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Epilogo

21 dicembre 2006


Léon era arrabbiato da morire.
Più di quando, l'anno scorso, Julien gli aveva rubato la carta speciale dei Pokémon.

Camminava a fianco della sua mamma con le braccia incrociate al petto, rifiutandosi addirittura di darle la manina.
Non se la meritava, quella volta!

Come aveva potuto trascinarlo in quell'orribile paesino? Come?
Se ci fosse stato ancora il suo papà, di certo non le avrebbe permesso di portarlo via dalla sua Parigi e dai suoi amichetti.

Ma il suo papà non c'era, e lui non aveva nessuno che capisse quanto tutto quello lo facesse stare male.

«Sei ancora arrabbiato con me?» si sentì chiedere, e voltò il viso dall'altra parte per non far vedere il broncio che aveva messo su.

Certo che era ancora arrabbiato con lei! Quell'anno a scuola avrebbero dovuto fare la recita, e lui doveva fare addirittura un pezzo da solista col violino.
Era bravissimo, glielo dicevano tutti; e invece niente recita e niente solista.

Arrivarono in una specie di parchetto, se così si poteva definire una stupida distesa d'erba con uno scivolo e un'altalena, e sua madre andò a sedersi su una panchina.

«Amore...»

Ma Léon fece uno sbuffo e infilò le mani nelle tasche del giaccone. D'accordo che era arrabbiato, ma non così tanto da rischiare di perdere le sue manine! Come avrebbe fatto a suonare il violino, poi?

Sentì sua madre sospirare e la vide alzarsi per poi accovacciarsi di fronte a lui.

Era bella la sua mamma.
Aveva una lunga cascata di capelli castani e sempre lucidi, come se sopra ci brillasse sempre il sole, e gli occhioni grandi e... Non aveva mai capito di che colore fossero, in realtà; ogni tanto sembravano azzurri, altre volte quasi grigi... Però erano tanto belli. Tutta lei era tanto bella.

«Ascolta, amore mio... Io lo so che questo è un periodo difficile. A te manca il tuo papà, ma manca tantissimo anche a me, lo sai?»

Certo che lo sapeva. L'aveva sentita per un anno intero piangere tutte le notti, e ogni notte, quando sentiva che si era addormentata, si infilava nel suo letto; così la mattina si sveglia e non è da sola, pensava.

«Durante le feste di Natale mi manca ancora di più... Ti ricordi che ci portava sempre i dolcetti di quella pasticceria di Parigi?»

Léon annuì, ripensando a tutte le volte che il suo papà rientrava a casa con una di quelle scatoline lilla.
Ogni volta era una tragedia, perché lui voleva mangiarli subito, mentre i suoi genitori volevano aspettare di aver cenato.

Sua madre fece uno di quei sorrisi dolci che ogni volta, mannaggia a lei, riuscivano a fargli dimenticare il motivo per cui era arrabbiato.

«Lo so che volevi rimanere a Parigi con i tuoi amichetti, e so anche che volevi essere presente alla recita... Ma, amore, ci saranno un sacco di recite a cui potrai partecipare, e tantissime vacanze che potrai passare coi tuoi compagni di scuola... Quest'anno avevo bisogno di stare un po' con la zia Lisa...»

«Lo so» borbottò piano, indispettito per il fatto che non riuscisse a rimanere arrabbiato.

«Non avevo dubbi che lo sapessi. Chi sei tu?»

«Il tuo ometto speciale.»

«Il mio ometto speciale, bravo!»

Sorrise di nuovo, e Léon pensò che in fondo non fosse una gran tragedia se per un anno non erano rimasti a casa. In fondo quel parchetto non era poi neanche tanto brutto e, a guardarlo meglio, c'erano anche altri giochi da fare. Per esempio, su quell'albero laggiù c'era una casetta in legno che sarebbe stato bellissimo far diventare un fortino da difendere dai pirati cattivi!

Léon si buttò tra le braccia della sua mamma, respirando quel buon profumo di vaniglia che aveva sempre tra i capelli.

«Facciamo così: ora tu vai a giocare un po', dopo facciamo una passeggiata e andiamo a fare merenda! C'è una pasticceria buonissima anche qui, sai?»

Léon sorrise alla sua mamma bellissima, annuì e corse verso le altalene.
Era bravissimo a spingersi, perché aveva già le gambe lunghe e riusciva ad andare veloce quasi come Spiderman!

L'aria era gelida, ma a lui non importava granché; in fondo sua mamma gli aveva messo due maglioni e un giaccone.
Certo, si stava un po' congelando le guance, ma chissenefrega!

«Facciamo che io ero il padrone e tu il cane! Dai, abbaia.»

Léon si voltò per vedere da dove provenisse quella voce, e vide una bambina che si stava mettendo per terra a gattoni, e aveva iniziato ad abbaiare.

Che giochi stupidi, aveva pensato, si vede proprio che sono due bambini piccoli.

«Adesso facciamo che arriviamo all'altalena, e chi arriva primo vince una pigna!»
Ed entrambi corsero verso di lui.

«Tu chi sei?» gli chiese il bambino, quello che prima aveva detto che voleva fare il padrone del cane.

Léon ci pensò... La mamma gli aveva sempre detto che non si deve mai dire il vero nome agli sconosciuti, ma valeva anche per i bambini?

«Batman» disse per sicurezza.

