20 - lasciami andare
La tazza di tè le rotolò giù dalle mani, andando a inondare di liquido verdastro le infinite carte inutili che ormai da giorni le invadevano la scrivania, costringendola a nascondere con un'imprecazione che non avrebbe voluto lasciar uscire, il cigolio della porta che soffriva sui suoi cardini quasi arrugginiti.
- "Leggi questa dannata missiva e fammi sapere cosa diavolo si aspettano ancora da me!"
La figura di Severus Piton, avvolta dalle tenebre che aveva ricominciato a portarsi dietro, invase il suo studio in un turbinio di rabbia e frustrazione.
- "Una lettera di Hermione, immagino..."
Lo biascicò senza entusiasmo, Minerva McGranitt, pronta a subire per l'ennesima volta il suo malumore, mentre, con la coda dell'occhio, lo scoprì a tremare impercettibilmente al suono del nome di lei che si era fatto ingombrante in mezzo alla stanza.
- "Penso di sì.
Aspetto istruzioni, preside..."
Lo disse con il sarcasmo di cui solo lui era padrone, prima di voltarsi e di incamminarsi verso i suoi sotterranei che tentavano invano di difenderla dal suo pessimo carattere.
Minerva trattenne a stento un sospiro, mentre con un tagliacarte dorato espugnava la busta malconcia che riportava il nome della Granger scritto da una grafia che non le sembrò di riconoscere.
Sfilò il foglio piano, lasciandosi scappare un sorriso, nel vedere che l'uomo nero targiversava più del dovuto sulla soglia.
Una soglia che, prima di allora, non si era mai attardato tanto a superare.
La aprì, fissando meglio gli occhiali sul naso, unici alleati di fronte a parole che da qualche anno a quella parte si stavano facendo sempre più sfocate.
La carta frusciò per un attimo tra le sue dita, prima che riuscisse a mettere a fuoco le lettere vergate da un inchiostro scuro come la pece.
Di colpo il fiato le si incastrò nella gola.
31, Mervan Rd, Londra
Se vuoi che viva, vieni qui.
La sua vita per la tua.
Un vecchio amico
Minerva girò il foglio con le mani tremanti.
Una foto sfocata di Hermione con il volto tumefatto fece capolino sotto la pergamena ingiallita.
- "Severus..."
Le uscì solo un sussurro strozzato.
Alzò gli occhi, cercando di incrociare lo sguardo dell'uomo che restava immobile sullo stipite della porta.
Una lacrima le scappò dalle palpebre, scivolando sotto gli occhiali e andando ad infrangersi sul collo ricamato della tunica di damasco nero.
Vide Severus conquistate in fretta il centro dello studio, piombarle addosso come un rapace su una preda, strapparle la lettera dalle mani inermi.
E poi lo vide sbiancare improvvisamente, cercando un sostegno di fortuna nello schienale di una sedia, mentre i suoi occhi le pugnalavano lo sguardo velato di lacrime.
C'erano dentro dolore e follia.
C'era lo sguardo di un mangiamorte pronto ad uccidere.
E quello di un uomo innamorato.
Lo vide portarsi due dita sull'attaccatura del naso, mentre piegava il capo in avanti, lasciando che i capelli, neri come una notte senza stelle, le nascondessero il suo tormento.
Lo osservò inerme gettare a terra la pergamena, disintegrare con la forza delle dita la foto ingiallita, mentre con l'altra mano rovistava frettolosamente nel mantello.
Estrasse la bacchetta, Severus Piton.
Una bacchetta che, Minerva capì chiaramente, non aveva mai sentito più impotente.
Poi lo vide voltarsi, cominciare a correre verso le scale.
Si alzò di scatto, la preside di Hogwarts, tutto quello che le sue ossa vecchie di ottanta anni riuscirono a concederle.
Corse attraversando lo studio, lo raggiunse.
Con gli ultimi strascichi di forza gli afferrò una manica della casacca nel tentativo di trattenerlo.
Di farlo ragionare.
- "Dove credi di andare, Severus?"
Lo disse con rabbia, con paura.
E con tanta di quella rassegnazione da sentirsi venire meno il respiro.
Lui le scagliò addosso uno sguardo saturo di fiamme e di follia.
Uno sguardo che avrebbe potuto disintegrare le pietre di un castello vecchio di secoli.
- "È una trappola, Severus."
Sussurrò, mentre lo sentiva liberarsi con stizza dalla sua presa, prima di inforcare il primo gradino delle scale.
E Minerva corse.
Gli si parò davanti con tutta la presenza effimera del suo corpo ormai fragile.
- "Non ti lascerò andare a morire..."
- "Scansati, Minerva!"
Glielo sputò addosso, senza darle il tempo di finire la frase.
Era veleno puro, quello che gli uscì dalle labbra.
- "Ci deve essere un altro modo... fermati!
Pensiamo a qualcosa... chi è? Sai chi può averla presa?"
Lui rimase immobile, senza parlare.
Con le pupille piene di fuoco gelato.
- "Ti ucciderà... non lo capisci?"
Lo osservò chiudere gli occhi.
Poi riaprirli.
E dentro non ci vide più niente.
La freddezza, le fiamme, la pericolosità eterna da cui erano sempre stati invasi, erano sparite senza lasciare alcuna traccia.
E adesso restavano solo due perle nere senza nessuna scintilla di luce.
Uno sguardo in cui le parve di scorgere l'infinito.
- "Io ci sono già passato, Minerva.
Ho già perso tutto tanto tempo fa.
Sono sopravvissuto a chi non avrei dovuto sopravvivere una volta... e adesso non..."
Si interruppe, Severus Piton.
Riuscì a riconquistare il silenzio un attimo prima che gli si incrinasse la voce.
Era un uomo diverso quello che aveva davanti.
Era un uomo innamorato.
Era un uomo che lottava per il presente, non per un passato che andava sbiadendosi ogni giorno, un po' di più.
- "Lasciami andare Minerva, ti prego.
Io non ho più niente... tranne lei..."
Glielo disse lì, su quei gradini che soccombevano alle ombre della notte.
Glielo disse tra il dolore e le lacrime che cercavano una strada per conquistargli le guance, senza riuscire a trovarla.
Glielo disse, e lei rimase immobile.
Come era diversa la sua voce.
Come era vera, piena di vibrazioni che non avrebbe mai pensato potessero possederla.
E Minerva si fece da parte, piccola, in un angolo delle scale, e lo osservò correre verso l'unica redenzione che gli era rimasta, mentre si rendeva conto che forse, se non altro, a quell'uomo si sarebbe dovuto concedere il diritto di morire in pace.
Di morire per qualcosa che, seppure per un solo istante, lo avrebbe reso felice.
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