꧁𖢻Sedicesimo capitolo𖢻꧂
Come era prevedibile finii a dormire nella mega villa di Pier. Nella suite al Diamond gli avevo vietato di fare sesso, ero di una parola: niente coiti con i clienti. Ed effettivamente lui in quel momento era il mio cliente.
Lo avevo frustrato, umiliato, lo avevo costretto a venire sulle mie scarpe, ma niente sesso. Pier aveva una pelle spessa e molto resistente, per lasciargli anche solo un graffio mi ero dovuta impegnare parecchio. E ci eravamo divertiti entrambi moltissimo.
Tuttavia la tensione sessuale era arrivata alle stelle tra noi, in macchina gli avevo anche iniziato una fallatio che avevo lasciato in sospeso volutamente.
Quando arrivammo finalmente nella sua stanza iniziammo a divorarci. Le mie mani su di lui non toccavano mai nulla a sufficienza, la sua bocca su di me non trovava mai abbastanza da assaporare.
Ero contro il muro,schiacciata dalla sua massa di muscoli e tatuaggi. La sua erezione premeva tra le mie gambe, quasi a voler bucare il mio pantaloncino per farsi strada dentro di me.
«Sul letto, ora» gli ordinai. E lui mi ci portò lasciando che mi mettessi sopra di lui. Iniziai a scorrere sul suo corpo sempre più in basso fino alla sua eccitazione. Elia non mi aveva mai permesso di toccare il suo pene, ma Pier invece mi avrebbe pagata oro per avermi sempre tra le sue gambe.
Gli sfilai i boxer e l'odore del suo sesso mi invase le narici. Ero colata al suolo, inginocchiata, e lui si mise a sedere guardandomi con desiderio.
«Stai per fare quel lavoro che a me fa impazzire? » mi domandò impaziente.
«Sì,perché ne ho una voglia matta» mugolai contro la carne calda del suo pene, tenendolo in mano saldamente e baciandone la lunghezza. Ero una maestra nelle fallatio, ero stata addestrata a posta durante il secondo anno di lavoro al Diamond. Ovviamente non facevo pompini a tutti, ma ai pochi eletti che pagavano profumatamente. E ciò che si aspettavano doveva essere fantastico.
Pier era l'unico a ricevere un servizio da mille euro senza sborsare un soldo. Si doveva ritenere parecchio fortunato nell'avere la mia amicizia.
Gli massaggiai i testicoli, e con la bocca iniziai ad assaporare la punta del suo pene. I suoi gemiti mi raggiunsero insieme alle sue dita sulla testa.Continuai a lavorare e a farlo ansimare, attenta a quando sarebbe stato sul punto di venire. Non appena i suoi muscoli iniziarono a reagire mi fermai e passai a baciargli parte del ventre, poi scesi sui testicoli e dopo ricominciai, finché non fui certa che non avrebbe retto.
Quando esplose dentro la mia bocca si lasciò sfuggire un ruggito, le sue dita mi artigliarono le spalle e la sua testa crollò sulla mia. Io, intanto, continuai a mandare giù tutto, Pier aveva un sapore tropicale e la cosa mi piaceva molto.
Solo dopo parecchi secondi riuscì a riprendersi.
«Sei consapevole del fatto che adesso ti sbatterò fino a farti perdere i sensi? » minacciò, i suoi occhi azzurri sembravano infuocati.
«Non mi spaventi».
Finimmo al suolo, nuovamente avventati l'uno sull'altra, le sue mani che non mi davano tregua, strappandomi i vestiti di dosso, insinuandosi ovunque, catturando i miei gemiti.
«Devo recuperare queste due settimane» sibilò, alzandosi e indossando un preservativo.
Entrò dentro di me con una sola spinta, senza alcuna pietà. Portò le mie gambe sulle spalle e iniziò a dimenarsi come un indemoniato, premetti le mani sui suoi pettorali quasi a volerlo scacciare, inconsciamente temevo che volesse aprirmi.
«Non mi allontanerai così facilmente».
Sembrava una minaccia, mi minacciava mentre mi possedeva. Non riuscivo a rinnegarlo, Pier era proprietario di quella parte di me oscura e ne spadroneggiava come voleva.
