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𝕺𝖕𝖆𝖑 ꧁៙Settimo capitolo៙꧂

Erano trascorsi altri giorni di logorante monotonia. Stavo impazzendo in quella stanza.
Avevo riacquistato peso e mi sentivo in forma. Ero pronta per tornare a casa nonostante Elia non voleva saperne di dimettermi.

Tuttavia avevo retto fin troppo.
Quella mattina mi ero alzata relativamente presto, svegliata dai tuoni di una tempesta assurda.
Il cielo era nero nonostante fossero solo le undici di mattina.
Avrei atteso la fine di quella pioggia, messo tutto via e firmato io fogli di dimissione.
E sarei stata libera, finalmente libera.

«Cosa fai?» mi domandò Elia più tardi, entrando per le solite misurazioni.
«Metto via tutto. Stasera vado via».
«E questo chi lo avrebbe deciso?» mi rispose tranquillo.
«Io».

Lo sentii ridere.
«Non dire sciocchezze».
Lo guardai malissimo, chiudendo con stizza il borsone.
E lui mi stava guardando... Mi guardava con una tale intensità che non vedevo in lui da tempo.
Sembrava eccitato e mi bastò guardare in basso, verso il cavallo dei pantaloni, per accorgermi che lo era davvero.

Ci scambiammo ancora qualche occhiata, carica di discorsi. Non stavamo più insieme da quasi tre mesi. E, conoscendolo, in quel tempo probabilmente non era stato con nessuna.
L'astinenza era più forte del suo orgoglio ferito per fortuna. E il suo corpo era più propenso al perdono rispetto alla sua mente.

«Non riesco più a vederti e restare impassibile» sussurrai andandogli incontro, senza interrompere il nostro abbraccio visivo. I nostri occhi stavano facendo l'amore ancor prima che i nostri corpi si toccassero.

«Neanche io...» mi rispose con un sussurro, gli occhi bassi, quasi colpevoli del trasmettermi i suoi pensieri.

Lui mi amava e io amavo lui. Non gli avevo raccontato della mia vita, del mio lavoro. In un certo senso lo avevo tradito, ma mai con il cuore.

Il mio cuore è sempre stato lui, il mio piacere è sempre stato il suo. E la mia anima anche.
Mai avevo immaginato di concedere la mia debolezza a qualcuno che non fosse lui.
E questo avrei dovuto dimostrarglielo, perché solo provandolo avrebbe capito.

Ci baciammo come attirati da una calamita. Le sue labbra erano smaniose del mio sapore, le sue mani mi serravano a lui con quel disperato bisogno che mi eccitava.

Ero stanca della tuta anonima che mettevo ormai da settimane, quel giorno avevo una camicetta chiara che si aprì subito non appena Elia ci passo sopra le dita.

Erano respiri pesanti quelli che gli uscivano dalla bocca, impazienti e disperati.
In altri frangenti avrei adorato sentirlo in questo stato, impotente davanti al desiderio. Ma, in quel momento, baciarlo soltanto avrebbe costituito una tortura anche nei miei confronti.

Gli slacciai la cinta e gli aprii i pantaloni già in tensione per l'erezione. Elia smise di baciarmi, con ancora il fiato corto; guardò in basso, le mie dita già lo stavano accarezzando, e ad occhi lucidi e dilatati tornò a guardarmi.

«Vuoi...» sussurrò confuso. Il suo cervello era in tilt, glielo leggevo in faccia.
Gli sorrisi scaltra, e mi inchinai ai suoi piedi.
Ero in ginocchio davanti alla sua erezione, come una una neofita dinanzi alla divinità a cui pregare.
Ed io, con il piacere che ero in grado di dargli, gli avrei chiesto perdono.

Iniziai a leccare ed assaporare la sua carne calda e dura, già imperlata di eccitazione.
Lo sentii ansimare ad ogni mio tocco con disperazione e con follia.
«Oh mio dio, cazzo...» si lasciò sfuggire quando lo accolsi in bocca. Era grosso, ma la mia bocca era adatta a lui.
Mi afferrò i capelli assecondando i miei movimenti, ansimando forse troppo rumorosamente.

L'idea che da fuori ci avessero potuto sentire mi eccitava da morire. Lui era mio e volevo che chiunque lo sapesse, che chiunque conoscesse i suoi sospiri sapesse che ero io, e solo io, a procurarglieli.

Era mio, solo mio. Era questo il pensiero mentre lo spingevo sempre più in profondità nella gola, rilassando i muscoli, e accogliendolo.
«Sto venendo... aspetta...» biascicò tentando di fermarmi.
Ma io non mi fermai, anzi: continuai fino a che non sentii scendere il suo orgasmo giù per la gola.

