꧁𖢻Venticinquesimo capitolo𖢻꧂
Era nuovamente Sabato, ed eravamo quasi ad Agosto. Il caldo era soffocante e io cercavo in tutti i modi di rendere la mia villa un congelatore lasciando i condizionatori perennemente accesi.
Stavo aspettando Elia a casa mia, gli avrei parlato del servizio fotografico e me ne sarei infischiata della sua reazione. Comandavo io sul mio corpo. Io e basta.
Tuttavia, quando arrivò, persi parte del mio coraggio.
Non gli lasciai il tempo neanche di salutarmi a voce che iniziai a baciarlo. Le labbra di Elia erano fantastiche, le adoravo sulla mia bocca, sul mio corpo;come anche le sue mani che toccavano ogni lembo di pelle sotto i miei abiti.
Riusciva sempre a spogliarmi ad una velocità pazzesca e quel pomeriggio rimasi nuda sulla superficie fredda del tavolo. Mi divaricò le gambe e le mise sulle sue spalle. La sua erezione era già minacciosamente vicina al mio sesso che già riuscivo a sentirlo spingere dentro di me. Ma lo stava solo appoggiando per farmi gemere disperata.
«Adoro questa parte di te così bisognosa» mi disse con una strana luce famelica negli occhi. Entrò in me quasi d'improvviso, senza darmi la possibilità di prepararmi davvero.
Tenendomi per le cosce iniziò ad entrare e uscire ad una velocità sempre crescente,strappandomi i respiri dalla gola. I miei gemiti aumentarono fino a quando non mi strappò anche un orgasmo che sembrò gustarselo direttamente dal mio seno, succhiandolo con voracità.
Mi fece mettere seduta, la sua bocca dischiusa contro la mia, le sue mani che scorrevano sulle mie cosce raggiunsero il nostro punto di congiunzione, le mie braccia attorno a lui. Elia era in grado di annichilirmi e ciò che avrebbe dovuto farmi spaventare era che lo faceva senza neanche esserne consapevole.
«Mi fai impazzire...» gli dissi. E lui sorrise, ricominciando a muoversi dentro e fuori.
Le sue dita furono sul mio sesso fradicio, senza smettere di entrare e uscire lentamente ancora e ancora... Quella tortura non terminava, il suo petto si schiacciava contro il mio, pelle contro pelle, sentivo anche i capezzoli sfregare contro i suoi grazie alla camicia aperta.
Sentii montare l'orgasmo poco prima che si fermasse e le sue dita bagnate iniziassero a percorrere il contorno delle mie labbra.
«Anche tu mi fai impazzire Sara... E ogni volta che ti sento contrarre e stringerti attorno a me mi fai provare il paradiso».
Le sue dita entrarono nella mia bocca e le sue spinte tornarono a farsi più forti. Sentivo il mio sapore e sentivo la sua possessione. Ebbi un altro orgasmo, e lui se lo bevve ancora, però dalla mia bocca; le sue dita si bagnarono anche delle nostre lingue intrecciate,scorrendo sul mio mento e sul mio petto e chiudendosi sul mio seno.
«Scendi... » mi ordinò. Uscì da me e io scesi dal tavolo inginocchiandomi ai suoi piedi.
Attesi altri ordini,ma non arrivarono. Si afferrò il fallo umido e iniziò a masturbarsi davanti a me. I suoi sospiri aumentarono fino ad irrigidirsi e riversare il suo orgasmo sui miei seni.
I suoi occhi scuri incontrarono i miei dall'alto, mi scrutavano rapiti mentre regolava il respiro.
«In questo momento vorrei fotografarti e farne un mega poster nella stanza da letto».
Arrossii.
Dovevo parlargli del servizio fotografico, ma attesi ancora. Ci facemmo la doccia insieme e facemmo ancora l'amore. Che suono strano aveva per me giudicare il sesso "amore". Prima di Elia ero quasi intollerante a quell'accostamento; per me era sempre stato sesso, lo scopare fine a se stesso, l'acquietamento di un bisogno, istinti che si scontravano e si esaurivano a vicenda. Non era mai stato amore,completamento, il poter mostrare le proprie debolezze senza che l'altro le usi a proprio vantaggio.
Mangiammo insieme dopo aver contattato un supermercato ed esserci fatti recapitare la spesa. Si era prefissato l'obbiettivo di riempirmi la casa di cibi salutari e Demo odiava questa cosa. Per colpa di Elia aveva perso la sua più cara cliente, non che sua amica. Era da molto che non uscivo con lui e gli altri.
Si offrì di accompagnarmi a lavoro, evitando come sempre le strade più trafficate e impiegandoci il doppio del tempo. Mi ammutolii pensando alla confessione che stavo rimandando e mi concentrai sulle palazzine del centro di Milano, quasi implorando loro il coraggio per parlare.
«Sara, tutto bene?»
