8: Una notte infernale
Daniél
Era passato un mese da quando era successo qualcosa che aveva sconvolto Diana e solo da un paio di giorni lei era stata dimessa dall'ospedale. Io speravo che la direttrice non infrangesse di nuovo la regola del Protettore, che lei stessa aveva provveduto a convalidare, ma ben presto mi pentii dei miei pensieri, perché per due giorni non aveva fatto altro che schernire la mia piccola, minacciarla agitando un altro, maledetto frustino che avrei volentieri spezzato in due se avessi avuto abbastanza forza per farlo.
"NO, NO, NO!" sentii gridare dalla stanza di Diana. Mi alzai dal mio letto e corsi verso quella stanza. Aprii la porta e vidi che lei era caduta a terra e si agitava come un'ossessa, forse in preda a un incubo. Il suo respiro era affanmato e aveva la fronte imperlata di sudore.
"Diana, tesoro, apri gli occhi! Guardami!" le dissi e vidi che lei apriva molto lentamente gli occhi, che divennero di colpo lucidi.
"Non picchiarmi anche tu, ti prego!" disse rivolgendo il suo sguardo implorante verso di me.
"Perché dovrei, piccola? Non ho alcuna intenzione di fare una cosa tanto orribile!"
"Io ho sognato che delle persone si accanivano contro di me..."
Mi chinai su di lei e le baciai la fronte. I suoi occhi erano rossi e gonfi e in quel periodo non faceva che piangere, in più la direttrice il giorno prima non aveva rispettato la regola secondo la quale io ero il protettore di quella ragazza, quindi lei, tenendo in conto la mia opiniome im merito, non doveva toccarla!
Guardai il letto che le era stato dato.
Mi avvicinai per tastarlo e sentii il materasso duro e rigido e una specie di sottiletta che fungeva da cuscino. Le lenzuola erano vecchie e, purtroppo, molte macchie di sangue ormai secco le ricoprivano. L'unica nota positiva di quel letto era proprio il fatto che fosse stato toccato da lei.
"Dio mio... ma come possono lasciarti vivere in queste condizioni?" chiesi tra me e me. "Piccolina, vieni! Ci starò io qui, tu vieni. Se vuoi dormirai nel mio letto."
"Mi puniranno e se la prenderanno anche con te..."
"Chiuderò a chiave tutt'e due le stanze e so che loro non hanno chiavi a disposizione. Fidati di me."
La presi in braccio, stringendola al mio petto come il più prezioso dei tesori. Era diventata ancora più magra nei pochi giorni in cui ero stato vicino a lei. Una volta arrivato nella mia stanza l'adagiai sul letto e la coprii con una coperta. Aveva ancora la febbre e dopo il sangue che aveva perso era ancora più debole di quanto già non fosse.
"Qui starai comoda, piccola." le dissi.
Chiusi a chiave la porta della mia stanza, ma non prima di aver preso delle lenzuola inamidate, che non avevo mai toccato, e un cuscino che pure non avevo mai preso.
Portai il tutto in camera sua e tolsi le lenzuola e il cuscino dal suo letto. Il materasso da un lato era sporco di sangue, quindi lo girai e vidi che l'altra parte era immacolata, per cui mi misi a sistemare là le nuove lenzuola.
Solo perché sono un maschio e sono ricco non vuol dire che io non sappia rifare un letto.
Decisi che mi sarei preso io stesso la briga di cambiarle le lenzuola.
Andai a gettare via le vecchie lenzuola e, nonostante fossero vecchie, sporche e stracciate un po' mi dispiaceva buttarle via, perché avevano qualcosa di lei.
Sentii qualcuno entrare e ricordai di nom aver chiuso a chiave la porta.
"Tranquillo, sono io!" mi disse Juan.
"Ciao amico!" gli dissi.
Notai che camminava con la schiena inarcata.
"Che ti è successo, Juan?" chiesi.
"Che vuoi che mi sia successo? Quello che, secondo quella maledetta stre..."
Gli tappai velocemente la bocca.
"Scusami amico, ma se lei dovesse sentirti ti ridurrebbe ancora peggio..."
Juan era piegato in due dal dolore ed io spostai la sua maglia e tirai fuori il kit del pronto soccorso.
Ormai lo portavo sempre con me, perché, poiché quei mostri non avevano la benché minima intenzione di chiamare un medico ero io ad occuparmi di curare gli studenti uno per uno.
Ormai stavo per finire la crema ed avrei dovuto fare rifornimento, perché in quella sorta di scuola era essenziale.
"Ecco!" gli dissi. "Ma toglimi una curiosità: quella donna ti ha malmenato durante la notte?"
"No... è da oggi pomeriggio che sto così" mi disse. Provò a tirarsi su, ma si ritrovò a gemere di dolore.
