31. Due Più Due
Nessuno fiatava mentre uscivano a testa bassa dai cancelli principali.
Erano appena stati al campo di concentramento di Sachsenhausen, uno dei più grandi in Germania, e l'aria che si respirava era decisamente triste.
Il professor Galli, affiancato dalla professoressa Rizzo, si piazzò davanti al gruppo di studenti.
«Ragazzi, sappiamo bene che queste sono state ore pesanti, ma era importante che visitassimo questo posto. Dobbiamo sempre ricordare il passato per far sì che in futuro non avvengano mai più cose del genere. Vi siete comportati bene là dentro, avete dimostrato maturità e rispetto, e devo dire che vi è convenuto, altrimenti vi avrei buttati fuori a calci nel culo.»
I ragazzi finalmente sorrisero, e con loro anche i professori.
«Ora vi portiamo a mangiare qualcosa in un bel fast food, così i vostri stomaci giovani potranno godersi quelle schifezze che tanto amate. Fatelo adesso, tra poco più di dieci anni non digerirete più neanche spianata e mortadella, date retta a me.»
I professori tornarono a camminare, seguiti dalle due classi.
«Dio, certo che Galli è proprio tragico. Tra poco più di dieci anni bla bla bla» lo scimmiottò Andrea.
«Magari ha ragione, che ne sai?! Ti ci vedo dopo i trenta: panza da bevitore accanito di birra, stempiatura potente e pisello consumato» lo prese in giro Alex.
«Ma sta' zitto! Tu avrai il culo consumato, altro che il pisello!»
Giada, Léon e Seba scoppiarono a ridere, mentre il rosso tentava di prendere a calci l'amico.
«Come vi vedete a trent'anni?» chiese lei.
«Io sarò sicuramente un milionario, uno di quegli imprenditori fighi che gira con la Lamborghini e rimorchia ogni sera una tipa diversa» decretò Andrea.
«Dovrai trasferirti in una città più grande, allora, da noi ormai ti conoscono tutti» lo prese in giro Seba.
«Quando sarò milionario a nessuno importerà, anzi! Pregheranno per farsi un giro su tutto questo ben di Dio» ammiccò Andre, indicando sé stesso.
«Io credo che sarò in giro per il mondo con zaino e sacco a pelo. Sarebbe una figata!» disse Alex.
«Ma quelle non sono cose da fare a trent'anni! Puoi farle ora, al massimo... A quell'età bisogna aver messo su famiglia, essersi sistemati...»
Tutti si voltarono a guardare Giada, dopo quelle parole.
«Beh? Che c'è?» chiese lei, confusa.
«C'è che non tutti auspicano a questo, nella vita. Non tutti vogliono una famiglia, il matrimonio, dei figli...» le spiegò Andrea, mentre gli altri annuivano in accordo con lui.
«Beh, Seba sarà sicuramente così» affermò lei.
Sebastiano spalancò gli occhi, mentre Alex se la rideva sotto i baffi e Léon la guardava incuriosito.
«Cosa? Perché credi che sarò così?»
Le fece spallucce prima di rispondere.
«Perché Chiara dice sempre che entro i trenta si vuole sposare e sistemare, e soprattutto diventare mamma. Considerando che state insieme, se due più due fa quattro...»
«E se si lasciassero?»
Per fortuna la domanda di Léon aveva attirato solo l'attenzione di Seba, gli altri sembravano non essersi accorti del tono acido con cui l'aveva posta.
Giada scoppiò a ridere e scosse la testa.
«Ma per favore! Hai mai visto come si guardano? Sono innamorati persi! Lui non la lascerebbe neanche sotto tortura e lei si vede già all'altare con l'abito bianco.»
Sebastiano scattò con lo sguardo su Léon, che guardava la loro amica con un po' troppo rancore per i suoi gusti.
«Ho una fame pazzesca, credo che prenderò due panini» disse per cercare di cambiare discorso.
«E tu come ti vedi, invece?»
Niente da fare, il francese non voleva mollare l'osso.
