28. Il Piano
Le due classi riuscirono ad arrivare alla stazione di Berlino alle 22:00 passate. I ragazzi avevano i volti stravolti e i professori non sembravano in condizioni migliori.
Avevano viaggiato per quasi diciotto ore e avevano fatto due cambi di treno, durante il tragitto.
Sebastiano era distrutto, trascinava il suo trolley come un viaggiatore nel deserto in cerca di un'oasi in cui potersi rifocillare.
Alex e Andrea stavano abbracciati, davanti a lui, cercando di sostenersi a vicenda, e Giada -come al solito- era abbarbicata al braccio di Léon.
Seba era ancora stizzito per la scena vista in stazione, poco prima di salire sul treno.
A quanto pareva, anche Mathias era dovuto partire per tornarsene nella sua bella Parigi e aveva pensato bene di prendere un treno che partisse più o meno nello stesso orario del loro.
Aveva ancora davanti agli occhi la scena del francese numero due che abbracciava, disperato, il francese numero uno. Entrambi con le lacrime agli occhi e l'espressione distrutta in volto.
Dio, che fastidio.
Ma si potevano fare certe scenate a vent'anni? Non erano mica più due bambini! E poi Parigi non era in capo al mondo, qualche ora di volo e avrebbero potuto rivedersi.
Quanti teatrini inutili!
Arrivati finalmente all'hotel, dopo una camminata di quasi un chilometro, il professor Galli richiamò l'attenzione di tutti gli studenti.
«Ragazzi, parliamoci chiaro: siamo tutti stanchi morti, adesso vi do le chiavi e non voglio sentire alcuna lamentela. Abbiamo deciso noi con chi starete in camera, quindi beccatevi chi vi è capitato e poche pugnette. Ci siamo capiti?»
I ragazzi, tra una risata e l'altra, risposero affermativamente.
Unica consolazione di Sebastiano? L'essere in una classe diversa rispetto a quella di Léon gli garantiva di non capitare nella sua stessa stanza!
«Giorgini, Cabelli e Rinaldi.»
Grande! Aveva sempre avuto tanta stima del suo professore di matematica, ma in quel momento lo stava letteralmente adorando!
Lui, Alex e Andrea erano in camera insieme; e da soli, per giunta!
Finalmente qualcosa che girava per il verso giusto.
La prima nottata era passata tranquilla, i ragazzi si erano praticamente buttati sul letto ed erano sprofondati in un sonno misto a coma.
Non avevano nemmeno avuto la forza di fare una doccia; ci avevano pensato il mattino successivo.
In quel momento erano tutti nella sala ristorante per la cena e, mentre Seba cercava di scansare con la forchetta una salsa biancastra, gli altri al tavolo con lui stavano pianificando come riuscire a sgattaiolare fuori dall'albergo senza farsi scoprire dai professori.
«Ci serve un piano che non faccia insospettire nessuno» decretò Alex.
«Eccolo, è arrivato il genio! E noi che pensavamo di sbandierarlo ai quattro venti. Così, giusto per farci dare una bella punizione» aveva replicato Matteo, uno della sezione D.
Purtroppo, se con le camere era riuscito a farla franca, non si poteva dire lo stesso delle disposizioni durante i pasti.
I ragazzi della sezione A e quelli della D erano sempre andati d'accordo, quindi quella sera si erano mischiati tra loro, ed ecco che Seba si era ritrovato a sedere con Alex, Andrea, Giulio, Matteo, Giacomo e Léon.
I primi tre erano nella sua classe, gli altri erano della stupida sezione D.
«Okay, ce l'ho!» aveva esordito Andrea, «Ci rimangono tre notti e, casualmente, le stanze sono proprio da tre. Faremo così: ogni sera, uno di noi rimarrà in camera per andare ad aprire ai professori nel caso passassero a controllare, e gli altri due usciranno.»
I ragazzi annuirono insieme, pensando che quella fosse proprio una bella trovata.
«E se vogliono controllare i letti?» chiese Seba.
Léon fece una smorfia che voleva minimizzare la sua preoccupazione.