"Aspetta... spingi con i palmi delle mani sul pavimento e tirati su, altrimenti finirai col farti del male."
Lui fece forza sulle braccia e si tirò su, sempre con la schiena inarcata.
"Ora devo andarmene!"
"Che vuoi fare, Juan?"
"Voglio andarmene via da quest'inferno!"
"Hai perso la testa, per caso? Non potresti fare dieci mesri, sei troppo debole fisicamente, e lei potrebbe scoprirti e conciarti per le feste! Io le ho sotterrato un frustino, ma so con assoluta certezza che ne ha degli altri! L'unico posto in cui dovresti andare tu è l'ospedale, perché io posso averti prestato i primi soccorsi, ma non sono di certo un dottore!"
"E come ci arrivo in ospedale?"
"A me concedono di tutto perché mi chiamano Intoccabile, e se anche non lo fossi ti ci porterei io in ospedale..."
Aprii la porta e lo feci appoggiare a me.
"Mi dispiace, ma non ho un'automobile."
"Non fa niente" m@ rispose lui.
Lo portai fuori e vidi il guardiano in piedi, immobile.
"Mi scusi..." lo chiamai sottovoce.
Lui mi fece cenno di proseguire quando vide Juan con la schiena inarcata.
Arrivammo all'ospedale, quello in cui la mia piccola era stata ricoverata quasi un mese, e ci accolse proprio il medico che si era occupato di lei durante quel periodo.
"Cos'è successo?" chiese.
"Portiamolo dentro... guardi lei stesso" gli risposi.
Portammo Juan in una stanza e lui lo fece sdraiare. Gli sollevò la maglietta e iniziò a tastare i cerotti sulla sua schiena. Juan sussultava ad ogni tocco del medico e questo mi diede ad intendere che la direttrice lo avesse colpito con più violenza e cattiveria di quanto non fosse solita fare. Mentre il medico lo stava visitando e gli iniettava un antidolorifico Juan spiegò che non era la prima volta, da un mese, che la direttrice si accaniva in quel modo con qualcuno. Una volta aveva addirittura voluto che una ragazza si autoflagellasse, ma poiché lei si era opposta la direttrice gliel'aveva fatto fare con la forza e aveva voluto che un'altra ragazza, un'Intoccabile, assistesse. Quest'ultima non era come gli altri, ma aveva avuto paura di reagire ed era rimasta completamente scioccata da quello a cui aveva assistito.
"Dottore... è grave?" chiesi quando Juan si addormentò.
"No. Per fortuna non è grave, ma preferisco tenerlo qui per qualche giorno e curarlo. Purtroppo, per quante gliene ha date quella donna, rimarrà segnato a vita!"
Mi si ghiacciò il sangue. Marchiato, come una bestia da soma... come uno schiavo. Quasi scoppiai in lacrime nel ricordo dei film sugli schiavi che ci facevano vedere a scuola.
Anche se è orribile chiamare fortuna lo spezzarsi di una vita, credo che molti di quegli schiavi non volessero altro, perché la loro vita era stata distrutta.
Molti nascevano con la consapevolezza che la libertà era stata loro estorta e nel tentativo di riprendersela finivano per farsi molto male perché i cosiddetti "padroni", per "insegnare loro a rispettarli", ricorrevano alle punizioni più atroci, che li portavano, presto o tardi, allo sfinimento.
Altri, invece, nascevano con la cultura dello schiavo già inculcata dentro di loro, ma anche loro soffrivano, perché avendo quella concezione di se stessi non potevano aspirare a nulla di più e, anche se il padrone non li toccava spesso, finivano per distruggersi da sé attraverso il calo vertiginoso dell'autostima.
"Dottore... crede che mi sia possibile tornare al collegio? Sa, è per la ragazza che è uscita da poco da qui. Purtroppo non so se sono riuscito ad ideare un buon piano per portarla via da quel posto, ma voglio occuparmi di lei. Ho paura che se non lo faccio io se ne occuperà quella donna, e non sarà molto clemente con lei, specialmente dopo che, durante una crisi, le ha gridato contro!"
"Certo, vai tranquillo." mi rispose il medico.
Mi diressi velocemente verso il collegio, feci un cenno al guardiano per ringraziarlo e corsi verso la mia stanza. Aprii la porta e vidi che aveva gli occhi aperti e mi stava guardando.
"Perché sono qui?" mi chiese.
"Ma come? Non ricordi? Hai avuto un incubo, ho notato che il tuo letto era ridotto in pessime condizioni e ti ho portata qui."
Lei mi sorrise e si ridistese, ma la calma non durò a lungo. Una ragazza entrò tutta trafelata nella stanza e mi si avvicinò.