Mi rialzai soddisfatta, lui invece si aggrappò alle mie spalle per riprendere fiato.
«Non vale annientarmi in questo modo» sussurrò, con occhi chiusi e viso accaldato.
«Invece io penso di sì...»
Avevo ancora il suo sapore in bocca, il suo odore ovunque.

Ed ero eccitata, tremendamente eccitata e completamente bagnata.
Stringevo le gambe senza quasi rendermene conto e questo fu subito intercettato da Elia.

Le sue dita furono attirate dalla mia intimità che, non appena sfiorata, mi inviò scariche di piacere che mi tolsero il fiato.
Per disperazione mi slacciai i pantaloni e gli portai io le dita là, dove avevo tremendamente bisogno di lui.
Ero talmente eccitata da impazzire e desiderare che lui mi penetrasse immediatamente.

Le sue dita si mossero subito sul mio fiore bagnato, con rumori umidi ed eccitanti.
Quasi gridai quando entrarono dentro di me.
«Non ti fermare, ti prego... ti prego...»

Stavo per venire quando lui all'improvviso mi prese e mi mise sul tavolo, con le gambe sollevate e tenute prigioniere dal pantalone.
Si infilò dentro di me con facilità, facendomi venire poco dopo. Mi tenne la bocca serrata mentre le stilettate del piacere mi bloccarono.

Elia continuò a fottermi con rabbia e passione, il tavolo martellava contro il muro, ma in quel momento non importava a nessuno dei due ciò che il resto dell'ospedale avrebbe sentito.

Ero sconvolta quando lui mi riprese in braccio, mi gettò sul letto e mi sfilò del tutto i pantaloni.
Ero sciolta sul letto, in posizione prona, intenta a riprendere fiato quando lui mi sollevò i fianchi e con le dita tornò a giocare con la mia intimità.

Stritolai il lenzuolo per sopperire a quella terribile attesa, a quella splendida agonia. Volevo che mi possedesse ancora, ma lui si divertiva solo con le dita.
«Questo desideri ancora?» mi chiese lascivo, giocando con la punta del suo cazzo sopra la mia intimità.
«Sì, ti prego...»

Lo sentii ridere piano, penetrandomi poi con quella stessa lentezza.
Mi inarcai mentre entrava, con affanno e desiderio.
Elia tornò a possedermi con forza, prendenomi dai capelli. Mi cavalcava con prepotenza e possesso, con quel bisogno che aveva di me visibile sul suo viso come un tatuaggio.
«Sei mia» grugniva «Cazzo sei mia e nessuno dovrà mai più metterti un dito addosso».

Non avevo fiato per rispondergli. Nessuno dei miei slave mi aveva mai toccata, a parte Marco, ma accadde molto prima di consacrarmi ad Elia.
Questo però glielo avrei detto dopo. In quel momento ansimavo, arrancando ossigeno che lui mi gettava fuori con ogni spinta.
Venni ancora, ed Elia mi posseddette con ancora più forza, tappandomi ancora una volta la bocca, lasciandomi poi sfinita sul letto.

Era venuto anche lui, perché la sua furia pian piano scolò via e le sue mani iniziarono a toccarmi in maniera gentile.
Si stese sul letto con me e mi abbracciò. Mi abbracciò così forte che scoppiai a piangere. Essere contro il suo petto mi rendeva felice e completa. Ero viva solo grazie al suo calore.

«Ti amo Sara, ti amo tantissimo...» la sua voce però era triste, ero pronta a sentire ancora quelle solite parole, quel discorso che ci riportava sempre al solito punto: non poteva tornare con me perché l'aver scoperto il lavoro che facevo lo aveva ferito troppo.

«Anche io Elia...»
«In questi giorni... » mi accarezzó i capelli prendendosi una piccola pausa, un'attesa che mi bloccò i battiti «In questi giorni ci ho pensato tanto e ho capito che non posso vivere senza di te. Il passato ormai è alle nostre spalle e vorrei ricominciare da capo, tornare con te perché è qui il mio posto. Solo avendoti tra le braccia mi sento tranquillo...»

Le sue parole mi emozionarono. Non riuscii a rispondere perché il pianto mi stringeva la gola, però le lacrime erano sufficienti per mostrargli la mia felicità.
Mi bació teneramente, posando poi la fronte sulla mia.
«Stasera se vuoi ti porto le carte per la dimissione. Ma tu resti in osservazione a casa mia».

Annuii soltanto, asciugandomi le lacrime.
«Ti amo Elia... » sussurrai.
«Anche io Sara...».

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