39. Rispettare
«Fa schifo.»
«Ma non è vero!»
«Sébastien...»
Il più piccolo si fece scappare un sorriso e lanciò un'occhiata a Isabelle.
Era a casa loro, quel pomeriggio, e Léon si era intestardito a voler provare la ricetta di un dolce.
Il giovedì della settimana successiva sarebbe stato il compleanno di sua zia e lui aveva decretato che quell'anno la torta l'avrebbe fatta con le sue manine.
Peccato che ancora, nonostante Seba lo seguisse passo passo, non avesse preso dimestichezza con nessun aggeggio elettronico, come li chiamava lui.
«Mio fratello ha ragione, fa davvero schifo. Ed è pure brutta» affermò la piccola.
«Ci vuole pratica e non è sicuramente facile, ma come primo tentativo non è malaccio. Il pan di spagna deve venire un po' più morbido e il gioco è fatto. Dai, riproviamo.»
«Ma avevate promesso che avremmo giocato alla Play!» protestò Isabelle.
Cercando di non farsi sentire da sua sorella, Léon chiese a Sebastiano se avrebbe dormito lì quella notte, e alla sua risposta affermativa sorrise in direzione della piccola.
«Sébastien mangia con noi, dopo cena prometto che faremo un super torneo. Metto in palio anche un premio, ci stai?»
Il volto di Isabelle si illuminò e la sua testa iniziò a fare su e giù a ritmo frenetico.
«Ci sto! Ma se perdi, Seba dorme con me stanotte!»
Il volto del più piccolo diventò rosso d'imbarazzo; evidentemente parlare a bassa voce non funzionava con quella bambina dall'udito supersonico.
«Andata!» affermò il francese, con tanto di stretta di mano a sua sorella per suggellare il patto.
«Scusate, ho voce in capitolo o decidete solo voi con chi devo dormire io?»
I fratelli si guardarono e facendo spallucce risposero in coro: «Decidiamo noi.»
Seba emise un sospiro di frustrazione, quei due quando ci si mettevano erano davvero dei prepotenti.
Isabelle andò in salotto dopo essersi raccomandata di chiamarla quando la seconda torta fosse stata pronta e Léon si avvicinò a lui con un sorrisetto malizioso sulle labbra.
«Ovviamente se perdiamo aspetti che si addormenti e poi vieni in camera mia.»
Sebastiano ridusse gli occhi a due fessure e gli lanciò un'occhiata poco amichevole.
«Col cazzo! Mi hai praticamente venduto, vado a dormire con Isabelle anche se vinciamo!»
Il francese scoppiò a ridere, e Seba si beò di quel suono che ancora aveva la capacità di fargli venire le farfalle allo stomaco. Era così bello vederlo senza quell'aria malinconica sul volto, che ogni volta ne rimaneva estasiato. In più, il fatto di sapere che era uno dei pochi a farlo ridere così lo riempiva davvero di orgoglio.
«Dai, ricomincia a preparare gli ingredienti, magari stavolta esce qualcosa di commestibile.»
«Ehi! Avevi detto che come primo tentativo non era malaccio.»
«Ho anche detto che stanotte avrei dormito con te, eppure mi hai barattato con tua sorella» disse arcuando un sopracciglio e incrociando le braccia al petto.
«Lo sai che sei bello quando fai finta di essere arrabbiato?» Léon era avanzato di qualche passo e aveva appoggiato le mani sui suoi fianchi, prima di travolgerlo in un bacio che gli fece girare la testa.
Anche questa era una cosa a cui Seba non si sarebbe mai abituato. L'effetto che avevano uno sull'altro era qualcosa che lo lasciava sempre destabilizzato, confuso. Si era chiesto spesso se fosse normale provare tutto quello, solo per un semplice bacio. E poi si era risposto che tutto quello che aveva a che fare con Léon, semplicemente non poteva essere definito semplice.
La seconda torta riuscì decisamente meglio della prima, i ragazzi la stavano mangiando con gusto quando sentirono la porta d'ingresso aprirsi.
I due fratelli spalancarono gli occhi nello stesso momento, poi fu il caos più totale.
Léon prese il vassoio su cui era adagiata la torta e lo nascose nel forno, mentre Isabelle infilava in fretta e furia i piatti nella lavastoviglie.
