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𝕺𝖕𝖆𝖑 ꧁៙Quinto capitolo៙꧂

Era il terzo giorno di ricovero e io non prendevo peso. Venivo bombardata di cibi calorici e dal sapore osceno che il mio corpo rifiutava puntualmente.
Mi era stato inserito un sondino che mi nutriva anche contro la mia volontà e che io non vedevo l'ora di strapparmi.

Tutta quella situazione era diventata surreale, e la mia vita di prima, il mio essere mistress, frequentare persone ricche e bisognose di dolore era diventato solo un ricordo distante.

La realtà è che mi stavo lasciando morire e non avevo nessuna forza di reagire.
Elia mi visitava con una freddezza straziante, come se io fossi solo un pezzo di carne che occupasse il suo meraviglioso ospedale.

Era arrivata l'ora delle visite. Non sapevo neanche se la stessi aspettando con ansia o meno. Stavo assomigliando sempre di più a quel mazzo di fuori ormai quasi appassiti sul comodino.

«Ciao moribonda!» irruppe Demo, il mio amico ipster, come un tornado.
Con lui c'erano anche Olimpia e Nyx. Non li vedevo da tanto...
«Non sono ancora morta» dissi loro alzandomi a fatica dal letto. Ogni movimento mi procurava una fatica immane.

«E cosa potrebbe ucciderti?» disse di rimando Nyx, sedendosi al tavolo. «Guarda che ho!»

Ancora alcol. Una splendida bottiglia di vino rosso, un negramaro provieniente direttamente dalle terre calde del sud. Almeno adesso i medici non potevano lamentarsi che non assumessi troppi zuccheri.

«Mi manca solo sorbirmi un'altra rottura di coglioni da parte degli infermieri, se mi dovessero trovare ubriaca».

«Reggi così male l'alcol adesso? » mi domandò Demo, abbracciato ad Olimpia. Li squadrai con un sopracciglio alzato.

«Non reggo più un cazzo in questi giorni. Manco me stessa».
Camminando a fatica raggiunsi la finestra e mi accesi una sigaretta. Olimpia stava per riprendermi, ovviamente era vietato fumare in questi posti.
«Sto qua contro la mia volontà. Non si aspettassero che collabori. E una cazzo di multa la posso pagare senza problemi».

Inspirai e gettai fuori una grossa nuvola di fumo dannoso. A quanto pare non abbastanza per me.
«Così state insieme ora?»
«E già...» mi rispose mia sorella.
Non ero certa di poter accaparrarmi il diritto di esercitare gelosia su mia sorella, ma vederla tra le braccia di un uomo mi infastidiva. L'unica fortuna di Demo era essere mio amico.

Passammo un'ora felice, chiacchierando circa un mondo esterno ormai così lontano da me.
Il Diamond sentiva la mia mancanza, Orso, il mio cane, sentiva la mia mancanza. Perfino la mia governante, Genna, sentiva la mia mancanza.

Non so quando li avrei rivisti.
Se li avrei mai rivisti.

E, infine, la bottiglia di vino era rimasta intatta sul comodino.
Forse, se avessi iniziato a berlo, i miei tormenti sarebbero finiti.

Nyx mi aveva lasciato anche un apribottiglie, fortunatamente. E così, con fatica, riuscii ad aprila.
Erano già passati i medici per le misure della sera ed Elia mi aveva parlato con la solita freddezza.
Seduta sul letto e a pezzi iniziai a bere direttamente dalla bottiglia. Il sapore del vino mi rinvigorì e mi risollevò un attimo il morale.
Così, un sorso dopo l'altro, mi addormentai a terra, sul pavimento freddo e completamente da sola.

Il sogno mi fece rivivere i miei otto anni. Mi trovavo al parco con Elia, come sempre e giocavamo sull'erba. Sedute su una panchina lontano da noi c'erano le nostre madri e le loro amiche.
Olimpia aveva due anni e le attenzioni erano tutte per lei; perciò Io ero libera di fare quel che volevo, libera di rincorrere Elia per il prato, tra le pietre.
«Guarda che se cadi io non ti aiuto! » mi aveva minacciato lui.
«Tanto non cado, scemo! » gli avevo urlato. E invece caddi e mi maciullai il ginocchio. Elia, nonostante quello che aveva detto, corse indietro ad aiutarmi, a sollevarmi da terra. Potevo sempre contare su di lui.
«Ecco te lo avevo detto»
Io stavo piangendo, inchinata a terra, il dolore era davvero tanto.
«Non ti preoccupare, resto con te» mi aveva detto e mi aveva abbracciato.
In nostro aiuto era arrivata sua madre, la dolce Esmeralda. Nel sogno il suo profumo era così reale, come anche il suo tocco. Quanto avrei voluto che fosse lei mie madre.
Mi prese in braccio e mi portò su una panchina vuota, seguita da un Elia tremendamente preoccupato. «Tranquilla, tesoro. Adesso disinfettiamo la bua e passa tutto» mi aveva detto con dolcezza, nonostante mia madre stesse gridandomi qualche rimprovero. La dolcezza di Esmeralda bloccò le mie lacrime. «Andrà tutto bene... » mi aveva detto infine.

