꧁𖢻Quinto capitolo𖢻꧂
Il giorno successivo ero stata in banca. Siria mi aveva accreditato lo stipendio, ma senza dirmi a quanto ammontasse.
Quando vidi l'estratto conto sorrisi. Quel mese mi ero guadagnata sessantamila euro, soldi di cui in realtà non sapevo che farmene. Il mio conto in banca era superiore ai due milioni di euro che raramente toccato. E cresceva ogni mese che passava.
Restando a così stretto contatto con gli schiavi, mi ero ripromessa che mai e poi mai sarei diventata schiava di qualcosa. Tantomeno dei soldi.
Vivevo in una villetta a schiera di quattro vani, una mini Cooper mi permetteva di scorrazzare per la città e nulla di più. I miei vestiti e i miei gioielli erano l'indispensabile, come anche le scarpe. Gli abiti sexy, gli accessori e le scarpe per il lavoro erano stipate nella suite al Diamond e me li aveva forniti quasi tutti Siria.
Gli unici miei passatempi erano la dominazione, e venivo pagata profumatamente per farlo, ogni tanto crogiolarmi nelle terme con cui Siria aveva una convenzione e soprattutto organizzare viaggi estremi dove la natura aveva il sopravvento sull'uomo.
Avevo visto l'Angel Falls in Venezuela, dove l'acqua della cascata cadeva da un'altezza tale da evaporare prima di toccare il suolo;ero scesa nelle fauci della grotta Krubera in Georgia, sicura che a quelle profondità avrei visto Satana in persona; ed ero stata anche a Dallol, in Etiopia, dove il caldo era tale che avrebbe potuto farmi morire disidratata; per fortuna la vista dei mille colori del suolo ripagavano ogni sforzo. Come detestavo farmi sottomettere dagli uomini, detestavo che lo facesse anche il mio pianeta.
Presi i soldi per la mia famiglia e li nascosi nel giubbotto. Nonostante mia madre mi avesse cacciata dalla vita della mia famiglia,continuavo ad infilarle sotto la porta di casa una busta piena di contanti.
Non eravamo poveri, ma come molte famiglie faticavamo ad arrivare alla fine del mese.
Da quando ero andata via non ero più tornata, né avevo fatto sapere loro come vivevo o dove. Non avevo più parlato con i miei genitori,né con mia sorella.
Portavo loro i soldi di nascosto, in giorni diversi e orari differenti. Suonavo il campanello e scappavo in macchina.
Aspettavo che mio padre si affacciasse al balcone, ci sorridevamo e io andavo via.
Mio padre, l'eterno schiavo di mia madre.
La prima volta che lasciai loro i soldi, ricevetti una chiamata di mia madre. Nonostante la somma iniziò a sbraitare, accusandomi di essere diventata certamente una ladra, forse una spacciatrice o una prostituta. I miei soldi sporchi non li voleva.
La ascoltai in silenzio vomitarmi addosso un sacco di accuse che una madre non dovrebbe mai fare a sua figlia e alla fine le dissi soltanto: «Accettali e non rompermi i coglioni» le chiusi il telefono in faccia e piangendo spezzai la sim del telefono.
Feci tutto come sempre, lasciai la busta, citofonai e scappai. Ormai quella routine non mi feriva più, e non soffrii neanche vedendo mio padre uscire sul balcone e salutarmi timidamente. Però con lui quella volta c'era anche mia sorella. Eravamo entrambe bionde come mia madre, motivo per il quale avevo deciso di tingerli scuri, e vedere lei così grande e quasi estranea mi colpì. Sarei voluta correre a casa e abbracciarla, dirle che ricordavo quando saltavamo insieme sul letto o quando mi estenuava perché le leggessi una valanga di racconti che a me annoiavano. Era diventata una donna,aveva ormai vent'anni, io venticinque. Non avremmo più recuperato quel rapporto di un tempo.
Accesi il motore e partii. Ma il viso lontano di mia sorella mi stava tormentando, non riuscivo a concentrarmi sulla guida. Avevo gli occhi lucidi e le mani mi tremavano. Era uscita per vedermi o per insultarmi? Avrei potuto sopportare le accuse di Olympia? Sapeva chi fossi o si lasciava condizionare da ciò che le avevano detto?
Lei era mia sorella, era sempre stata la mia complice. E io all'improvviso ero fuggita di casa, nella notte; portandomi dietro giusto qualcosa a cui non volevo rinunciare.
Nessun saluto, nessun addio.
Non riuscivo più a guidare, avrei fatto un incidente se avessi continuato. Mi fermai vicino al parco, credendo che l'ombra degli alberi mi avrebbe coperta. Il mio corpo era il mio lavoro e non potevo rischiare di perderlo.
Lasciai che il pianto mi invadesse, lasciai che finalmente il fiume di lacrime che conservavo da sei anni si esaurisse. Nessuno mi aveva mai visto piangere, nemmeno Nyx, o Pier che era il mio migliore amico.Nessuno avrebbe dovuto vedere la Mistress Sara debole.
Eppure,quando alzai lo sguardo, qualcuno si era fermato vicino la mia macchina. Mi asciugai in fretta le lacrime, sperando che il trucco non si fosse sciolto.
Guardai quegli occhi scuri, e in lui riconobbi il ragazzo che si era laureato e che aveva festeggiato al Diamond. E sulla sua bocca mi sembrò quasi di leggere il mio nome, di sentire il sussurro "Sara..." sconcertato e incredulo.
Ma non poteva conoscermi, non poteva conoscere il mio nome. In sei anni avevo chiuso con la mia vecchia vita, ero diversa ormai.
Misi in moto la macchina e partii sgommando. E quella sera, con Nyx, Demo e gli altri, avrei bevuto così tanto da dimenticarmi mia sorella Olympia, quella stronza di mia madre e soprattutto lo sguardo sconcertato di quel ragazzo senza nome. Me ne sarei fottuta se Siria mi avesse ripresa dicendomi che l'alcol non faceva superare i problemi, che se volevo potevo parlare con la sua psicologa. Quel giorno non volevo che più niente mi toccasse.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro