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237 magnolie e nessun progresso

"Oddio, ma è morto?" esclamò Samantha, coprendosi la bocca, socchiusa dallo stupore, con una mano. Non aveva mai visto un cadavere e le dispiaceva un po' che il primo fosse quello di qualcuno che aveva iniziato a considerare come un amico. Guardò il corpo privo di sensi di quello che era stato Alexander: sembrava una bambola rotta.

Esme, però, scosse la testa sorridendo, per poi accovacciarsi accanto al ragazzo. Gli mise due dita al lato del collo, gli toccò la fronte e, con espressione soddisfatta, indicò il sole bollente che arroventava l'aria senza alcuna pietà. 

Felix, che nel frattempo non aveva fatto altro che gridare espressioni che Samantha non si sarebbe mai sognata di ripetere, smise finalmente di camminare avanti e indietro.
"Un colpo di calore?" proruppe con evidente sollievo.

Quello era qualcosa che Samantha aveva già sentito: era il suo momento di rendersi utile.
Si schiarì la gola, raddrizzò la schiena e, orgogliosa, iniziò a recitare: "Colpo di calore: una forma di ipertermia che si verifica per una disfunzione dei meccanismi di termoregolazione. Conduce a un notevole incremento della temperatura corporea centrale, associato a una risposta infiammatoria sistemica". Ci fu un silenzio saturo di stupore.

Esme le diresse uno sguardo ammirato, mentre Felix si grattò la testa incredulo e borbottò: "Il caldo deve avere un brutto effetto anche su di me".

Una spiegazione, in effetti, c'era: suo padre era un infermiere ipocondriaco ed ambizioso che voleva la figlia medico, dunque non era raro che le desse da leggere qualche strano libro pieno di figure orribili e descrizioni atroci. Vero è che Samantha non avrebbe saputo distinguere un infarto del miocardio da uno stiramento muscolare, ma, almeno, ne ricordava alla perfezione le definizioni.
Iniziò ad esprimere ad alta voce quest'inutile digressione sulla sua vita, quando Felix la interruppe, chiedendo, con tono concitato:" Cosa posso fare?".

Esme, che intanto aveva messo le braccia sotto quelle di Alexander, iniziando a trascinarlo verso una zona ombreggiata, mimò con le labbra la parola "acqua". Felix annuì e sfrecciò via in una delle viuzze che si allungavano di fronte a loro.

A Samantha sarebbe piaciuto avere tanta prontezza di spirito quanta ne aveva Esme, tuttavia era abbastanza sicura che difficilmente avrebbe avuto il coraggio di mettere le proprie mani sotto le ascelle di qualcuno che si era appena preso un colpo di calore. 

Si limitò a fare aria accanto al viso di Alexander, su muta indicazione di Esme, mentre quest'ultima gli teneva sollevate le gambe.
Erano all'ombra di quegli alberi un po' tristi che si trovano nelle città. Probabilmente un olmo, o un platano, anche se, per quello che ne sapeva Samantha, sarebbe potuto essere anche una palma o un baobab.

L'arrivo di Felix fu preceduto da un sonoro e frenetico scalpiccio. Aveva con sé una bottiglia di acqua da un litro e un paio di bermuda gialli.
"Chiunque svenirebbe se indossasse pantaloni invernali con quaranta gradi all'ombra" disse alludendo ai pantaloncini. Esme assentì, mentre iniziava a bagnare uno dei pochi fazzoletti rimasti nel pacchetto e tamponarlo sul volto e sul collo di Alexander. 

"Come te li sei procurati?" chiese intanto Samantha, indicando curiosa la bottiglia e i bermuda.
Felix si strinse nelle spalle: "Facile, ho spiegato la situazione. Ho detto che c'era bisogno di aiuto e di un pronto intervento". Si guardò le unghie: "Loro, però, non mi hanno creduto e così li ho rubati".
La ragazza sospirò, si era ormai rassegnata ad essere finita in una gang di criminali.
Una signora con un naso enorme e il sedere microscopico li superò senza degnarli nemmeno di uno sguardo.

Alexander spalancò gli occhi.

Il fazzoletto doveva essersi sfaldato a causa dell'acqua e piccoli pezzettini bianchi erano rimasti appiccicati al volto sconvolto del ragazzo. Fece scorrere le iridi su ognuno di loro. 

"Oh! E' vivo!" sbottò sorpresa Samantha, che, fino a quel momento, non era davvero convinta della storia del colpo di calore. I tre rimasero in silenzio, aspettando una reazione, una reazione che non tardò ad arrivare.

Alexander divenne magenta, socchiuse la bocca, si portò le mani al volto ed iniziò a profondersi in una sinfonia di scuse: "Scusate, non volevo. Mi dispiace, scusate".
Si stava ancora scusando quando Esme lo aiutò a mettersi a sedere e gli porse l'acqua. Il grappolo di scuse terminò solo quando il ragazzo si convinse a bere.

Felix aspettò che finisse per lanciargli i bermuda: "Ti abbiamo preso questi, ti sentirai meglio".

Alexander esitò e poi scosse violentemente la testa: "Grazie, ma non ce n'è bisogno. Sto bene, ora". Samantha pensò che anche lei avrebbe rifiutato se le avessero offerto dei pantaloni di quel colore.

"Non sono un granché, lo ammetto, ma almeno non rischierai di svenire di nuovo" replicò Felix sgomitandolo, "altrimenti sappi che ti lasciamo lì".
Alexander sembrò combattere un arduo conflitto interiore, prese un respiro profondo e alla fine annuì.

