Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

17. Di Bambole E Poesie

Sebastiano si stava vestendo per uscire.
Era sabato pomeriggio e, essendo dicembre, i bambini del catechismo iniziavano a darsi da fare per la tradizionale recita natalizia che veniva fatta ogni anno.
Chiara gli aveva chiesto di andare in parrocchia per aiutarla ad allestire le scenografie e lui -di malavoglia- aveva accettato.

In fondo sarebbe stato un modo come un altro per passare qualche ora insieme, dato che ultimamente riuscivano raramente a vedersi.

Il suo cellulare iniziò a squillare, e lui rimase sorpreso quando vide il nome di Léon lampeggiare sullo schermo.

Nonostante il loro rapporto fosse cambiato rispetto agli inizi e ora si potessero definire quasi amici, non era mai successo che il francese gli telefonasse.

Afferrò il cellulare e rispose.
«Ehi, dimmi...»

«Sebastiano, dovrei chiederti un enorme favore.»

Rimase piuttosto colpito dal fatto che il biondo lo avesse chiamato col suo vero nome, di solito si divertiva a storpiarlo, o a chiamarlo con degli stupidi nomignoli.

«Certo, se posso...»

«Puoi venire qui e stare un po' con Isabelle? Devo assolutamente uscire, non so per quanto di preciso, e mia zia non è a casa.»

Seba si meravigliò di quella richiesta: non poteva lasciare sua sorella dalla nonna? O chiamare Giada? Anche Alex lo avrebbe aiutato, ne era certo.

In più cos'era quel tono urgente che aveva nella voce? Sembrava quasi che stesse tentando di nascondere il suo essere disperato! Che fosse successo qualcosa di grave?
Rimase in silenzio a elaborare i suoi pensieri, quando la voce dall'altra parte lo riscosse.

«Scusami, se non puoi non fa niente, non-»

Seba non gli lasciò terminare la frase.
«No, non c'è problema. Il tempo di vestirmi e sono da voi, okay?»

«Sì, d'accordo. Grazie, davvero.»

«Figurati...» sorrise al nulla e chiuse la chiamata.
Finì di prepararsi e telefonò a Chiara per avvisarla del cambio di programma.

Arrivò a casa di Léon pensando che era un miracolo il fatto che non si fosse ibernato. Era freddissimo, quel giorno, e lui era ancora costretto a girare con quel cavolo di motorino anche in pieno inverno. Per fortuna l'esame di teoria per la patente l'aveva passato, e a breve avrebbe sostenuto quello di pratica.

Suonò al campanello ed entrò dal cancellino pedonale, ma non fece in tempo a fare molti passi prima che la porta d'ingresso si aprisse, mostrando un Léon già pronto per scappare via.

«Grazie, e scusami ancora. Cercherò di metterci il meno possibile, d'accordo?»

Seba si stupì di quanto l'altro sembrasse perso nei suoi pensieri mentre diceva quelle parole.
«Certo... Va tutto bene?»

«Sì, sì... Devo scappare, ora. Isabelle è nella sua camera, di fianco alla mia» gli diede una pacca amichevole sulla spalla e si avviò verso quel trabiccolo che aveva come auto.

Sebastiano entrò in casa chiedendo il permesso all'aria, si tolse giubbotto e felpa prima di iniziare a sudare e salì le scale per raggiungere la sorellina di Léon.

Bussò prima di entrare e trovò Isabelle seduta a terra, su un grande tappeto rosa, intenta a far giocare le sue bambole.

Appena lo vide gli occhi le si illuminarono, e mise in mostra quel bel sorriso sdentato che le faceva venire due adorabili fossette ai lati delle labbra.

«Sei venuto! Che bello!»

L'entusiasmo mostrato da Isabelle contagiò anche lui, che andò a sedersi al suo fianco e prese a scrutare la sua stanza.

Era una bella camera da letto, degna di una piccola principessa.
Il letto a baldacchino era ricoperto da cuscini colorati; le pareti, dipinte di un rosa tenue, si abbinavano perfettamente ai mobili bianchi che arredavano la stanza, e i giochi sparsi dappertutto facevano pensare che quella bambina non avesse proprio il tempo di annoiarsi, in quella casa.

«Vuoi giocare con le mie bambole? Ti faccio usare la principessa Penelope» disse mentre gli passava una Barbie dai lunghi capelli biondi.

«Penelope? Hai scelto proprio un bel nome...»

La bambina allargò il suo sorriso ancora di più.
«Sì, l'ho chiamata così perché è uguale alla mia migliore amica della scuola. Anche lei ha i capelli lunghi lunghi e biondi.»

«Come te, allora.»

Isabelle portò un ditino sotto al mento e guardò in alto, poi scosse la testa.
«No, io sono più bella, anche Léon lo dice sempre.»

Sebastiano scoppiò a ridere per la sincerità di quell'affermazione, e si chiese quanto sarebbe stato bello se ognuno di noi fosse riuscito a mantenere intatta l'autostima che si ha quando si è bambini.

Avevano passato quasi un'ora così, entrambi seduti sul soffice tappeto, mentre facevano vivere alle bambole le avventure più strambe che Seba avesse mai sentito.

Non pensava che i bambini potessero essere così fantasiosi, ma si dovette ricredere in fretta quando Isabelle decise che Barbie Alice era la padrona di casa, che si era trasformata in bambola solo per verificare che tutti gli abitanti uccidessero i ragni radioattivi nascosti nei denti degli acari del materasso. 

