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22. Tra I Pensieri Di Léon

Il 31 dicembre era arrivato, e con lui il programma che vedeva i festeggiamenti come protagonisti della serata.

Léon non era uscito di casa per giorni, giorni che aveva passato a pensare, ragionare e cercare una via di fuga per quel tumulto che sentiva nel petto.

Era passata quasi una settimana dal Natale che aveva festeggiato con Sebastiano, il primo nel quale le mancanze della sua vita si erano fatte sentire un po' meno.

Era stata una giornata bella, piacevole, e lui aveva passato ore ed ore a ripercorrerla con la mente.

Era diventato uno dei suoi passatempi preferiti ripensare ai momenti con lui.

Si era trovato immerso in quel sentimento così, come ci si ritrova una mattina di primavera invasi dal rosa tenue dei mandorli in fiore.

Era cresciuto piano, in modo silenzioso, e senza nemmeno rendersene conto ecco che si era innamorato di lui.

L'aveva visto la prima volta in macchina, una sera, mentre andava chissà dove con quello che poi scoprì essere suo fratello. Léon era fermo in coda al semaforo e di fianco a lui c'era Sebastiano che dormiva, la testa appoggiata al finestrino e le lunghe ciglia che si appoggiavano delicatamente sulla guancia. 

Si era incantato a guardare quelle labbra piene e quell'espressione beata per tutto il tempo in cui il semaforo rimase rosso. Poi era scattato il verde, lui aveva girato a sinistra e la macchina con dentro quel ragazzo era andata a destra. 

È fatta, aveva pensato, chissà quando riuscirò a rivederlo.

Con non poca sorpresa, era successo proprio il mattino successivo. Se l'era trovato davanti, mentre la barista gli faceva segno di saltare la fila per consegnargli subito il suo solito ordine, e di nuovo si era sentito perso. 

Aveva scoperto quelle meravigliose iridi in cui sembrava fosse stata fatta colare ambra liquida e aveva pensato che potesse essere un segno del destino, quel destino in cui lui aveva deciso di non credere più.

Le sorprese erano continuate una volta arrivato a scuola. Stava parlando con i suoi amici, quando d'un tratto si erano dileguati, lasciandolo da solo, e aveva capito che era arrivato il famoso Seba.

Alex gli aveva parlato di lui per tutta l'estate, così come anche gli altri ragazzi.

Seba di qua, Seba di là, e lui aveva paura di non riuscire a legare con quel ragazzo che sembrava perfetto su tutti i fronti.

Se non andremo d'accordo, pensava, perderò gli amici.

E quello, per lui, era un pensiero soffocante.

Era dovuto andare via da Parigi e, con un peso sul cuore non indifferente, aveva dovuto lasciare gli affetti, gli odori, i panorami...

Non era stato facile riadattarsi a una nuova vita, una nuova città, nuove persone.
Se davvero non fosse andato d'accordo con Sebastiano, come avrebbe fatto?
Fu uno shock scoprire che era proprio il ragazzo dell'auto -e quello della caffetteria- il famoso Seba.

Gli si era avvicinato e gli era venuto quasi spontaneo sorridere mentre gli porgeva la mano.
Aveva fatto bene a non sforzarsi, visto come gli aveva parlato quel cafone.

Era andato avanti così, giorno dopo giorno, costringendosi ad ignorarlo.
Gli scappava di tanto in tanto qualche frecciatina, certo, ma cercava di tenere un profilo il più basso possibile, perché non voleva che l'astio che percepiva arrivare da Seba facesse vacillare gli equilibri del gruppo.

Preferiva evitarlo, cercare di parlarci poco per non irritarlo.

Lo guardava da lontano, tra i corridoi della scuola, mentre avanzava con quella camminata sicura.
Lo guardava mentre abbracciava Chiara o le teneva la mano.

Ma non era importante, si diceva, era semplicemente un bel ragazzo; chissenefrega se era già impegnato e se era etero.

