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꧁𖢻Trentaduesimo capitolo𖢻꧂

Le informazioni che avevo chiesto a Francesca in merito al Toy Boy della senatrice erano arrivate in due giorni. Mi consegnò la cartella quando tornai a lavoro.

«Ho onorato la mia promessa» mi disse con un sorriso, io le sbuffai contro strappandole la cartellina beige dalle mani. «Temo, però, che ciò che leggerai non ti piacerà molto».

La ringraziai distrattamente e me ne andai verso la mia suite per cambiarmi di abito e iniziare le sessioni che sarebbero incominciate da lì a un'ora.

Nei documenti c'era una sua foto, la presi e quei suoi occhi erano li stessi che avevo riesumato dai miei ricordi e mi sentii attraversare da un brivido. Mi sembrò perfino di sentire quelle loro mani luride su di me.

Prima ancora di varcare la porta della mia camera avevo finito di leggere il suo dossier e una rabbia cieca e furibonda mi stava assalendo.

Quel grandissimo figlio di puttana, oltre che essere il giocattolo di un'anziana, aveva a suo carico parecchie denunce di stupri che però si erano magicamente dissolte. La maggior parte erano state ritirate, per le altre era stato assolto per "mancata attendibilità".Insomma se l'era cavata pulito e impunito. Ma ciò che più mi stava facendo ribollire il sangue era che lui si vedeva con Olympia di nascosto. Aveva una relazione con mia sorella.

Quello era uno sfregio, la conferma che si ricordava perfettamente di me.Trovai anche alcune foto che li ritraeva insieme che Francesca era riuscita a rubare dal telefonino di mia sorella grazie ad un programma di akeraggio spaventoso. Quella donna era in grado di usare il telefono di chiunque restando nel suo ufficio e il diretto interessato non si accorgeva di nulla. In quel modo era riuscita a fornirmi qualsiasi informazione su di lui.

Chiamai Francesca al telefono mentre entravo nella suite. «Tienimi costantemente aggiornata sulle loro chat» le dissi con tono duro.

«Sara quel Vincenzo è dentro giri pericolosi. Cerca di non esporti troppo».

«Ha intenzione di far del male anche a mia sorella. Come puoi chiedermi di mantenere la calma! » urlai furiosa.

«Sara capisco benissimo quello che stai provando. Ma devi agire con intelligenza. Parla con tua sorella e fa che sia lei ad allontanarsi da lui finché è in tempo».

Valutai il suo suggerimento scartandolo subito. Mia sorella Olympia non mi avrebbe mai ascoltato, non potevo entrare nella sua vita all'improvviso e dirle di lasciar stare l'uomo di cui era evidentemente innamorata.

«E fargliela passare ancora liscia? Non è il solo ad avere amicizie pericolose» dissi e chiusi il telefono.

Prima di iniziare le mie sessioni dissi a Francesca di procurarmi un dossier completo anche su mia sorella. Era venuto il momento di indagare anche su di lei e stranamente, appena quattro ore dopo, ebbi la cartella in mano.

«Ci hai impiegato pochissimo» le dissi. «Chissà perché con quella di Vincenzo ho dovuto aspettare due giorni».

Alzò solo le spalle senza dirmi altro. Ero certa che mi stesse nascondendo qualcosa, lo sentivo con ogni fibra del mio corpo. Avevo una voglia incredibile di farla parlare, ma optai per maniere più subdole. Pier avrebbe fatto il lavoro sporco.

Scoprii che mia sorella aveva messo su una band rock e in macchina cercai su Facebook la loro pagina. Avevano un concerto in programma da lì a due settimana in un locale di Milano chiamato Cabala. Lo avrebbero fatto dopo il rientro dall'America di mia sorella.

Olympia una rochettara... Una ribelle come me, come era potuto accadere che mia madre fallisse anche con il suo gioiello prediletto? Ascoltai anche le loro canzoni; non erano male, ma era evidente che fossero molto "fai da te". Le avrei presentato qualche casa discografica,Olympia aveva una bella voce. Ricordo che da piccola cantava sempre e io mi lamentavo parecchio.

La mia sorellina...

Dovevo parlarle di Vincenzo e del rischio che stava correndo? E mi avrebbe creduta?

Ero immersa nei miei pensieri quando qualcosa comparve sulla strada. Feci in tempo a sterzare e frenare prima di uscire dal guardrail della statale.

Tenni stretto il volante, gli occhi sbarrati e il cuore credo mi fosseuscito dal petto. Guardai la strada e al centro vidi una palla. Una palla che si muoveva. Cercai di regolare il respiro e uscii dalla macchina.

Era un cane, un grosso cucciolo di cane peloso che si arrotolava su se stesso. Sembrava un piccolo orsacchiotto. Non lo avevo colpito, ma appena mi vide iniziò a guaire spaventato.