Ecco, ero intrappola. «Devo dirti una cosa... Domani parto per Roma, starò viatre giorni... » buttai lì, sperando che la cosa si concludesse in fretta.
«Tre giorni? Come mai? » mi chiese mantenendo il controllo sulla strada.
«Mi hanno proposto un servizio fotografico di intimo molto ben retribuito» evitavo di guardarlo.
«Un servizio fotografico di intimo? » chiese con rabbia «Sei impazzita? Non voglio che il culo e il seno della mia ragazza finiscano ovunque! »
Il suo tono possessivo mi fece arrabbiare, anche se la furia era mitigata dall'aver sentito "la mia ragazza" detto con una tale possessività che involontariamente mi fece contrarre il bassoventre. A dispetto di ogni precedente il suo modo di considerarmi sua mi piaceva. Ma non glielo avrei mai fatto notare.
«Sono per una pubblicità! E il mondo è ormai pieno di ragazze in intimo! Una in più non penso costituisca tutto questo problema» risposi tentando di mantenere la calma.
«Tu non sei una in più. Tu sei la mia fidanzata e mi da al cazzo che a qualcuno gli diventi duro vedendoti» il dottor Elia era ricorso alle parole pesanti. Si stava arrabbiando davvero ed eravamo quasi arrivati per fortuna. Stava reagendo così per delle foto di intimo, chissà come avrebbe reagito sapendo che la sua ragazza lo faceva diventare duro a parecchia gente ricca.
«Allora quando andremo al mare che farai? Mi farai fare il bagno vestita come una donna musulmana? » alzai la voce esasperata.
«No, ma ci sarò io a fulminare ogni sguardo indiscreto».
«Quindi passeresti una rara giornata al mare fulminando tutti coloro che mi guarderanno?» trattenni una risata. «Sei ridicolo! »
«Lo farei senza problemi. Non voglio che il tuo corpo diventi di dominio pubblico».
«Le tue sciocchezze ora non mi interessano» eravamo arrivati davanti all'entrata sul retro del Diamond. «Io domani andrò a Roma e farò quelle foto perché il mio corpo è di dominio mio, e io ci faccio ciò che più mi pare».
«Ho fatto anche io il modello e so come funzionano queste cose. Soprattutto se una modella non professionista viene strapagata».
In un certo senso avrebbe avuto ragione, ma gli accordi erano diversi. Ero una modella già da alcuni anni, ma posavo per riviste private che circolavano solo tra la clientela riservata del Diamond e per i quadri che venivano appesi nei corridoi del suo lato oscuro. La mia foto preferita era quella in cui Nyx era inginocchiata a terra, con le cosce aderenti al pavimento, i polsi legati dietro la schiena e altre corde in canapa che le serravano tra loro anche i gomiti. E naturalmente rigorosamente nuda. In quella posizione il fiore tra le sue gambe era esposto alla fotocamera e i suoi capelli azzurri nascondevano solo il volto e parte delle spalle. E io ero davanti a lei, con un frustino che la sfiorava tra le gambe e i miei occhi severi che puntavano l'osservatore.
Ma Elia tutto questo non lo sapeva e io non potevo dirgli la verità.
«Credi non sappia cavarmela da sola? »
«Verrò con te. Chiederò tre giorni a mio padre. E se la situazione non mi piacerà torneremo qui a Milano.» incrociò le braccia al petto. Spalancai gli occhi, ero in un vicolo cieco e dovevo uscirne in fretta.Sicuramente i fotografi sapevano perfettamente il mio lavoro e Anastasia mi starebbe stata appiccicata quasi sicuramente e vedere Elia con me l'avrebbe fatta uscire di testa. Senza contare che la sua decisione di tornare a Milano se la "situazione" non aggradava a lui mi fece infuriare ancora di più.
«No, ho detto che so cavarmela da sola. Non ho bisogno di una guardia del corpo. E in secondo luogo è il mio lavoro e la mia vita » fui dura.
«Non è solo...»s tava per replicare, ma io lo fermai subito continuando ad inveirgli contro.
«Senti Elia, sei il mio fidanzato. Non il mio padrone! Io ho un lavoro che mi permette di vivere, un lavoro che ha delle regole. Non sono una figlia di papà che può permettersi di decidere come dove e quando presentarsi a lavoro, tanto ha lo stipendio assicurato. Detto questo, va a cagare!» gli urlai contro e uscii dalla macchina sbattendo poi la portiera.
«Sara aspetta! »era arrabbiato anche lui, ma non gli diedi conto. Entrai nel Diamond e mi precipitai nella mia suite borbottando imprecazioni. Come diavolo si permetteva di voler amministrare la mia vita? Ero una dominatrice, io decidevo per me e per gli altri, io annichilivo il prossimo. Come avevo potuto permettergli di fare il contrario?
Erano le otto e mezza, pensai solo a prepararmi per le mie sessioni naturalmente dopo essere passata da Francesca per la scaletta della nottata.
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