Gli era capitato tantissime volte di trovare attraenti ragazzi che sapeva non se lo sarebbero mai filato. Era così per tutti, mica solo per gli omosessuali!

Quindi aveva cercato di limitare i contatti con lui il più possibile, facendosi bastare i momenti che riusciva a ritagliarsi di nascosto da tutti per osservare quei lineamenti che lo avevano stregato fin da subito.

Poi c'era stato il suo compleanno, e aveva scartato quell'archetto. Un regalo che gli aveva fatto salire un nodo in gola.

Il suo violino... Da quanto non lo suonava per qualcuno?

Dio, era passata un'eternità.

Ma poi Giada glielo aveva chiesto lì, davanti a tutti... Sebastiano lo guardava in quel modo, come se non aspettasse altro, e lui non aveva saputo dire di no.

Aveva iniziato a farsi trasportare da quella musica che aveva composto ormai due anni prima e, appena finito, era corso con gli occhi sul volto di Seba per cercarci una qualsiasi emozione sopra. 

Lo aveva trovato con gli occhi lucidi, e il suo stomaco era stato invaso dal calore.

Poi aveva conosciuto suo fratello e quell'idiota del suo amico, a casa del castano, mentre Alessio gli dava del frocio solo perché era francese. Dio, ma si poteva essere più stupidi di così?

Il fatto che Sebastiano si fosse addirittura preoccupato per lui lo aveva fatto gongolare in gran segreto, e in macchina aveva scoperto quanto lo divertisse stuzzicarlo e farlo arrabbiare.

Aveva riso.

Dopo tanto tempo Léon era scoppiato a ridere, mentre guardava l'espressione stizzita del suo compagno di viaggio.

Fuori diluviava, erano bagnati fradici, un cretino qualunque gli aveva appena dato del frocio, e lui era scoppiato a ridere.

Era successo solo con lui, solo con Sebastiano.

Non ricordava quasi più com'era sentire l'ilarità che cresce nel petto ed esplode sulle labbra, ma Seba glielo aveva fatto tornare in mente. 

Era bellissimo, e lui negli ultimi due anni se l'era perso.

C'era stata la nottata passata insieme dopo la proposta di Alex, che zitto zitto si era già accorto di come Léon guardasse il suo migliore amico.

Si era scoperto agitato nel far salire in camera sua Sebastiano e l'aveva guardato di nascosto mentre scorreva con gli occhi ogni centimetro della sua stanza.

C'era stata la torta di mele condivisa a notte fonda, i sorrisi, e il rosso che li aveva "costretti" a dormire vicini.

E poi c'erano state le domande, quelle a cui Léon non voleva rispondere; quelle per cui Sebastiano non era ancora pronto.

Avevano cucinato insieme il giorno dopo, quando erano tornati dal supermercato, e Léon si era divertito un mondo ad aiutarlo nelle preparazioni.

Aveva addirittura mangiato la pasta alla norma, e lui odiava le melanzane. Ma questo a Sebastiano non l'aveva detto.

E c'era stata la mano.

Quella mano appoggiata sulla sua, quando erano saliti in macchina dopo essere andati a prendere Isabelle dalla nonna.

Vederla, vedere quella casa, faceva sempre tornare Léon in quel vortice di pensieri che cercava con tutto sé stesso di allontanare.

Aveva lavorato così a lungo per riuscire a tornare a galla, ma andare in quella villa era come una raffica di pugni presi in pieno stomaco, per lui.

Faticava a respirare, aveva l'impressione che tutto si stringesse attorno al suo corpo, diventato improvvisamente troppo grande per quel mondo così sbagliato.

Ed era bastata una mano, quella di Sebastiano sulla sua, per riprendere contatto con la realtà.

Chissà se aveva capito quanto importante fosse stato quel gesto, per lui.

Era successo così, piano piano e senza sosta, che si era innamorato di Seba.

Il suo sentimento gli sembrava una biglia messa su di un piano appena inclinato. Era partito a muoversi lentamente, data la poca pendenza, e poi se l'era ritrovato sparato a tutta velocità nel petto.