Sebastiano era rimasto con la forchetta sospesa in aria mentre guardava quei due muoversi come fossero tornado. La più piccola gliela prese di forza, mangiò al volo il boccone e la buttò nel lavandino.
«Ehi!» protestò il castano.
«Zitto, la zia non deve sospettare niente.»
«Ciao ragazzi!» Lisa comparve sulla soglia della cucina proprio mentre Seba stava per ribattere a quella piccola despota, «Che profumino. Hai cucinato qualcosa?» chiese guardando proprio lui.
«Perché chiedi solo a lui? Non potrei essere stato io?» domandò offeso Léon.
Lisa arcuò un sopracciglio e mise su un sorrisetto furbo.
«Non sento odore di bruciato e non c'è farina sul soffitto, quindi no» rispose, con una tranquillità che fece scoppiare a ridere Sebastiano.
«Ceni con noi?»
«Sì.»
«Oh, meno male, stasera non avevo proprio voglia di cucinare. Vado a fare una doccia.»
Seba, sorpreso, guardò Léon.
«Ma chi le ha detto che avrei cucinato?»
In tutta risposta l'altro scrollò le spalle.
«Ormai credo lo dia per scontato.»
Il più piccolo iniziò a mordicchiarsi il labbro, mentre il principio di una domanda cominciava a vorticagli in testa.
«Che c'è?» gli chiese Léon.
Evidentemente non era bravo a nascondere i suoi timori.
«Tua zia... Cioè, cosa sa di noi?»
Il più grande gli sorrise, probabilmente con l'intento di tranquillizzarlo.
«Non le ho mai detto nulla, ma credo che inizi ad avere qualche sospetto.»
Beh, in effetti Sebastiano stava passando davvero tanto tempo in quella casa, quella era già la seconda sera che si fermava a dormire e sicuramente la loro complicità non era passata inosservata.
Lisa non era una donna che faceva battutine a riguardo, ma gli era già capitato di beccarla a guardarli mentre battibeccavano o si sorridevano, e tutte le volte aveva un'espressione maliziosa in viso, come se avesse già capito tutto molto prima di loro e fosse soddisfatta di aver avuto ragione.
Inevitabilmente a Sebastiano venne da pensare alla sua famiglia.
Il timore di come avrebbero reagito se avessero dovuto scoprire qualcosa non lo aveva mai abbandonato, e ogni volta che provava a formulare ipotesi si ritrovava con l'angoscia a invadergli il corpo.
I suoi genitori non erano persone cattive, ma erano comunque all'antica; suo padre dal niente era riuscito a prendere in gestione un albergo che stava praticamente andando in rovina, e nel giro di un paio d'anni l'aveva fatto diventare uno degli hotel migliori della costa adriatica.
All'inizio aprivano solo d'estate, ma col tempo era riuscito a trovare l'escamotage giusto per poter far fruttare l'attività tutto l'anno. Era dedito al lavoro, anche troppo per i gusti di Sebastiano, e amava la sua famiglia in modo tutto suo.
Per lui l'amore era non far mancare nulla in tavola ai suoi figli, permettergli di uscire con gli amici quando volevano, ma poi pretendeva che seguissero il percorso di vita che lui aveva pensato per loro, senza curarsi di quali fossero le loro vere passioni.
Con Giorgio era andata bene, non aveva una vera e propria vocazione, e alla fine gli piaceva fare la parte del bravo ragazzo, di quello che si diverte con gli amici ma sa anche quando restare a casa a studiare.
Con Seba era stato un po' più difficile: lui aveva dovuto rinunciare a frequentare la scuola che gli avrebbe permesso di lavorare per passione, e non solo per dovere.
E sua madre... Sua madre era la classica donna da cui potevi andare per trovare qualsiasi consiglio pratico, ma quasi mai un abbraccio affettuoso.
Nonostante tutto, Seba sapeva di essere amato, anche se in un modo non del tutto convenzionale.
Col passare degli anni si era convinto della veridicità di una frase che aveva letto su un libro quando era più piccolo: solo perché qualcuno non ti ama come vorresti, non significa che non ti ami con tutto se stesso.
Sicuramente era così; sicuramente i suoi genitori erano solo meno bravi di altri a dimostrare il loro amore.