«Piccolo,non avere paura...» mi inginocchiai cercando di non sembrare minacciosa, ma lui non ne volle sapere. Si stava pericolosamente mettendo al centro strada. Non stava passando nessuna macchina, erano pur sempre le quattro e mezza di mattina, ma non potevo rischiare.

«So che adesso avrai paura di me, ma devo prenderti».

Scattai in avanti e lo afferrai. Iniziò a guaire terrorizzato, era più pesante di quanto non sembrasse e odorava di cucciolo. Chissà se era stato abbandonato o era scappato.

Lo strinsi a me e lo accarezzai mentre tornavo in macchina. «Tranquillo,va tutto bene...» gli sussurrai. Come risposta iniziò a mordicchiarmi i capelli.

«No!I capelli no! » dissi allontanandolo da me. Lo tenni stretto nonostante si divincolasse come un'anguilla. «Se vuoi andare d'accordo con me i capelli non me li devi toccare. »

Lo guardai bene, occhietti castani enormi, nasino mezzo nero e mezzorosa, zampone. Era tenerissimo. Un orsacchiotto, non un cane. «Orso.Ti chiamerò Orso. » abbaiò. Gradiva?

Lo misi in macchina e io salii al posto di guida. Sembrava non aver già più paura di me, girandosi e rigirandosi sul sedile, odorando e mordicchiando praticamente qualsiasi cosa.

«Ho l'impressione che sarai un bel dispettoso» sussurrai guardandolo dallo specchietto retrovisore. La cosa giusta sarebbe stata guardare in giro per assicurarmi che non fosse scappato da qualche villa o che ci fosse la madre nei paraggi. Ma non mi andava, quel cucciolotto mi piaceva troppo. Ed era stato amore a prima vista. Come ogni bambina,avevo sempre desiderato avere un cane e come ogni madre stronza la mia non aveva mai accettato.

Quando giunsi finalmente a casa, evitando per ben due volte che la presenza del mio piccolo orsacchiotto causasse altri incidenti, mi accorsi che non erano solo i tessuti rosicchiati di cui dovevo preoccuparmi.

«Non mi dire che...» dissi a denti stretti guardando il regalino che mi aveva lasciato sul sedile. Un regalino solido e scuro. Bestemmiai pesantemente, come potevo fare?

Presi il cucciolo e borbottando entrai in casa. Era disorientato e si muoveva con cautela, annusandolo e avvicinandosi con sospetto a tutti i mobili.

Gli cucinai un po' di carne e gliela misi in un piatto vecchio. Avevo così sonno che stavo per addormentarmi sui fornelli, ma il piccolino faceva abbastanza caciara per tenermi sveglia.

«Sei insopportabile. » borbottai.

In un altro piatto fondo gli misi anche dell'acqua. Nel pomeriggio lo avrei portato dal veterinario, o avrei chiesto al mio amico ipster di farlo.

Mi gettai nel letto esausta. Stavo sprofondando in un sogno buio e pesante quando Orso iniziò a guaire. Perfetto, non riusciva neanche a dormire da solo.

Mi trascinai verso la porta, sembravo uno zombie. «Cristo, entra. Piccolo rompiscatole» dissi e lui si precipitò nella mia stanza come una furia.

«Non sul letto...» ma lui vi era già salito, arrampicandosi dal lenzuolo. «Cristo...»

Non riuscivo a connettere, il sonno era troppo per ribellarmi. Doveva essere sporco, forse aveva anche le pulci. Ma al diavolo, mi stavo per addormentare sul pavimento.

Tornai sul letto e il piccolino si mise vicino a me. Infondo era un cucciolo, forse abbandonato al suo destino per la strada. Lo abbracciai e mi addormentai.

Mi svegliai con delle urla e con un tenero abbaio.

«Che cazzo...»

Avevo gli occhi impastati, il corpo cigolante. Guardai la sveglia, erano appena le tre.

Uscii dalla stanza, avevo ancora addosso i vestiti con cui ero andata a lavorare. Seguii la caciara fino a trovarmi in cucina. Fu molto comico vedere Jenna, la mia governante, in piedi su una sedia e il mio piccolo orsacchiotto sotto che abbaiava cercando di essere minaccioso.

«Scusami Sara, ma questa bestia vuole uccidermi! » gridò.

Scoppiai a ridere. Jenna era una donna di quarant'anni, abbondante sui fianchi e con deliziosi capelli castani sempre chiusi in un chignon.Per colpa dei miei ritmi la vedevo poco anche se in realtà era sempre a casa mia durante il giorno. Era una donna piacente in realtà, con poche rughe nonostante l'età. E aveva una paura matta dei cani.

«Vieni qui piccolo» dissi, ma lui non obbedì. Lo presi in braccio e loportai nel cortile. Il cancello era chiuso, perciò non sarebbe riuscito a scappare.

«L'ho trovato ieri sull'autostrada» spiegai a Jenna.