«Io?» chiese Giada, poi si portò un indice alla bocca e fece vagare lo sguardo in alto «Io credo che andrò a vivere a Parigi» gli fece un occhiolino e tornò a camminare.
Ora era Sebastiano a guardarla con gli occhi ridotti a due fessure.
Il biondo gli diede una spallata giocosa e tornò a camminare insieme agli altri.
«Allora, chi è di guardia stasera?» chiese Andre guardando i suoi commensali.
Erano tutti nella sala ristorante dell'hotel, avevano finito di cenare e stavano chiacchierando del più e del meno.
«Io e Léon» rispose sorridente Giada.
Seba fece finta di nulla, continuando a giocherellare con gli ultimi avanzi che aveva nel piatto.
Dio, odiava che le venisse quel sorrisone quando parlava di Léon.
«A proposito,» continuò lei «Potremmo farci una partita a carte, se ti va. Ho quelle da Uno e quelle da scala.»
A Sebastiano andò di traverso l'acqua che stava bevendo e iniziò a tossire, diventando completamente paonazzo.
Quando si riprese vide Léon che lo guardava cercando di trattenere una risata, poi lo sentì rivolgersi alla loro amica.
«Non credo si possa fare... Se vengono a bussare, poi?»
Giada sembrò cadere dal pero. Possibile che non ci avesse pensato?
«Ah, giusto...» disse mentre annuiva piano e il sorriso andava via via affievolendosi.
Seba trattenne un sorrisetto soddisfatto, poi sentì il telefono vibrargli nella tasca posteriore dei jeans.
Si alzò dicendo ai suoi amici che sarebbe andato a fumare una sigaretta e uscì.
Sapeva già chi era al telefono, e non gli andava di parlare con lei davanti a Léon.
«Ehi!» rispose, sforzandosi di sembrare allegro e dando il primo tiro.
«Ciao, amore! Come stai?»
Seba si guardò un po' attorno... Come stava?
Era spaccato a metà, ma come poteva dirlo alla sua ragazza?
«Insomma... Oggi siamo andati a visitare un campo di concentramento, l'umore non è proprio dei migliori.»
«Oh, lo so, Giada mi ha mandato qualche foto... Cielo, avevo i brividi da qui.»
Sebastiano sorrise prima di rivolgerle la stessa domanda.
«E tu, come stai?»
«Benissimo! Oggi con i ragazzi siamo andati a passeggiare nel bosco e abbiamo raccolto tantissima legna, la useremo più tardi per fare un falò qui in giardino e raccontarci qualche storia dell'orrore. Si divertiranno tantissimo!»
«Sicuramente, sei bravissima con i ragazzi.»
«Me la cavo, sì... E sai una cosa?» chiese allegra.
«Cosa?»
«Cavoli, volevo aspettare e dirtelo di persona ma sono troppo felice!»
Seba si ritrovò contagiato da tutto quell'entusiasmo e sorrise di riflesso.
«Dai, dimmelo!» implorò.
«Papà oggi ha detto che per il mio compleanno mi regalerà un viaggio per due persone, indovina dove?»
«Dove?» chiese curioso.
«A Parigi! Oddio sono troppo felice, ma t'immagini? Io e te, una settimana intera a Parigi soli soletti. Sarà meraviglioso.»
Seba bloccò la mano che stava portando alla bocca per dare un altro tiro alla sigaretta.
«Oh... Parigi? Davvero? E quando?» domandò mentre buttava via il mozzicone ormai finito.
«Beh, è il regalo per il mio compleanno, ma penso che la data potremo deciderla noi... Ho già chiesto a Léon in che stagione è più bella.»
Cazzo.
Seba strinse gli occhi e portò una mano a stringere l'attaccatura del naso.
Cazzo, cazzo, cazzo.
«Amore, ci sei?»
«Sì, certo. Hai fatto bene a chiedere a lui, sicuramente ci saprà consigliare.»
«D'accordo, adesso vado perché i ragazzi mi aspettano per accendere il fuoco. Fai il bravo, okay?»
«Certo... Buona serata.»
«Ciao amore, a domani.»
Porca di quella puttana.
