi sudati e le gambe stanche, giunsero alla fine della carreggiata, quella stessa fine che era sempre parsa inarrivabile. E, quando questo avvenne, non poterono che osservare con supremo stupore cosa si estendeva davanti ai loro occhi sgranati. Samantha proruppe in un "oh cielo!" strozzato, controbilanciato dal "oh cazzo" che sfuggì invece a Felix, Esme sollevò le sopracciglia fin quasi all'attaccatura dei capelli e Alexander temette che un nuovo capogiro lo stendesse definitivamente.

Ecco perché non c'era stato bisogno di recintare tutto, pensò con un'ondata di stordimento. Ecco perché gli erano venute in mente le colonne d'Ercole. Lì c'era la barriera naturale più invalicabile di tutte. Lì c'era qualcosa di cui Alexander aveva sempre avuto una gran paura. Lì c'erano chilometri e chilometri di ignoto ruggente.
Lì c'era il mare.




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