Recuperammo le due settimane di astinenza che mi ero negata con lui in una sola memorabile scopata che mi fece addormentare dolorante.
La mattina successiva mi svegliai per prima. Pier era immerso nei cuscini bianchi e sembrava che nulla lo avrebbe mai tolto da lì. In effetti,come biasimarlo? Eravamo andati a dormire alle sette di mattina.
Scesi nuda dal letto e aprii i suoi armadi. Ero abituata a vestirmi con i suoi abiti quando restavo da lui. Presi una maglietta verde di qualche marca costosa e me la infilai diretta verso la cucina sperando vivamente che le governanti di Pier non ci fossero.
Quando entrai nella sala, al tavolo era seduta una ragazza che armeggiava con il telefono. La riconobbi subito, era Flavia, la cugina puritana di Pier. Erano tre anni che la stuzzicavo provocandola e lei respingendomi con frasi pungenti.
«Oh ma guarda chi c'è» dissi avvicinandomi a lei di soppiatto. La feci sobbalzare. Si alzò dalla sedia e mi scrutò accigliata.
«Sono qui per vedere mio cucino» disse subito. Io iniziai a ridere, accorciando le distanze che ci separavano. Aveva gli stessi occhi azzurri di Pier, tratti gentili del viso e un caschetto quasi egizio di capelli castani.
«Sta dormendo» le dissi maliziosa. Adoravo vedere il rossore sul suo viso. «Puoi passare dopo, Flavia la puritana» le ero vicina. Fingeva di essere pudica, ma io ero intenzionata a smascherarla. Ero certissima che sotto quei vestiti casti si nascondesse una sottomessa. Io me ne intendevo.
«Avrei anche io une piteto da darti che fa rima con "ana"» mi sorrise con finta scaltrezza.
Scoppiai a ridere. Mi stava guardando troppo, ero certa che quel giorno l'avrei fatta capitolare e, soprattutto, mi avrebbe fatto vincere la scommessa con Pier. In palio c'erano un bel po' di soldi.
«Veramente la puttana è tuo cugino. Io non mi faccio certo pagare» la vidi deglutire. «E devo dire che vale tutti i soldi che si prende».
«Senti non mi interessa saperlo» stava cercando di retrocedere, ma i miei occhi la inchiodavano, i miei occhi verdi inchiodavano tutti.
«Secondo me sì».
Era contro il tavolo, non aveva vie di fuga da me. «No...» la sua voce era tentennante. Sembrava un cucciolo impaurito.
«Sono certa che ti sarebbe piaciuto guardare... » la mia voce era una carezza, il mio corpo la sfiorava, il suo viso era sempre più rosso. «E magari avresti pregato che qualcuno ti sfiorasse...» le toccai una coscia,alzando lentamente la sua lunga gonna antica. Certamente i suoi abiti erano fuori commercio da un po'.
Le raggiunsi la pelle e lei sussultò. Le sue cosce erano lisce, miss purezza andava dall'estetista.
«Ricorda che il peccato non si compie cedendovi, ma rinunciandovi».
Le mie dita scostarono le sue mutandine e raggiunsero la fessura umida tra le sue gambe. Avvertii la leggera peluria, ma la cosa mi piacque ugualmente.Poggiai le labbra sulle sue e lei non si oppose, chiuse gli occhi e lasciò a me il compito di condurre il bacio, di esplorare il suo fiore umido facendola fremere.
Ero pronta a scommettere che le sue esperienze in fatto di baci si potessero contare sulle dita di una mano. O forse anche meno. Era talmente inesperta da farmi tenerezza.
«Sara, smettila di molestare mia cugina» irruppe Pier.
Mi voltai e lo vidi sbadigliare. Eppure nelle sue mutande qualcosa si stava svegliando. Abbandonai la ragazza e mi girai ancheggiando. Avevo vinto.
Gli mostrai le dita umide, passandogliele appena sul petto. «Mi devi ventimila euro».
«Ma sei una stronza perververtita! » scattò subito pulendosi la dove lo avevo toccato.
«Sempre, mon cher. Vado a farmi una doccia, vi lascio parlare!»
Mi sarei voluta voltare per guardare la dolce Flavia, ma resistetti. Certamente aveva il viso in fiamme, se non fosse già svenuta ovviamente.
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