"Ragazzi, dovete andarvene il prima possibile! Romano ha nascosto il cellulare tra le lenzuola della camera di Diana e ha finto di non trovarlo. La direttrice sta passando al setaccio tutte le stanze deggli Anonimi e temo che se la prenderà di nuovo con lei se non ci sbrighiamo!"
Quella notte sembrava davvero infernale. Non voleva finire.
La mia piccola cominciò a tremare e la ragazza, che si chiamava Luz, mi fece un cenno ed io presi in braccio la piccola e iniziai a correre... ma non feci molta strada, perché la direttrice mi aveva battuto sul tempo.
"Questa ragazza ha rubato delle lenzuola ed un cellulare! Sarà severamente punita!" disse strappandomela dalle braccia ed iniziando a trascinarla via.
Diana
Cominciai a dimenarmi, urlando contro quella donna, che però mi rispondeva a suon di ceffoni.
Mi ritrovai nel giardino del collegio e la donna mi spinse contro un albero, facendomi sbattere la testa contro di esso. Sentii la voce di Romano che mi sussurrò: "Me la pagherai cara!", e mi strappò la maglietta, che cercavo di tenere ferma almeno dalla parte anteriore.
La direttrice mi legò mani e piedi all'albero e sentii che mi girava terribilmente la testa.
"LASCIATELA STARE!" urlava il mio protettore.
"Tu sei pregato di non metterti in mezzo! Questa maledetta mi ha derubato di lenzuola e cellulare e deve pagarle con la vergogna di essere esposta e con il dolore!"
Daniél afferrò Romano per il colletto e lo sbatté contro il mio stesso albero.
"Le lenzuola le ho prese io dalla MIA camera, perché le sue erano inutilizzabili e per quanto riguarda il telefono, so che sei stato tu a portarlo nella sua camera, perché io l'ho portata nella mia stanza, e per evitare che qualcuno di voi potesse farle ancora del male l'ho chiusa a chiave! E ora è meglio che tu stesso vada a slegarla!" concluse lasciandogli il collo e gettandolo a terra con un pugno.
"FERMATI, TI PREGO!" urlai agitata poiché temevo che se la prendessero in qualche modo anche con lui.
"Mi sa che aggiungerò una nuova regola!" intervenne la direttrice. "Se un Protettore commetterà uno sbaglio, il suo protetto pagherà per lui, quindi prepara la tua schiena, Diana, perché stavolta non la passerai liscia!"
"No, per favore, non mi faccia del male! Non mi faccia del male, la prego! Non ho fatto niente" la supplicai, ma ricevetti un altro schiaffo.
"NO! BASTA!"
Miss Mary corse verso di noi e trascinò via la direttrice.
"Molto bene! Io non toccherò questa nullità! Sarai tu a farlo, ragazzo!"
"Cosa? Neanche per sogno! Piuttosto prendo questa robaccia" disse indicando un fascio di bacchette, "e le brucio, una per una!"
"Ti avverto: non protestare o sarei costretto a dargliene tante da mandarla all'ospedale..."
"Io non la tocco! Non in questo modo!"
"Per favore, lasciatemi andare!" dissi con le ultime forze, ma non mi servì a niente.
"Molto bene! Allora saranno gli altri studenti, a turno!"
Romano scoppiò a ridere e stava per sferrare il primo colpo, cosa che sapevo perché, pur avendo gli occhi chiusi, sentivo il sibilo di quell'arnese, quando...
"Fermati! Lo farò io!" disse Miss Mary, e quasi mi prese un colpo. Lei era tanto buona... perché voleva farmi del male?
"Piccola, fidati! Non sentirai dolore" mi sussurrò all'orecchio.
Si mise ad accarezzarmi la schiena e sentii soltanto il rumore della corona di legno che si scontrava con qualcosa ed il suo orribile sibilo. Istintivamente, quasi come se Miss Mary mi stesse picchiando davvero, iniziai ad urlare fino a non averne più la forza. Tirai forte i fili, perché volevo liberarmi il prima possibile, ma nel tentativo di farlo caddi sulla schiena sbattendo la testa, e fu allora che la mia schiena urtò l'arnese di tortura, che si spezzò in due sotto il mio peso. Ero completamente stordita, tanto che persi conoscenza.
Mary
La mia bambina era svenuta. Le lacrime rigavano il mio viso, perché avevo dovuto far finta di picchiarla e speravo che l'illusione che avevo creato e le urla disperate della mia piccolina fossero bastate a quella strega.
Aveva la maglia strappata ed il corpo quasi del tutto esposto.
Vidi Daniél entrare per poi tornare con un pezzo di stoffa.
"Miss Mary, ma come ha fatto?"
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