Era stato un susseguirsi di presenze che lui non era riuscito a ignorare; di piccoli gesti difficili da cancellare.
Di sorrisi e battibecchi, e occhi incastrati negli occhi.

Se li portava in giro così, Sebastiano, quegli occhi che lo facevano morire ogni volta che li incrociava, come se fosse la cosa più normale del mondo. Come se ignorasse gli effetti collaterali che potevano scatenare.

Dipendenza, ad esempio.

Léon si sentiva completamente dipendente da quegli sguardi, quel modo che aveva solo Sebastiano di guardare le persone.
Di guardare lui.

Come se lo vedesse davvero, come se si fosse accorto che aveva qualcosa da urlare al mondo e stesse solo aspettando il momento giusto per farlo.

Ma lui sapeva che tutto questo era solamente frutto della sua fantasia: Sebastiano stava con Chiara, e questo non sarebbe cambiato.

Avevano una relazione stabile già da un paio d'anni e lei era una delle ragazze più dolci che avesse mai conosciuto.

Era pura, Chiara, glielo si leggeva in volto.
E Seba ne era innamorato.

Non importava se a volte gli sembrava che provasse i suoi stessi sentimenti.
Non importava se, pochi giorni prima, lo stare così vicino a lui gli avesse scatenato emozioni che non ricordava più nemmeno di poter provare.
Non importava nemmeno se la mano di Sebastiano tra i suoi capelli, era una delle cose che più aveva sognato in quegli ultimi giorni.

Lui era impegnato e, soprattutto, era etero.

Era per questo motivo che aveva deciso di dare un taglio a tutto.

Aveva pensato molto a quale potesse essere la strategia migliore per allontanarlo da lui, per smettere di volerlo così intensamente; doveva smettere di fraintendere i comportamenti del suo amico, doveva smettere di rimuginarci sopra per ore ed ore, altrimenti non ne sarebbe più uscito.

Doveva proteggere quel poco che rimaneva del suo cuore, doveva fare in modo di smetterla con le illusioni su quel ragazzo dagli occhi d'ambra.

Doveva assolutamente strappare quel legame che li univa in un modo così puro, ma che a Léon faceva così male.

Si conoscevano da poco, in fondo, e non sarebbe stata una tragedia, per uno come Sebastiano, smettere di frequentarlo così assiduamente.

Sì, era decisamente la soluzione migliore, e avrebbe iniziato a metterla in atto quella stessa sera, alla vigilia di capodanno.

Erano arrivati quasi tutti, mancava solo Sebastiano.

Léon aveva di nuovo messo a disposizione casa sua dato che sua zia faceva il turno di notte e sua sorella era dalla nonna.

Avevano deciso tutti insieme che, anche se sarebbero rimasti a casa, si sarebbero messi in ghingheri.

E così Alex e Andrea avevano indossato camicia e pantalone, e le ragazze tacchi alti e vestito.

Léon si era limitato a una giacca sopra la t-shirt bianca, non si era mai sentito a suo agio con gli abbigliamenti troppo eleganti.

Il programma era quello di mangiare qualcosa tutti insieme -qualcosa che avrebbe cucinato Seba, visto che lui non era in grado nemmeno di accendere i fornelli- e poi fare qualche gioco di società nell'attesa della mezzanotte.

Mancavano pochi minuti alle 20:00, e il campanello suonò.

I ragazzi, tutti riuniti in salotto a chiacchierare e sgranocchiare le patatine che Léon aveva messo a disposizione, si girarono verso di lui, che alzò gli occhi al cielo.

«Vado io, non vi scomodate!» disse ironico, scatenando le risate di tutti.

Spinse il pulsante che apriva il cancelletto pedonale e attese sulla soglia l'arrivo di Sebastiano.
Stava camminando verso di lui, con quel bel sorriso sul volto e i capelli scompigliati, mentre tentava con le mani di sistemarli.

Odiava il casco, Léon ormai l'aveva capito.
Ogni volta che lo indossava passava minuti interi a tentare di rimediare al disastro.

«Guarda cosa ho portato!» gli disse entusiasta.
Aveva tirato fuori da sotto al giaccone una bottiglia di vino rosso e una di vino bianco.

Si limitò ad annuire, Léon, e si fece da parte per farlo entrare.

«Tutto bene?» sentì chiedere.

«Certo. Togli il cappotto, qui si muore di caldo.»

Seba smise di sorridere, mentre pensava a chissà cosa, gli aveva passato le bottiglie e aveva iniziato a spogliarsi.

Aveva sfilato i guanti e li aveva riposti in una delle tasche; poi aveva sciolto i due giri di sciarpa che gli coprivano il collo e infine aveva tolto il cappotto elegante.

Léon non si era perso nemmeno un movimento del più piccolo, mentre fingeva di guardare l'etichetta delle bottiglie.

Aveva visto come la maglietta nera aderisse bene al suo fisico, adattandosi alle spalle larghe e possenti, e mettendo in risalto i muscoli degli addominali.

Aveva visto anche quei jeans, che lui adorava, e che scendevano così bene sui fianchi e sulle gambe lunghe.

Continuava a passare la mano tra quei capelli spettinati, e Léon avrebbe voluto fermarlo.

Era perfetto così, con gli occhi d'ambra e quei ciuffi che cadevano scompigliati sulla fronte.

Aveva le guance arrossate dal freddo, e un moto di rabbia gli invase il petto.

Chiara aveva la macchina, come poteva farlo andare in giro, d'inverno, con quello stupido motorino?
Non se ne capacitava!
Ma quelli non dovevano essere più affari suoi; le dinamiche del rapporto tra Seba e la sua ragazza erano un qualcosa da cui lui doveva tenersi alla larga.

I ragazzi si voltarono e salutarono l'ultimo arrivato con il sorriso sul volto.

«Finalmente è arrivato il nostro cuoco preferito!» disse Alex, mentre si infilava in bocca una manciata di patatine.

«Cosa prevede il menù?» chiese Giada, che aveva smesso di parlottare con la sua amica.

«Non saprei, la spesa l'ha fatta il padrone di casa...» rispose sorridendo, poi si voltò verso di lui, «Cos'hai comprato di buono?»

Léon si limitò a fare spallucce e si appoggiò alla sponda del divano.

«L'ha fatta mia zia, in realtà. Puoi usare tutto quello che vuoi.»

«Okay... Mi fai da sub chef?» gli domandò, ancora con quel sorriso sulle labbra.

Sarebbe certamente stata più dura del previsto se Sebastiano avesse continuato a sorridergli così.

«Nah, stasera non ne ho voglia.»

Puff, ecco che l'espressione felice sul volto di Seba sparì, lasciando posto ad una di stupore.

Annuì, e si avviò verso la cucina.
«Ti aiuto io, amore!» e Chiara si alzò dal divano per seguirlo.
Sebastiano sorrise e le poggiò un lieve bacio sulle labbra.

Abbassò gli occhi, Léon, e iniziò ad ascoltare distrattamente i discorsi degli altri ragazzi mentre, dentro di lui, testa e cuore si facevano una battaglia che probabilmente lo avrebbe distrutto.

La cena era stata un successo; Sebastiano si era superato, cucinando per loro dei crostini come antipasto, tagliolini allo scoglio e del salmone scottato in crosta di pistacchio.

Léon non riusciva a capire come, con tanto talento, il più piccolo avesse deciso di assecondare i suoi genitori, finendo per frequentare una scuola che non c'entrava nulla con la sua passione.

Sebastiano avrebbe dovuto lottare di più per quello che voleva, ne era certo. Il suo era un dono.
Riusciva a trasformare i cibi più semplici in straordinarie prelibatezze.

