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11: Punizione? No, meglio ingiustizia!

Diana
"Che significa? Quali sono queste capacità? Lei lo sa, signor Miguel?"
"Tesoro mio, il fatto è che..."
"CHE COS'HAI COMBINATO, PICCOLA IMPERTINENTE?"
Le urla della direttrice mi stavano letteralmente spaccando i timpani. Vidi tutta la mia vita sfrecciarmi davanti agli occhi. Quella donna m'incuteva un terrore tale da paralizzarmi del tutto. "E NON RESTARTENE LÌ IMPALATA!"
A quelle parole cercai di alzarmi, ma tremavo tanto da non riuscire a stare in piedi. Lei mi prese per un braccio e mi tirò su a forza, facendomi quasi cadere. Mi stava facendo male. Lei non sembrava intenzionata a mollare la presa ed io provavo un dolore tremendo.
Quella donna mi fece scendere le scale così in fretta da farmi cadere a faccia in giù sul pavimento. Sapevo perfettamente dove stavamo andando: quella donna m@ stava portando nella cantina del collefio. Se fosse stato solo quello non avrei avuto paura. Il buio non mi spaventava per niente. Al contrario: mi ci rifugiavo quasi sempre, ma la vera punizione era il fatto che gli Intoccabili potevano farmi visita in qualunque momento, farmi del male e nessuno avrebbe fatto una piega.
In fondo cosa significava per loro una stupida Anonima, come dicevano sempre?
"Alzati!" mi ordinò la donna.
Mi tirai su e lei continuò a trascinarmi. Caddi non so quante volte per terra e ogni volta che cadevo ricevevo un ceffone talmente forte da sentirmi continuamente stordita. Quando arrivammo nello scantinato la direttrice mi spinse contro un muro, mise delle manette ai miei polsi e m'incatenò là. Era la prassi e per ogni lamentela la sferzata era dietro l'angolo.
Strinsi i denti per sopportare meglio il dolore alle braccia e, in seguito, anche alle gambe. Non opposi resistenza quando mi legò, perché volevo aspettale che andasse via per farmi aiutare. Una lacrima mi solcò il profilo della guancia destra e la direttrice, purtroppo, se ne accorse ed afferrò una ciocca dei miei capelli, tirandola forte.
"Non piangere!"
Cercai di reprimere le lacrime, ma sembrava che il destino mi fosse avverso anche in quello perché non facevo che piangere e lei tirava più forte i miei capelli.
"Sai, ho conosciuto delle ragazzine pestifere e ingrate come te! Sai che fine hanno fatto? Si sono ritrovate a chiedere l'elemosina davanti ad una chiesa oppure a vivere in maniera deplorevole per pagarsi da vivere!" urlò la direttrice, facendomi sentire, se possibile, amcora più sporca di quanto già non fossi. Io avevo ed ho anche ora un difetto enorme: quello di credere a qualsiasi cosa negativa rivolta a me. Io mi sentivo cattiva, brutta, sporca, eppure le rare volte in cui uscivo dal collegio mi capitava di ricevere sguardi che non ispiravano compassione, ma tenerezza... quasi affetto: qualcosa che, se non fosse stato per Miss Mary che continuava ad offrirmene, non avrei potuto ricordare che cosa fosse.
Quando vivi come un animale sei costretto ad adeguarti e vivere quelle abitudini... chi come me vive provando un'assoluta mancanza di affetto rischia di avere paura di manifestarlo.
Ero assorta in quei pensieri, tanto che neanche mi resi conto del fatto che la direttrice era uscita dallo scantinato e mi aveva abbandonata come una bestia. Ero legata, non potevo di certo agitarmi, perché se l'avessi fatto avrei colpito la parete e e mi sarei fatta un bel po' male... scuotendo forse avrei allentato i fili che mi tenevano legata, ma guardando in basso vidi che mi trovavo ad un'altezza considerevole... e se fossi caduta avrei sbattuto la testa e già mi era successo un bel po' di volte.
Non sapevo cosa fare. Avevo paura di gridare perché avrebbero potuto fare di meglio.
Per fortuna non mi era capitato quello che era successo ad un'altra ragazza... io all'epoca non ero al collegio, ma mi raccontarono che la poverina che qui sotto c'era stata chiusa nuda, quando fu tirata fuori, avevano dovuto portarla all'ospedale per quanto stava male.
Là sotto faceva un freddo terribile. I miei occhi continuarono a pizzicare e, nonostante il terrore che provavo per il fatto che la direttrice avrebbe potuto fare il suo ingresso e suonarmele di santa ragione perché avevo osato piangere mi lasciai andare, totalmente arresa alla mia "giusta punizione", come la chiamava lei ogni dannata volta.
Abbassai la testa, cercando di nasconderla sul petto, anche se mi era molto difficile visto che, per l'appunto, ero legata al muro. Iniziai a singhiozzare e sentii il suono del mio respiro spezzato riecheggiare tra le pareti di quella cantina.
Il suono mi distrasse troppo poiché non mi accorsi del fatto che qualcuno stava per entrare là dentro. Quando lo notai, però, era già tardi.
"Finalmente siamo soli, dolcezza!" disse un ragazzo che solo con la sua voce mi provocava un enorme disgusto.
"Ti prego, non farmi del male!"
"Ah, non dovrei farti del male! E tu, piccina, cos'hai fatto?"
"Non l'ho fatto apposta" tentai di dirgli, "non avrei mai immaginato che potesse accadere una cosa del genere!"
Lui prese i miei capelli e quando lo fece capii che anche quelli erano attaccati al muro... per forsuna li avevo lunghi, perché altrimenti per muovermi mi sarei fatta ancora più male.
"Romano, per favore... non farmi del male!"
"Oh, piccolina! Non temere, ti assicuro che se farai la brava andrà tutto bene e nessuno si farà male" disse con un tono quasi... mieloso!
"Ti prego, no!"
Lo sentii avvicinarsi e sfiorarmi la schiena. Quel contatto mi provocava ribrezzo, tanto che cercai d'inclinarmi lateralmente, almeno per quanto mi era consentitk dal fatto che ero legata come una bestia da soma. Sfortunatamente appena provai a spostarmi almeno un po' mi arrivò un ceffone in pieno viso, che mi portò ad urlare come se fossi impazzita.
"QUALCUNO MI AIUTI! PER FAVORE, AIUTO!" urlai.
"Stai zitta!" mi sussurrò lui.
Lo sentii tirare qualcosa, poi mi voltai per quanto possibile e vidi che si trattava di scotch. Il nastro adesivo mi fu applicato alla bocca, ma non me ne curai e iniziai a grugnire il più forte possibile.
Forse Romano aveva lasciato la porta aperta, perché qualcuno ci raggiunse e subito dopo lo sentii ansimare.
"Toccala ancora e ti giuro che ci rinchiudo te qui sotto e cee la chiave la butto o la sotterro!" esclamò il mio salvatore.

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