I due bambini si guardarono, le sopracciglia inarcate e la bocca spalancata.
Léon con un salto scese dall'altalena e andò vicino a loro.
Erano carini. Lei aveva lunghi capelli biondi e gli occhioni blu, e lui invece i capelli castani e gli occhi... Strani. Erano marroni, ma più chiari del marrone di quelli di Julien... Sembravano quasi colorati come il miele.

«Io sono Sebastiano, e lei invece si chiama Chiara e siamo migliori amici.»

La bambina annuì, poi si avvicinò al suo amichetto e gli prese la mano.
«E un giorno ci sposeremo» affermò.

Bleah.
Che schifo le femmine.
Già da piccole pensavano a tutte quelle cose come i baci e il matrimonio.
Chissà perché nascevano così strane.

Sebastiano doveva pensarla come lui, perché roteò gli occhi al cielo e scosse la testa.
Léon sorrise nel vederlo così poco entusiasta, e indicò la casetta sull'albero che aveva visto poco prima.
«Facciamo che era un fortino e noi dovevamo difenderla dai pirati?»

Il bambino annuì con un gran sorriso sul viso e si mise a correre verso la scala che portava lassù.

«Seba, è troppo in alto!» gli urlò la sua amica.

«Io sono capace di salirci, guarda!» e iniziò ad arrampicarsi. Quando fu sull'ultimo gradino guardò di nuovo in basso e sorrise alla sua amica.

«Facciamo che te eri la cuoca e dovevi fare da mangiare a tutti, poi noi tra un po' scendiamo per la cena.»

Chiara accettò, anche se con poca convinzione, e si mise a preparare una poltiglia di foglie, sassi e acqua presa dalla fontanella.

Léon andò a sedersi sul fondo della casetta e aspettò che Sebastiano si mettesse vicino a lui.

«Abiti qui vicino? Vieni anche domani a giocare al parco?» gli chiese il più piccolo.

«No. Abito in un altro paese e domani sto a casa con la mia zia e la mamma.»

«Ah» rispose Sebastiano un po' deluso forse.

«La cena è pronta!» si sentì urlare da di sotto, e Seba alzò di nuovo gli occhi al cielo, facendo scoppiare Léon in una risata.

«Che pizza» sbuffò.

«Se è la tua amica ci devi giocare. Io con i miei amici ci gioco sempre» fece spallucce.

«Sì, però ogni tanto lei vuole fare i giochi da femmina, e a me non mi piacciono.»

Léon rise di nuovo.
«Potete fare un po' quello che vuoi tu e un po' quello che vuole lei.»

Il più piccolo mise su un'espressione pensierosa, come se stesse valutando quella soluzione.
«Okay, però non la sposo» disse in fine, scuotendo la testa con vigore e convinzione.

Léon gli strofinò i capelli.
Aveva appena sei anni, eppure con i bambini più piccoli si comportava come gli adulti facevano con lui.

«Visto che domani non torni, ti regalo una cosa» e infilò la mano in tasca per cercare chissà cosa.

Ne tirò fuori una carta, che porse a Léon con un gran sorriso sul viso.
«Questo è Charizard! Li conosci i Pokémon?»

Léon spalancò gli occhi e la prese tra le mani, girandola e rigirandola come se fosse qualcosa di sacro.
«Certo che li conosco, mi piacciono un sacco!»

Era proprio la stessa che gli aveva rubato Julien l'anno precedente. Incredibile!
Sorrise a quel bambino e stava quasi per abbracciarlo, ma poi si ricordò che suo padre gli diceva sempre di non abbracciare gli sconosciuti. Anche in quel caso, chissà se valeva anche per i bambini...

«Amore, è ora di andare!» si sentì chiamare da sua mamma, e sbuffò. Finalmente aveva trovato un amichetto con cui giocare, e già doveva andarsene via.

«Adesso vado, se no la mia mamma si arrabbia. Questa è bellissima, grazie mille!» e allargò il sorriso ancora più di prima.

Scese il primo scalino e sentì di nuovo Chiara chiamare il suo amico per dirgli che la cena era pronta; guardò Sebastiano e lo vide mentre nascondeva il faccino tra le mani.

La sua mamma poteva aspettare ancora un secondo: rientrò in fretta nella casina e si accovacciò di fronte a lui, spostandogli le mani dal viso e guardandolo ancora in quei bellissimi occhioni color del miele.

«Facciamo così: visto che mi hai dato questa carta, ti prometto che ti sposo io quando sei grande, così non devi sposarti con lei.»

Sebastiano fece un sorrisone gigante e iniziò ad annuire con foga.

Léon ricambiò il sorriso e scese all'ennesimo richiamo di sua mamma.

«Ciao, Sébastien!» urlò una volta di sotto, vedendolo affacciarsi da una delle finestrelle.

«Ehi! È Sebastiano!»

Spazio S. che ringrazia

E così, è finita anche questa avventura... 
No, non ero decisamente pronta a tutto ciò, ma almeno tutto si è concluso nel migliore dei modi❤️

Non so dire quanto grata sia a voi, che avete scelto di dare un'opportunità a questa storia, ridendo ed emozionandovi con me💕

Ogni commento, ogni voto, ogni lettura silenziosa sono stati preziosi, più di quanto riesca a dire 💞

Grazie, grazie e ancora grazie 😍
Buona giornata a voi,
Con amore, S. 💗

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