E, con quelle parole, mi risvegliai, tremante e con lacrime ormai secche sul volto.
Ero stanca di stare in quella stanza, ero stanca di tutto.
L'unica soluzione che trovai per spegnere la mente era terminare la bottiglia di vino che mi aveva regalato Nyx.

Non ne era rimasto tanto, ma sperai fosse abbastanza per stordirmi. A stomaco vuoto l'alcol doveva far effetto.

Quando anche l'ultima goccia di vino dolce era finalmente terminata, lasciai che la bottiglia vuota rotolasse al suolo, tintinnando fino all'angolo più buio della stanza.
Barcollante e con la mente finalmente scevra di pensieri aprii la porta e uscii nel corridoio.
Mi strappai il maledetto sondino e lo lasciai vomitare a terra.

Mi sentivo finalmente libera. Molto più libera.

In fondo al corridoio c'era l'uscita di emergenza. Respirare aria fresca era diventato il mio nuovo obbiettivo.
La raggiunsi in fretta e uscii sulle scale antincendio. Sentivo perfettamente il freddo dell'inferiata sotto i piedi.

«Cosa diamine stai facendo?»
Fui gettata all'indietro, accorgendomi solo in quel momento che mi stavo sporgendo troppo.
«Non penso ti riguardi» risposi.

Elia. Quando mi accorsi che era stato lui a tirarmi indietro il mio cuore perse un colpo.
«Invece penso di sì. Sei sotto le mie cure».

Ero tra le sue braccia. La consapevolezza di quella situazione arrivava sempre con ritardo. Cercai di divincolarmi, ma lui non mi lasciava.
«E sei anche ubriaca... se scopro chi ti ha portato il vino...»

Smisi di combattere contro il suo abbraccio. Quel suo calore e il buio della notte mi davano sonnolenza.
«Sono solo un numero per te... Un numero su quella tua dannata cartella. Lasciami...»

Seguì un momento di silenzio. Elia non smetteva di stringermi e insieme ci sedemmo a terra. Il suo corpo mi teneva al riparo da tutto; non avrei avuto la forza di rinunciare davvero a tutto quello.
Il suo profumo, la sua presenza... Scoppiai in lacrime, liberando la prima vera richiesta di aiuto della mia vita.
«Ti prego...» ero disperata «Non ce la faccio più a stare senza di te...»

Elia mi baciò la fronte e io non riuscivo a smettere di piangere.
«Non sei mai stata solo un numero» mi confessò «Faccio turni massacranti qui in ospedale solo per tenerti costantemente d'occhio».
Cercai di frenare il pianto per poterlo ascoltare, riuscendo solo a procurarmi singhiozzi infantili.
«Sara... la verità è che ti amo. E non sono in grado di estirpare questo sentimento in nessun modo. Avrei voluto, ma non posso.
«Mi hai mentito Sara, non posso neanche negare questo. L'idea che così tanti uomini ti abbiano visto in quelle vesti... ti giuro che mi fa impazzire. L'idea è insopportabile».

«Mi dispiace... » riuscii solo a dire «Quel giorno, quel giorno in cui mi hai vista, doveva essere l'ultimo. Mi ero licenziata proprio per non doverti più mentire... » confessai, pur sapendo che non sarebbe servito a molto. «Ti amo Elia, ti amo e il tuo rifiuto mi sta uccidendo... »
Scoppiai di nuovo a piangere, stringendomi ancora a lui, contro il suo collo, fra i suoi splendidi capelli biondi.

«Ho bisogno di tempo per perdonarti... » prese il mio viso e mi guardò intensamente, con quei suoi occhi scuri che però riflettevano la luce della luna.
«Intanto tu non lasciarti morire... Se davvero mi ami, non lasciarti morire...»

Fu lui quella volta a baciarmi, disperatamente e con amore. Le sue labbra si dedicavano alle mie con familiarità, con dolcezza... In quel momento capii il vero significato dell'eterno istante; e questo perché, anche dopo esserci staccati, le sue labbra sembravano trovarsi ancora sulle mie.
Mi sollevò da terra con facilità, riportandomi nella stanza, e poi nel letto. E senza lasciarmi si mise con me sotto le coperte.

Ancora con gli occhi bagnati lo abbracciai, consapevole che sarebbe rimasto la a vegliare il mio sonno, ma al mio risveglio non ci sarebbe stato.

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