Era uscito a fumare una sigaretta, Léon, la prima da quando aveva deciso di smettere.
I bastoncini di liquerizia sembravano non essere sufficienti per calmarlo in quella serata di nuovi inizi.

L'immagine di Sebastiano che prendeva uno dei suoi legnetti e lo metteva in bocca, pochi giorni prima, gli si ripresentò prepotentemente davanti agli occhi. Aveva fatto quel gesto con una tale semplicità, che Léon ne era rimasto affascinato. Se l'era portato alle labbra e con un mezzo sorriso aveva detto che era pronto a partire.

L'immagine del più piccolo che giocherellava con quel bastoncino lo avrebbe tormentato a lungo, ne era sicuro.

La porta dietro di lui si aprì e Léon si ritrovò a sperare che fosse Sebastiano, uscito per fare qualche tiro, o per fargli compagnia.

«Posso?»

Non ebbe bisogno di girarsi, il suono basso della voce di Alex gli aveva permesso di riconoscerlo senza nemmeno guardarlo.

Léon annuì e basta, continuando a guardare il cielo.

«Quindi ti sei arreso...»

Non era nemmeno una domanda, era più un'affermazione.
«Non è una guerra, non mi devo arrendere e non devo combattere» disse facendo spallucce.

«A me sembra di sì, invece.»

Era fatto così, Alex, ed era per questo che lui gli si era affezionato così tanto in poco tempo. Non le mandava mai a dire, quello che pensava lo lasciava uscire fuori dalle labbra senza il bisogno di doverlo addolcire in nessun modo. Semplice e diretto, senza giri di parole sapeva sempre dove colpire.

Léon si limitò a passargli la sigaretta e, quando il rosso gliela restituì, lo guardò con l'espressione dispiaciuta.

«Dovresti combattere di più per quello che vuoi.»

Che buffo, Léon l'aveva da poco pensato di Sebastiano e ora il suo amico lo stava dicendo a lui.

«Smettila di usare la testa, tanto non vince mai in queste situazioni» aggiunse.

Era un buon consiglio, certo, peccato che mettendolo in pratica, Léon era già sicuro che si sarebbe ricoperto di cicatrici. E lui ne aveva già abbastanza, non voleva aggiungerne altre alla collezione.

Alex si avviò per tornare in casa e, prima di entrare, gli disse di sbrigarsi, ché a breve sarebbe cominciato il conto alla rovescia.

Léon diede l'ultimo tiro a quella sigaretta, poi la spense in un posacenere e raggiunse gli altri.

«Dieci, nove...»
Stavano già contando, Andrea con una bottiglia in mano pronta ad essere stappata e Alex con i bicchieri che sarebbero stati riempiti a breve.

«Otto, sette...»
Chiara e Sebastiano erano vicini, entrambi col sorriso sulle labbra, un po' come tutti nella stanza.

«Sei, cinque...»
Si avvicinò anche Léon, posizionandosi tra Sebastiano e Giada.

«Quattro, tre...»
Appoggiò un braccio sulle spalle di ciascuno e urlò insieme a loro i pochi numeri che mancavano per decretare il nuovo anno.

«Due, uno...»
Sebastiano si voltò, e il suo sorriso si ampliò quando incastrò gli occhi in quelli di Léon.

«Zero, Buon Anno!»

La bottiglia venne stappata riproducendo uno schiocco sonoro; Giada e Chiara si stavano abbracciando mentre si auguravano un felice anno nuovo, Andrea aveva iniziato a versare lo spumante nei bicchieri aiutato da Alex, nel tentativo di non versarlo a terra.

E loro due erano rimasti così, fermi a sorridersi, con gli occhi incapaci di guardare altrove.

Spazio S.

Ed ecco uno dei capitoli a cui sono più affezionata ❤️
Finalmente siamo entrati tra quelli che sono i pensieri di Léon e abbiamo capito qualcosina in più...
Ci rileggiamo sabato con i soliti due capitoli e un nuovo arrivo in città... Chi sarà mai?
Buona giornata a tutti,
Un bacio, S.

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