La mano di Léon sul suo viso, appoggiata in una carezza leggera, lo distrasse dai suoi pensieri, e Seba portò gli occhi in quelli del francese.
«Non dobbiamo per forza dirlo agli altri. Possiamo anche tenercelo per noi, finché non sei pronto.»
Il più piccolo sorrise a quell'affermazione.
Léon doveva tenere davvero tanto a lui per accettare di vederlo solo di nascosto dal mondo, per sopportare di "condividerlo" con qualcuno che non fosse lui. Seba non era certo che sarebbe riuscito ad affrontare quella consapevolezza, a parti invertite.
Era stato sconfitto di nuovo.
Il torneo si era disputato dopo cena, il premio messo in palio da Léon era un pacco di caramelle gommose che Sebastiano aveva portato con sé in caso di emergenza.
Si erano sfidati a turno e Seba era arrivato ultimo.
Non poteva crederci.
Isabelle saltellava felice con la sua ricompensa in mano, i lunghi capelli biondi svolazzavano attorno al suo piccolo corpicino e lei mostrava soddisfatta il suo sorriso vittorioso.
«A dormire, adesso. Domattina c'è scuola e tu hai sempre sonno. Avanti, saluta tutti e a nanna.»
Lisa aveva parlato col suo solito tono dolce, ma aveva nella voce una fermezza che fece smettere di zompettare la prima in classifica.
«Buonanotte Léon. Andiamo!» disse guardando Sebastiano.
Questo mise su un'espressione rassegnata che fece ghignare il più grande, al quale alzò il dito medio di nascosto dalla piccola.
Una volta entrati in camera, Isabelle mise su un sorrisetto furbo e si infilò sotto le coperte.
«Puoi andare, adesso. Lo scherzetto gliel'ho fatto» decretò con soddisfazione.
«In che senso?» chiese confuso Seba.
«Era uno scherzo per mio fratello che dovevi dormire con me. Ora gliel'ho fatto e puoi anche tornare da lui.»
«Oh... Quindi non vuoi che dormiamo insieme?»
La piccola sembrò pensarci un attimo su, poi scosse la testa in senso di diniego.
«No, a me va bene se vai di sotto con lui... È sempre felice quando sa che devi arrivare, o sei qui a casa nostra.»
«E quando non ci sono, invece?»
Sul volto della bambina sembrò passare un veloce lampo di tristezza.
«Quando non ci sei... Non è il mio Léon.»
Seba sentì il cuore fermarsi a quell'affermazione.
«In che senso?»
Isabelle sospirò e mise su un'espressione che lui non riuscì a decifrare.
«La zia dice sempre che tra un po' tornerà com'era una volta, ma io lo vedo che ogni tanto ha gli occhi tristi, anche se con me fa finta di niente. Invece quando parla di te, i suoi occhi sono felici come quando eravamo a Parigi.»
Seba si morse la lingua per non chiedere nient'altro. Quella bambina era un pozzo di informazioni, la genuinità che la contraddistingueva avrebbe fatto sì che lei cantasse come un uccellino, se solo lui avesse continuato con le domande.
Ma non era giusto.
Non era così che voleva scoprire del passato di Léon.
Non avrebbe approfittato di Isabelle solo perché poteva.
Le sorrise e le lasciò un dolce bacio sulla fronte, poi le augurò la buonanotte e uscì dalla sua stanza.
Trovò Léon appoggiato alla parete proprio accanto alla porta, le caviglie incrociate una sull'altra e le mani dietro alla schiena.
Seba lo vide alzare la testa di scatto non appena si accorse della sua presenza e i due si fissarono per qualche secondo senza dire nulla.
Il più grande vagava negli occhi di Sebastiano con l'espressione confusa, come se non si capacitasse di quello che aveva appena fatto dentro quella camera da letto.
Ma in fondo cosa aveva mai fatto?
Aveva semplicemente deciso di rispettarlo, di non indagare contro la sua volontà, di aspettare che lui gli raccontasse quello che lo tormentava perché sentiva di potersi fidare.
No, decisamente non sentiva di aver fatto nulla di straordinario.
Gli sorrise, Léon, e senza dire nulla si avviò nella sua stanza mentre lui lo seguiva.
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