Ma come cazzo le era venuto in mente di chiedere a Léon? E se lui non ci fosse voluto andare in vacanza con lei? E poi suo padre, che gran tempismo del cazzo! Per i diciotto anni le aveva regalato un portachiavi e per i diciannove un cazzo di viaggio?
Ma che priorità sballate aveva?
Seba rientrò in hotel, i ragazzi erano tutti sui divanetti della hall a chiacchierare; appena si avvicinò a quello su cui erano seduti i suoi amici, vide Léon guardarlo con l'espressione seria, il telefono stretto nella mano destra.
Dio, l'avrebbe stritolato se avesse continuato così! Aveva le nocche bianche dalla forza che stava usando.
Seba fece per avvicinarsi a lui e parlargli, ma il francese scattò in piedi, precedendolo.
«Io salgo. Buona serata a tutti» si voltò e se ne andò, lasciando Seba con un senso di colpa che in realtà non doveva nemmeno appartenergli.
In fondo non aveva fatto nulla di male, pensò, non era certo colpa sua se il padre della sua ragazza aveva deciso di farle un regalo del genere.
Insieme ad Alex e Andrea si avviò in camera e, dopo una bella doccia rilassante, infilò un paio di jeans e una camicia.
Quella sera toccava ad Alex restare di guardia, ma lui di uscire non ne aveva proprio voglia.
Aveva provato a mandare qualche messaggio a Léon, ma lo stronzetto aveva visualizzato senza rispondere.
Fanculo! Di certo non era un suo problema se l'altro se l'era presa così, e di certo non aveva voglia rincorrere qualcuno che lo evitava per capriccio.
«Alex, avvertici se succede qualcosa, okay?» si raccomandò prima di uscire.
«Certo, tranquilli. Buona serata, ragazzi.»
Il locale che avevano scelto quella sera era una specie di birreria, anche se le luci basse e la musica a tutto volume facevano pensare più a un pub.
Seba aveva ancora il suo boccale mezzo pieno e con gesti rapidi controllava continuamente il cellulare.
Di Léon, neanche l'ombra.
Sbuffò tra sé e sé e bevve un sorso di birra, mentre i suoi compagni si congratulavano con Andrea per il geniale piano che aveva pensato qualche sera prima.
In effetti, Seba doveva ammettere che era stata una gran trovata quella di far rimanere una persona a turno in camera per far sì che gli altri potessero uscire.
Se non avessero trovato una soluzione per poter sgattaiolare via la sera, chissà se lui e Léon...
Basta! Non doveva pensarci.
Léon lo stava deliberatamente ignorando, nonostante lui avesse provato più volte a contattarlo, perché mai si sarebbe dovuto rovinare la serata così?
Ma poi ripensò a quell'espressione seria sul suo viso, quando era rientrato in hotel, a come stringeva il telefono in mano...
Si alzò dalla panca sulla quale era seduto e passò la sua birra ad Andrea.
«Torno in albergo, sono distrutto. Ci vediamo domattina, okay?»
«Sicuro? Ti accompagno?»
«No, tranquillo, siamo vicinissimi... Magari faccio una passeggiata nei dintorni prima e poi vado in camera» guardò Andrea annuire, salutò gli altri e si incamminò.
Affrettò il passo appena fu fuori dal locale.
Aveva bisogno di vedere Léon, di guardarlo in faccia e spiegargli che lui, in viaggio con Chiara, non ci voleva andare.
E, soprattutto, non a Parigi.
Quello era il posto in cui il francese aveva detto che lo avrebbe portato, e Seba avrebbe voluto visitarlo solo con lui.
Salì in ascensore e aspettò che arrivasse al piano, controllò che i corridoi fossero liberi e andò dritto alla porta del biondo.
Tese l'orecchio per captare qualche rumore, capire se l'altro fosse ancora sveglio, ma da lì fuori non riuscì a sentire nulla.
Alzò la mano per bussare, ma si bloccò a mezz'aria.
L'avrebbe trovato ridicolo, Léon? Avrebbe pensato che fosse un cagnolino, presentandosi alla sua porta così?