«Dimmi che lo regalerai»

Mi lasciai cadere sul divano. «No, pensavo di tenerlo. Chiederò a Demo di portarlo in giro durante il giorno».

Jenna non approvava la mia idea, ma ovviamente non poteva impedirmi di tenerlo.

«Quando verrai qui lo chiuderò fuori, tranquilla» le concessi e sbadigliai. Avevo ancora sonno, terribilmente sonno.

Collassai sul divano finché l'odore del caffè non mi svegliò. Non mi ero neanche accorta di essermi addormentata di nuovo. Jenna era un angelo molte volte.

Quando resuscitai davvero mi alzai e aiutai Jenna nel pulire casa, giusto l'indispensabile per non apparire la solita ricca viziata che disprezza la servitù.

Cucinai per il mio piccolo Orsacchiotto che si era già ampiamente ambientato nel giardino, pranzai e chiami Demo. Gli diedi la splendida notizia che da quel momento in poi sarebbe stato il mio dogsitter.

Dopo la doccia, cercando nell'armadio qualcosa da mettermi per andare dal veterinario, trovai un biglietto di Elia. Mi aveva lasciato un messaggio scritto, un semplice "Ti amo Sara." Qualcosa che mi strinse il cuore. Solo lui poteva riuscire a farmi sentire la sua presenza anche nella sua assenza.

Erano le cinque di pomeriggio, lo chiamai sperando non fosse impegnato in qualche visita e lui mi rispose quasi subito.

«Ti amo anche io» gli dissi, senza neanche salutarlo.

«Hai trovato il bigliettino? »

«Sì...Come puoi essere così dolce? »

Per colpa di Elia mi ero trasformata in un'adolescente romantica e smielata. Non avrei mai pensato che qualcuno fosse in grado di farlo.

«Un dono di natura, forse. O forse, ti amo davvero».

La sensazione che il suo "ti amo" mi suscitava era indescrivibile.Calore, protezione, appartenenza. Era come aver trovato il mio posto nel mondo, il mio scopo finale. E mi sentii terribilmente in colpa pensando a quei segreti che gli nascondevo. Il mio lavoro era ciò che ci avrebbe divisi.

Valutai ancora l'opportunità di lasciare il Diamond e quella possibilità diventava sempre più concreta ogni volta che Elia diceva di amarmi.

Quel pensiero mi aveva estraniata, così ritornai in me raccontandogli diOrso, il cucciolo che per poco non mi aveva causato un incidente. Ne fu felice, amava i cani e non vedeva l'ora di vederlo.

Alle sette Orso divenne ufficialmente mio, il mio piccolo incrocio peloso tre un husky e un pastore maremmano. «Diventerà molto grande e probabilmente prenderà la cocciutaggine tipica degli husky» miaveva avvertita il veterinario. Infondo però gli animali, come i parenti, non si dovrebbero scegliere. Capitavano nella tua vita e si trovava un equilibrio.

Alle sette e mezza Elia mi raggiunse al negozio per animali.

Fu amore a prima vista per lui e Orsetto lo riempì di baci. Sembravamo quasi una famiglia felice con il nostro bambino e certamente quello sarebbe stato per noi. Io non potevo avere figli.

Lasciammo che Orso scegliesse la sua cuccia, le sue ciotole, le sue copertine eperfino il suo guinzaglio che per nessun motivo al mondo voleva mettere.

«Sembra davvero un orsacchiotto! » constatò il mio uomo tenendolo in braccio e sbaciucchiandolo.

«E mangia anche come un orso!» In neanche un giorno aveva già ingurgitato quasi un chilo di pasta e mezzo di carne.

Il veterinario mi aveva consigliato una marca di croccantini e il relativo consumo giornaliero, ma naturalmente Elia non voleva neanche sentirne parlare. «Sono prodotti industriali, fanno malissimo in realtà. Vuoi che gli venga qualche tumore? »

Era ossessionato dai melanomi. Ma infondo non potevo certo pretendere che avesse solo dei pregi.

«Non ti preoccupare, tesoro» dissi al cucciolo. «Dobbiamo tenercelo così com'è. Ma tanto ti passerò qualche croccantino di contrabbando. » e scoppiai a ridere quando vidi la faccia contrariata di Elia.

Era quella normalità che mi faceva sentire bene, il nostro stare insiemecon semplicità e armonia.

Lasciammo Orso a casa con tutta la sua roba ed Elia mi accompagnò al lavoro;la mia macchina l'avevo lasciata all'autolavaggio per debellare tutti i regalini che il piccolo mi aveva lasciato sui sedili.

Con il conto che fui costretta a pagare per l'autolavaggio decretai che mai più Orso sarebbe entrato nella mia macchina; a costo di comprargliene una esclusivamente per lui.

Sentendo quel mio proposito Elia scoppiò a ridere.

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