𝕺𝖕𝖆𝖑 ꧁៙Quarto capitolo៙꧂
L'overdose non era certo qualcosa da cui era sicuro uscirne. Per fortuna mia sorella mi aveva aiutato in tempo, bloccando il concerto e chiamando l'ambulanza. Le avevo rovinato la serata, forse macchiato il nome della band e tutto questo perché non ero forte abbastanza da reagire.
Ogni mio atteggiamento, non solo dalla rottura con Elia, ma da sempre, era solo una maschera per non mostrarmi debole.
Avevo faticosamente celato ogni mia paura, che fosse con il bondage o con l'arroganza.
Non avevo mai saputo chiedere aiuto sul serio, mai. Anche con Pier, quella sfida per superare la mia paura del sesso normale e affettivo, non era stata una richiesta aperta.
E in quel momento, distrutta in un letto di ospedale, l'unica cosa che volevo era proprio chiedere aiuto ad Elia. Supplicarlo per tornare nella mia vita. Al mio fianco.
Perché senza di lui non riuscivo mai a combinare nulla di buono.
«Come ti senti?»
Girai il capo. Vicino a me c'era Olimpia a stringermi la mano e Siria ai piedi del letto.
«Meglio» risposi d'istinto. In realtà non ero certa di come stessi. Il corpo mi sembrava così distante da me da non essere certa di esservi attaccata.
La flebo mi rendeva gelida la mano e il contatto con mia sorella mi bruciava.
«Pensi che questo sia stato finalmente il fondo che cercavi? Da adesso tornerai in te stessa?»
Le parole di Siria mi scossero. Non sembrava arrabbiata, ma solo rassegnata. Come ogni genitore nei confronti di un figlio ribelle.
E io non sapevo cosa risponderle. Ero incazzata per quella situazione, mi ero mostrata debole agli occhi di tutti, ero crollata senza controllo e questo non era mai accaduto. Mai.
Lasciai la presa da Olimpia. Non avevo voglia di essere toccata. Volevo solo restare da sola. Da sola per capire il da farsi.
«Per favore... Sara, per favore. Noi vogliamo aiutarti... »
Neanche queste suppliche mi fecero reagire. Avevo bisogno di ricomporre i miei pezzi, volevo stare sola eppure li avevo tutti attorno.
Notai in quel momento i fiori sul comodino. Erano gli stessi che Elia mi aveva regalato i primi giorni della nostra frequentazione.
«Erano già lì quando siamo arrivate» mi informò Siria. «Forse non ti ha del tutto dimenticata...»
Mi si sedette accanto, su una semplice sedia da ospedale che poco legava con il suo abbigliamento costoso. In effetti, con quella sua capigliatura di un rosso sgargiante e unghie laccate di smeraldo, contrastava parecchio i toni azzurri della stanza.
Però, nonostante le apparenze, Siria sapeva tutto di me e mi confortava nonostante i miei rifiuti.
Avevo ricevuto più amore genitoriali da quella Trans che dai miei veri genitori.
Infondo, ero la figlia che non avrebbe mai potuto avere.
«Dimmi la verità, me li avete portati voi per tirarmi su il morale. Elia non vuole affatto entrare in contatto con me».
Poi, d'improvviso mi venne in mente una cosa. L'unica a cui avrei dovuto pensare e che invece avevo tralasciato.
L'unico ospedale in cui Siria mi avrebbe portata in fin di vita altri non poteva essere che quello privato del signor Sarassi.
Il padre di Elia.
E dove Elia lavorava.
«Siamo dove penso che sono, vero?»
«Esattamente».
Mi tirai su a sedere con fatica. Dovevo essere in condizioni pietose. Nonostante non mi fossi vista, solo le ciocche di capelli che mi ricadevano sul petto erano aggrovigliate e scomposte. Non osavo immaginare come fossi nel complesso. Tra occhiaie e pelle pallida.
Eppure, mi sentivo il petto scoppiare di gioia alla sola idea di avere Elia così vicino.
«Altri ospedali non ce n'erano?» domandai stizzita.
«Qui sicuramente verresti curata meglio».
Mi aspettai che fosse Siria a rispondere, invece, quando voltai il viso verso la porta, Elia mi stava guardando.
Penso che il cuore mi si fosse fermato in quel momento, oppure, semplicemente aveva ripreso a battere.
«Scusatemi, ma l'orario delle visite è terminato. Se volete accomodarvi fuori cortesemente...»
Elia parlava con tono asettico e professionale, così distante da quello a cui ero abituata.
Ed era meraviglioso, sembrava quasi uscito da un sogno. Un dio dai capelli biondi e gli occhi neri, dal viso liscio come seta e collo massiccio.
Guardai Olimpia disperata, lei ricambiò il mio sguardo con speranza.
Quale speranza avrei mai potuto nutrire? Elia era freddo, non mi aveva guardata neanche per un istante mente mia sorella e Siria uscivano dalla stanza.
Sembravamo due estranei e questo mi faceva troppo male.
Quel silenzio mi faceva male.
Elia si avvicinò al mio letto, guardando con attenzione dei fogli sulla sua cartellina. Sicuramente dei parametri doveva già aver analizzato visto che l'aveva già in mano quando era entrato. Eppure continuava a leggerli, come a voler posticipare il momento in cui avrebbe dovuto rivolgermi la parola.
«Come ti senti?»
«Credevo non ti importasse».
«Mi serve saperlo per la diagnosi».
Sospirai. «Sto bene, posso anche firmare per uscire». Cercai di mantenermi seria, ma le mie labbra tremavano. Tremavano perché volevano correre sulle sue, che mi mancavano da morire.
«Non ti converrebbe. Hai valori troppo bassi. Sei qui anche perché hai un principio di anoressia. Finché non prendi peso non possiamo dimetterti».
Non mi ero accorta affatto di aver perso peso in quei due mesi, tuttavia, avrei dovuto immaginarlo. Non mangiavo quasi per niente, preferendo la coca e l'alcol al cibo.
Mi guardai le mani di riflesso: erano scheletriche e anche i polsi. Solo in quel momento notai quanto il mio corpo doveva star soffrendo.
Elia, senza dire altro, iniziò a visitarmi. Sentivo perfettamente le sue dita tentennare sulla mia schiena mentre pressava lo stetoscopio sulla pelle. Deglutii per non lasciare alle lacrime alcuna via di fuga.
Averlo così vicino mi stava facendo impazzire...
Non mi accorsi neanche del momento esatto in cui mi voltai e lo baciai.
Ricordo solo che, in un secondo, le mie labbra avevano trovato la strada per le sue. E vi si erano incastrate perfettamente.
Elia era così sofficie, così morbido... e il suo profumo meraviglioso. Tutto questo mi stava mancando come l'aria...
«No, Sara. Non posso accettarlo».
Mi respinse, e per me fu come cadere in frantumi.
Spezzettarmi e morire.
Elia si spostò da me, come punto da una vespa e, senza guardarmi, uscì richiudendo in fretta la porta alle sue spalle.
Mi sembrava di soffocare, sulla bocca avevo ancora la sua presenza e la mia mente aveva smesso di funzionare.
L'unica cosa che mi rimase, fu piangere. Piangere fino ad addormentarmi.
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