Magari aveva bisogno di tempo per sbollire la rabbia e lui lo stava forzando...
Fece un respiro profondo, decise di mandare al diavolo tutti quei dubbi e batté le nocche sul legno scuro, il cuore in gola e le mani che avevano iniziato a sudare appena.
La porta si aprì dopo pochi secondi, ma sul volto del più grande non comparve nessuna espressione: serio era e serio rimase.
Si fece semplicemente da parte e gli lasciò lo spazio per entrare, andando poi a sedersi sul suo letto, la schiena appoggiata al muro e le gambe incrociate.
«Come mai già di ritorno?» si sentì chiedere con aria scazzata, come se non gli interessasse davvero della risposta.
Seba tolse cappotto e sciarpa, e non gli sfuggì l'occhiata che Léon gli aveva lanciato vedendolo un po' più in tiro del solito.
Andò a sedersi vicino a lui, che si fece un po' da parte per farlo accomodare.
Spalla contro spalla, entrambi con lo sguardo rivolto in avanti e la testa appoggiata alla parete.
«Non ci voglio andare a Parigi... Con Chiara, intendo.»
Léon sbuffò una risata.
«Beh, dovresti dirlo a lei, allora, non a me.»
«Glielo dirò, infatti. Volevo solo che anche tu lo sapessi.»
«Per me puoi andarci con chi ti pare, non cambia nulla.»
Seba aveva sentito una piccola punta di fastidio nel tono di quella frase, e una grande punta di delusione nell'ascoltarla. Come poteva dire così?
Voltò la testa e guardò il profilo di Léon, illuminato dalla lampada identica a quella che anche lui aveva in camera.
«A me cambia. Avevi detto che mi ci avresti portato tu, un giorno. Ah, già, che stupido! Era una frase detta tanto per.»
Léon scattò immediatamente con gli occhi in quelli si Sebastiano.
«Ma che cazzo dici? Non era detta tanto per.»
«E allora non fare finta che non te ne freghi un cazzo. E non fare lo stronzo davanti ai tuoi stupidi amici francesi.»
Léon aggrottò le sopracciglia, probabilmente confuso da quell'ultima affermazione.
«L'hai detto davanti a Mathias che non ti ricordavi e che era una cosa detta tanto per dire.»
Il volto del francese si illuminò di un sorriso meraviglioso e andò ad appoggiare la fronte a quella di Sebastiano.
«Sono stato uno stronzo, scusa.»
«Perché l'hai fatto? Da quando è arrivato lui hai cominciato a trattarmi davvero di merda. Perché?»
Léon sospirò, poi appoggiò la testa sulla spalla del più piccolo.
«Perché averti come amico era un vero schifo, Sébastien. Volevo altro, ed ero certo di non poterlo avere. Così ho deciso che avrei sofferto meno se ti fossi allontanato da me. Volevo starti sul cazzo e non sapevo come fare... Mathias mi ha fatto da spalla, diciamo. Tutto qua.»
Tutto qua? Sebastiano si era tormentato per giorni e giorni per poter capire cosa cazzo fosse successo, e lui se ne usciva con "tutto qua"?
Afferrò il viso di Léon e lo costrinse a girarsi verso di lui, gli occhi di nuovo incatenati e le labbra a un respiro di distanza.
«Non farlo più.»
Il francese mise su un sorrisetto malizioso e annuì, prima di baciarlo.
Fu di nuovo fuoco vivo quello che dettò l'urgenza dei loro gesti.
Una lotta di mani a chi riusciva a spogliare per primo l'altro, un intreccio di gambe e respiri.
Léon si staccò per un attimo dalla bocca di Sebastiano, che sentì un vuoto all'altezza del petto.
Lo stava guardando di nuovo così, in quel modo che faceva crescere in Sebastiano la voglia di possederlo lì e subito, di appropriarsi di ogni carezza e ogni sospiro.
«Non voglio che due più due faccia quattro.»
Léon lo aveva detto così, in un mormorio che si infranse sulle labbra del più piccolo, con gli occhi incatenati ai suoi in una muta supplica.
«Allora per noi farà sempre cinque.»
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