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5: Strani avvenimenti

Passarono un paio di giorni e grazie alle cure del mio nuovo compagno mi ripresi molto in fretta. Lui mi cambiava le medicazioni tre volte al giorno.
Quel momento mi piaceva, perché quando lui mi curava mi sentivo davvero protetta. Era da un pezzo che non mi accadeva.
Soltanto con Miss Mary mi sentivo in quel modo, e neanche per molto tempo, perché appena lei manifestava un po' d'affetto nei miei confronti c'era qualcuno che la sgridava e anche se lei non me lo faceva pesare io non volevo che la sgridassero solo per colpa mia.
"Ehi, bellezza! Come ti senti oggi?" mi chiese dolcemente Daniél.
"Meglio, grazie." risposi io timidamente.
"Mi permetti di controllare le tue ferite?" mi chiese con dolcezza.
"Certo." risposi per poi cercare di tirarmi su, ma quelle ferite mi facevano ancora male.
"Piano, tranquilla" mi disse aiutandomi a girarmi e tirandomi delicatamente su la maglia. "Ora ti farò un po' male. Sei pronta?"
Annuii, ma mi affrettai a rispondere anche verbalmente e fui colta da un brivido.
"Guarda che non ti faccio nulla se mi fai solo un cenno d'assenso, puoi stare tranquilla. Ma dopo, se non ti dispiace, vorrei sapere qual è il motivo delle tue reazioni."
Lo sentivo togliere i cerotti dalla mia schiena, anche se cercava di non strapparli con troppa violenza.
Lo sentii spalmarmi la crema fredda sulla pelle e provai per qualche secondo un po' di sollievo. Mi applicò i cerotti, poi mi rimise a posto la maglia.
"Ora siediti e spiegami cosa ti è successo." mi disse. "Io voglio aiutarti, ho bisogno che tu me lo dica."
Non ebbi il coraggio di guardarlo negli occhi. Mi vergognavo molto delle botte che avevo preso nella mia vita, mi sentivo davvero sporca.
"Non aver paura, guardami! Diana!"
Continuai a restare in silenzio, immobile. Tremavo.
"Ti prego, guardami!" ripeté lui posando entrambe le mani ai lati del mio viso e compiendo movimenti circolari su di esso. Mi veniva da piangere, ma da quando lo conoscevo davanti a lui non avevo fatto altro e non ne potevo più di andare avanti in quella maniera.
Lui mi prese le mani e sorrise.
"Se ti hanno fatto del male non è colpa tua, piccola Lady!"
"Ero una bambina... ero appena arrivata. Mi trovavo di fronte alla preside e non... n-non volevo... che accadesse."
"Cosa? Che ti hanno fatto?"
"La direttrice mi parlava... ad un certo punto mi ha fatto una domanda ed io ero talmente spaventata che per risponderle ho fatto solu un cenno d'assenso con la testa. Lei si è infuriata, e..."
"Va bene, va bene, tranquilla."
"E poi c'è Romano che ogni volta che se la prende con me dice che mi ama. Mi picchia e dice che mi ama, mi umilia e ripete la stessa cosa."
Mi venne ancora da piangere.
"E tu cosa provi? Gli vuoi bene?"
"Da bambini eravamo amici... solo amici. Poi non so cosa sia cambiato, ma... ma lui un giorno mi ha presa, mi ha sbattuta contro il muro e mi ha scritto sulla fronte delle parole orribili. Ero descritta come un mostro e ogni volta che camminavo a testa bassa lui mi dava un pugno."
Avevo aperto un altro po' di me stessa a lui, ma non ero pentita. Sapevo di potermi fidare. Le mie sensazioni mi guidavano sempre. Ad esempio quel giorno sapevo che Romano non mi aveva chiamata per giocare con me. Voleva fare qualcosa, ma la mia mente si era rifiutata di crederci.
"Se tutti gli uomini ricchi del collegio fossero come te tutte le ragazze Anonime sarebbero al sicuro, lo sai?"
"Perché dici questo?"
"Perché una mia amica per colpa loro ha sofferto molto e quando ho cercato di aiutarla se la sono presa con me. I ragazzi con lei, gli Educatori con me."
"Tu non dovresti stare qui. Nessun ragazzo dovrebbe starci. Questa specie di scuola dovrebbe solo chiudere!"
Il suo tono si era alzato di un'ottava. Mi facevano paura le persone che si arrabbiavano, perché temevo di farne le spese.
"N-non fare così, ti prego!"
"Come faccio? Guarda cosa ti hanno fatto! Non può continuare in questo modo, lo capisci?" mi disse, ma stavolta il suo tono era più basso. Lui si accorgeva subito del momento in cui mi spaventavo, anche se non avevo la più pallida idea di come facesse a capirlo. "Scusami... non volevo metterti paura, Diana!"
Lo vidi alzarsi dal letto e dirigersi a grandi falcate verso la porta. Non sapevo cosa volesse fare, ma ebbi paura che qualcuno gli facesse del male.
"Dove vai?" gli chiesi.
"A chiudere questa storia." mi rispose lui.
"Non farlo, ti prego! Ti faranno vivere l'inferno! Non farlo!"
"Che lo facciano! L'importante è che la finiscano con te!"
Lui lasciò la mia stanza ed io mi buttai sul letto e scoppiai a piangere. Lui era l'unica persona decente tra gli Intoccabili e la sua vita rischiava di trasformarsi in un incubo. Non volevo che accadesse, non era giusto!
"Ah, sei qui!" sentii qualcuno chiamarmi.
"Ancora tu? Ma che cosa vuoi da me?"
"Tu sei soltanto una piccola traditrice!" disse scaraventandomi sul letto. Mi prese le mani e me le legò alla spalliera del letto. Iniziai a tremare, sentendo i muscoli tendersi semphe di più. Lui mi strappò di dosso metà maglia e anche le medicazioni e iniziò ad infilare le dita nelle mie ferite che si stavano riaprendo.
"Perché diavolo passi tanto tempo con il ragazzo nuovo? Ti piace, vero? Lui ti piace!"
In quel momento la vergogna mi diede un coraggio che pensavo di non avere, inarcai la schiena stringendo in quel modo le sue mani in una morsa e, voltando per quanto possibile il viso verso di lui gli chiesi: "E a te cosa diavolo importa? Non sei il padrone della mia vita, e se qua dentro te lo fanno credere io non sono più disposta a darti la soddisfazione di tenerla in mano, è chiaro?"
Lui mi assestò un colpo con quell'arnese che tanto odiavo ed io urlai dal dolore.
"Non devi parlarmi in questo modo, hai capito?" disse.
Un altro colpo, un altro e poi un altro ancora.
"Che quella maledetta cosa che hai in mano possa ritorcersi contro di te!" esclamai, non avendo perso il mio coraggio.
Vidi l'arnese di legno volare.
Le corde che mi stringevano i polsi si sciolsero da sole e vidi la bacchetta fluttuare nell'aria, intorno al corpo del mio aggressore, come se avesse preso vita. Io la fissavo. Non volevo davvero che lo colpisse.
"Non farlo, non farlo!" pensai.
La bacchetta non toccò mai il corpo di Romano, ma vidi che sul suo viso si aprivano da sole delle ferite. Lui cercava di colpirmi, ma notai che si stava... prendendo a schiaffi da solo?
Fu l'ultima immagine che vidi, prima che lui mi facesse sbattere la testa contro la spalliera del letto, facendomi perdere conoscenza.

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