«Mettiamo dei cuscini sotto alle coperte e basta. Non entreranno mai a guardare sotto le lenzuola.»
Sì, quello sembrava decisamente un gran bel piano.
«Okay, sono quasi le otto, sicuramente ci lasceranno chiacchierare un po' nella hall e poi ci spediranno in stanza. Dobbiamo fare in modo di passare la voce con tutti gli altri e dobbiamo decidere chi rimane in camera questa sera.»
I ragazzi si guardarono tra loro.
Sapevano bene che era comunque un piano che poteva fallire e sicuramente tutti stavano pensando la stessa cosa: se ci beccano non avremo più la possibilità di uscire, ma se lo facciamo stasera, almeno una serata fuori ce la siamo fatta!
Seba e Alex parlarono insieme:
«Io no!» poi si guardarono e scoppiarono a ridere.
Anche Matteo e Giacomo li seguirono, tirandosi fuori dal primo turno di permanenza in hotel.
Erano rimasti Léon e Giulio. Erano loro che avrebbero dovuto aprire ai professori nel caso fossero andati a controllare.
I quattro si diedero appuntamento per le 22:00 fuori dall'hotel e, appena finito di mangiare, ognuno andò a un tavolo diverso per spiegare il piano di fuga.
Alle 21:55 Seba e Alex si raccomandarono con Andre di essere convincente e di fare una faccia assonnata, nel caso qualcuno avesse bussato alla sua porta.
Gli dissero di farsi trovare con le luci spente e magari di strofinarsi anche un po' gli occhi, giusto per essere ancora più persuasivo.
Uscirono dalla stanza quatti quatti e si trovarono fuori dall'hotel in pochi minuti.
Girarono l'angolo, dove avevano deciso che si sarebbero trovati con gli altri ragazzi, e trovarono già un gruppetto di compagni che chiacchieravano tra loro.
Gruppetto in cui si era intrufolato anche Léon.
Cazzo, così non avrebbe funzionato! E se i prof. fossero andati a controllare proprio la sua camera? Ma come si poteva essere così imbecilli?
Beh, Seba doveva ammettere che non era solo per quello che era così stizzito.
Poco prima, nella hall, aveva sentito uno stralcio di conversazione tra Léon e quello che pensava essere Mathias.
Lo aveva supposto solo perché il biondo parlava in francese, e aveva chiesto com'era andato il viaggio, quindi facendo due più due...
Il problema non era certo il fatto che si fosse sentito col francese numero due.
Il problema era che aveva captato la frase: "vedrai quanti scherzetti gli farò, ora che siamo in gita!" e sapeva benissimo che si stava riferendo proprio a lui.
Dio, iniziava ad avere veramente un'intolleranza verso lo stupido francese numero uno.
«Tu non dovevi stare di guardia?» chiese proprio a lui, con tono acido.
Léon si voltò nella sua direzione, poi mise su quello stupido ghigno strafottente.
«Giulio non si sentiva tanto bene. Ha preferito restare stasera in camera e uscire domani. Di guardia... Cosa siamo, ai militari? Ma rilassati, cazzo» poi si voltò di nuovo verso gli altri ragazzi.
Ancora una volta, Seba si ritrovò a piantare le unghie nei palmi, piuttosto che dire quello che avrebbe voluto.
Dio, la voglia di prenderlo a parolacce e schiaffoni era immensa.
Sentì la mano di Alex appoggiarsi sulla sua spalla e lo vide sorridergli, comprensivo.
Allora si era accorto anche lui che, ultimamente, il francese era un vero e proprio stronzo nei suoi confronti!
Stava per dire qualcosa al rosso, ma gli ultimi ragazzi arrivarono, e insieme decisero di incamminarsi verso qualche bel locale a Berlino.
Si fermarono in un Cafè Lounge che offriva la possibilità di fumare Narghilè e si accomodarono nell'unica saletta presente.
Era piccola e raccolta, ma le luci soffuse e colorate e i divanetti in stile mediorientale, davano un senso di calore e comfort.