Si cambiò in uno dei piccoli e maleodoranti bagni chimici, vicino ad un cantiere lì nei dintorni. Certo, c'era dell'imbarazzo scritto a chiare lettere scarlatte sul suo viso, ma almeno non aveva più l'aria di chi dovesse cader morto ogni due passi. Non ebbe, però, il coraggio di buttare i jeans, che piegò e tenne sottobraccio, mentre guardava con stizza i bermuda gialli che aveva indosso e che non gli si addicevano quasi per nulla. 

Finirono di mangiare gli M&M's di Esme e le poche merendine, ormai praticamente liquefatte, che Felix aveva, per miracolo, ancora in tasca. Si riposarono per un po' all'ombra in un altro parco pubblico. Samantha trascorse tutto il tempo a contare i fiori di magnolia fra i rami. 
A volte qualche fogliolina le atterrava sul viso. Arrivò a 237.

Quando misero piede in biblioteca, erano solo le quattro del pomeriggio, ma Samantha si sentiva sfinita. La biblioteca era, neanche a dirlo, ridicolmente piccola e scarsamente rifornita. Sul soffitto frullavano un paio di ventilatori color panna, molto di moda in quel paese in cui l'aria condizionata sembrava essere un lusso per pochi.
La bibliotecaria se ne stava dietro un banco in legno chiaro. Aveva un neo sul lato destro del labbro superiore, un'aria indisponente e, ma che sorpresa, un paio di occhiali. 

Le rivolsero qualche domanda, ma lei si ostinò a rispondere solo "quello che c'è è sugli scaffali". E non è che ci fossero proprio molti scaffali. Samantha, prima di seguire i compagni fra i libri, allungò il collo per vedere cosa stesse leggendo quella donna sul computer che aveva davanti. 

Spiare sugli schermi degli altri era uno dei suoi passatempi segreti. Sull'autobus si divertiva sempre a scoprire cosa la gente facesse nel proprio cellulare. Le sue preferite erano le signore dell'est: guardavano i video musicali più strani. Purtroppo, la discrezione non era una delle sue migliori qualità e, in genere, le persone si accorgevano e le rivolgevano un'occhiata violata e di esplicita ostilità, abbassando la luminosità dello schermo o nascondendolo. Non era molto piacevole, ma era un effetto collaterale che Samantha era disposta a subire.

La bibliotecaria, nello specifico, era impegnata in un'appassionante partita a solitario. Samantha notò di sfuggita un'altra pagina aperta, col logo di un piccolo tridente sul lato.
Quel simbolo l'aveva già visto. La donna, però, le rivolse uno sguardo di inequivocabile irritazione e Samantha si vide costretta a raggiungere gli altri. 

I libri erano pochi e di edizioni vecchissime. Sarebbero dovuti essere ordinati alfabeticamente, ma, di fatto, erano sparsi a casaccio. Sui dorsi c'era un etichetta un po' sbiadita con scritto "Proprietà della Biblioteca Comunale", ma non era precisato a che comune si riferisse. Girarono a vuoto per circa un'ora. Alla fine decisero di sedersi sui divanetti molli e spelacchiati che dovevano costituire l'angolo lettura. Quel posto si era rivelato inutile, ma, almeno, lì il clima era più clemente. 

La poltroncina che Samantha aveva scelto era turchese e piuttosto comoda. Sprofondava un po', ma si sentiva coccolata. Le arrivavano i suoni ovattati del fruscio delle pagine e del tamburellare sui tasti del computer.
Felix si stava mangiando le unghie, Alexander, accanto a lui, si passava una mano sui polpacci con un'espressione indecifrabile, infine Esme si guardava attenta in giro. Samantha sentiva l'aria flebile generata dal ventilatore accarezzarle le nuca. Udiva il ticchettio attutito dell'orologio.
Tic. Tac. Tic. Tac. Tic

Si risvegliò sentendo bisbigli concitati. 
"Non so se è una buona idea" stava sussurrando Alexander.
Si era addormentata?
"Non abbiamo molte alternative" replicò Felix.
Per quanto aveva dormito?
"Non abbiamo già corso abbastanza rischi?".
"No, se ti risvegli in una città di amebe".
Samantha si stropicciò gli occhi. L'orologio segnava le sei e mezza. Sperò del pomeriggio.
"Io, forse, un po' mi sento in colpa".
"La decisione è fra rubare ora, rubare dopo o morire di fame".
Chissà di cosa stavano parlando.

Samantha stava per domandarlo, quando Esme si alzò in piedi e si diresse verso un tavolo su cui era poggiata una borsetta. Era una di quelle borsette marroni decisamente da vecchia. Samantha giurò a sé stessa che non ne avrebbe mai comprata una.
 Alexander e Felix ammutolirono di colpo.
"Ma dov'è la proprietaria?" bisbigliò poi Alexander, con l'espressione di chi, arrivato in cima al trampolino, non è più sicuro di volersi tuffare.
"Cosa diamine ne so, sarà in bagno".

Esme si diede un'occhiata in giro. Aprì con cautela la borsa e ne estrasse il portafogli. Anche a quella distanza, Samantha poteva dire con certezza che era un borsellino di lucido cuoio marrone, associato alla borsetta e brutto esattamente allo stesso modo. Esme tornò, senza alcuna fretta o preoccupazione, stringendo fra l'indice e il medio una banconota da 10 euro e quello che forse era un buono pasto. Si avviò verso l'uscita.

Samantha era ancora un po' intontita a causa del pisolino non programmato, tuttavia si fidava di Esme e si alzò anche lei.
Sentì Felix mormorare ad Alexander: "Era l'unica cosa che potevamo fare". Uscirono.

Fuori il cielo era ancora chiaro e pulito, diversamente dalle coscienze dei quattro ragazzi, che sembrarono farsi un po' più nere.









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