Ovviamente i ragazzi non si fecero scappare l'opportunità di provare quel curioso oggetto e ne ordinarono uno ad ogni tavolo occupato.
Per fortuna, tra i vari studenti, c'era chi se la cavava meglio di Seba con il tedesco e, anche se un po' a stento, riuscirono a farsi capire dai baristi presenti nel locale.
I cinque Narghilè vennero posizionati al centro di ogni gruppetto, e Seba scoprì presto che quello ordinato dal suo compagno di classe era all'aroma di ciliegia.
Fumava tranquillo con i suoi amici e di tanto in tanto dava un'occhiata ai ragazzi accanto a lui, il tavolo dove c'erano anche Giada e Léon.
Seba notò che da quando era arrivato Mathias i due avevano passato meno tempo insieme ed era tornato a domandarsi se davvero aveva travisato il rapporto che li univa.
Forse aveva ragione Alex ed erano solamente amici.
Tuttavia, il fatto che lei avesse deciso di sedersi sulle gambe del francese lasciava a intendere che almeno uno dei due, in quella coppia, avrebbe voluto qualcosa di più.
Léon aveva una mano sul fianco di Giada e ogni tanto le passava il tubo per farle fare un tiro.
Figurarsi, quella non aveva mai fumato in vita sua e ora sembrava la persona più a suo agio del mondo mentre aspirava boccate fruttate dal bocchino che il francese le porgeva.
Era stizzito, Sebastiano, non riconosceva più la sua amica e non riusciva a capire come ci si potesse trasformare così solo per una "misera" cotta.
Lui non ricordava di essere cambiato minimamente quando si era fidanzato con Chiara, e nemmeno lei l'aveva fatto.
Chiara!
Seba si era dimenticato di telefonarle, quella sera.
Appoggiò l'aggeggio che aveva in mano, controllò l'ora e si scusò con i suoi amici prima di uscire dal pub.
Il telefono squillò per qualche secondo e la voce della sua ragazza finalmente si fece sentire.
«Amore...» disse con tono assonnato.
Seba sorrise; sapeva che probabilmente stava dormendo, ma aveva comunque voluto fare un tentativo.
Non erano mica solo Léon e Giada la coppietta felice.
«Ehi, dormivi?»
«Più o meno...»
«Scusami, mi sono reso conto che non ti avevo ancora chiamato, ma la giornata è stata frenetica.»
Sentì il fruscio di quella che immaginò essere la coperta e pensò che si fosse alzata per non disturbare i ragazzi. In fondo, anche lei era in gita in quei giorni.
«Cosa avete visto di bello, oggi?» chiese curiosa.
Seba le raccontò della noiosa visita agli edifici governativi e le spiegò il piano che avevano escogitato per poter uscire la sera.
Chiara sembrava entusiasta; anche lei raccontò qualcosa della sua giornata e di quanto i ragazzini fossero contenti di averla lì con loro.
Chiacchierarono qualche minuto ancora, poi si diedero la buonanotte con la promessa che si sarebbero sentiti di nuovo il giorno dopo.
Seba chiuse la chiamata e la voce alle sue spalle lo fece sobbalzare.
«Ti mancava la fidanzatina?»
Léon era in piedi davanti a lui, ora che si era voltato, e aveva in bocca uno di quegli stupidi legnetti.
«Sì, e allora? Se manca anche a te, puoi sempre cercare un po' di affetto da Giada. Sono sicuro che non te lo negherà» fece per entrare nel pub, ma la mano di Léon gli afferrò un braccio e lo costrinse a fermarsi.
«Te l'ho già detto una volta, Sébastien: a volte sembri davvero geloso.»
Quello stupido ghigno sulle labbra fece salire il sangue al cervello del più piccolo, che si avvicinò pericolosamente al viso del biondo.
«Te l'ho già detto anch'io, Léon: vaffanculo.»
Con un colpo secco riuscì a far mollare la presa sul suo braccio e tornò a sedersi dai suoi amici.
Non prima di aver sentito lo stupido francese fare una mezza risatina.
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