Seba non aveva ben capito se la bambina fosse estremamente stravagante oppure vagamente inquietante, fatto sta che si divertì un mondo a giocare con lei e con tutti gli accessori che aveva a disposizione per quelle Barbie.

«E con quella non ci vuoi giocare?» chiese mentre guardava un castello in plastica perfettamente riprodotto, dentro la cui torre se ne stava, solitaria, una bambola dai lunghi capelli bruni.

Isabelle seguì con lo sguardo l'indice di Sebastiano, che ora indicava proprio quella.
«No, lei non può.»

Il ragazzo si preparò a un'altra delle strambe storie inventate dalla bambina.
«Oh, e come mai?»

«Quella si chiama Lucrezia, come la mia mamma. È sulla torre perché sta aspettando che qualcuno la guarisca» rispose, mentre tornava a pettinare la bambola che aveva in mano.

Seba sentì una fitta al cuore nell'udire le parole di Isabelle, alla quale sembrava si fossero spenti gli occhi, fino ad un momento prima vispi e allegri.

«Sta molto male?» azzardò a domandare.

La bambina annuì appena, poi tornò con gli occhioni azzurri su di lui.
«Però Léon ha detto che presto guarisce e poi può tornare a giocare con noi.»

Le sorrise, Sebastiano, e cercò in fretta una soluzione per far tornare il sorriso su quel bel visino.
«Che ne dici se prepariamo dei biscotti per merenda?»

Ed eccolo lì, lo sguardo felice che contraddistingueva quella piccola principessa.

Erano ormai le 21:00 quando Seba sentì suonare il campanello di casa.
Lui e Isabelle se ne stavano spaparanzati sul divano a guardare un cartone scelto dalla bambina, dopo aver passato tutto il pomeriggio a giocare e colorare.

Si era occupato anche della cena per la piccola, che si era mostrata estasiata ad ogni boccone di quella che per lui era una semplicissima pasta al pomodoro.

Aveva controllato spesso il cellulare per vedere se Léon gli avesse scritto qualcosa, ma da parte sua non era arrivato assolutamente nulla, e Seba non se l'era sentita di disturbarlo per chiedere se fosse tutto a posto.

«Sicuramente è mio fratello, si dimentica sempre di prendere le chiavi» disse la piccola, evidentemente scocciata da quell'interruzione. Prese il telecomando e mise in pausa il cartone, poi si voltò verso Sebastiano e portò il dorso della mano alla fronte con fare teatrale.
«Vai tu ad aprire, io sono stanca morta.»

Il castano arcuò un sopracciglio con aria divertita; certo, doveva essere stato sfiancante stare sulla sua schiena mentre la portava al galoppo per tutta casa!

Si alzò e si diresse alla porta e, quando l'aprì, si ritrovò davanti un Léon con l'espressione seria in volto; espressione che cambiò non appena mise a fuoco il suo viso.

Scoppiò in una fragorosa risata, così forte che addirittura si piegò in avanti tenendosi la pancia.
Seba rimase abbastanza interdetto da quella reazione e così, a braccia incrociate, attese spiegazioni.

«Oh, mon Dieu, ma come ti ha combinato?»

Il più piccolo spalancò gli occhi, capendo all'improvviso a cosa si stava riferendo il francese.
Durante il pomeriggio trascorso insieme, Isabelle aveva insistito per giocare al salone di bellezza, e Seba era stato costretto a fare da cavia a quella piccola dittatrice.

Gli aveva acconciato i capelli facendo codini qua e là, che aveva fermato con dei buffi elastici rosa; lo aveva truccato, persino! Sui suoi occhi spiccava un ombretto azzurro, le sue guance erano state colorate di rosa acceso e aveva ancora qualche rimasuglio del rossetto fucsia che la bambina aveva adoperato per rendergli le labbra più attraenti. Sì, erano state proprio queste le sue parole, e Seba arrossì all'improvviso ricordando il seguito della frase.

Anche se Léon dice sempre che le tue labbra sono già belle così.

Si fece da parte e lasciò entrare il più grande, mentre cercava di scacciare quella frase che gli era rimbombata dalla testa allo stomaco per tutto il pomeriggio.

Tolse gli elastici che ancora legavano i suoi capelli e col dorso della mano tentò di spazzare via i residui di quel make-up stravagante.

«Scusami, ci ho messo tantissimo tempo, mi dispiace. Isabelle ti ha fatto arrabbiare?»

«No, tranquillo. È una bambina dolcissima... Ci siamo divertiti, in realtà.»

«Meglio così. Sono trenta euro, comunque» affermò mentre allungava la mano col palmo girato all'insù verso Seba.

Cosa? Perché mai gli avrebbe dovuto dare dei soldi?

«Per cosa?»

«Per il trattamento di bellezza! Sei bellissimo, non penserai mica di poter sfruttare il talento di una bambina senza ripagarla, vero?» aveva messo su il suo solito ghigno mentre lo diceva, e Seba si rese conto di essere sollevato dal fatto che l'umore del biondo sembrasse decisamente migliorato rispetto a quando era andato via.

Scosse la testa e portò gli occhi al cielo, esasperato -ma anche divertito- da quel suo continuo essere strafottente.

«Certo! Dalla risata che hai fatto appena mi hai visto non penso proprio di essere bellissimo. Anzi, forse è il caso che chieda un rimborso!»

Léon addolcì appena lo sguardo, poi si avvicinò a Seba; le mani nelle tasche e la schiena leggermente piegata per guardarlo dritto negli occhi.

«Non fare il modesto, sei bellissimo sempre» gli schiacciò un occhiolino e andò a sedersi sul divano con Isabelle.

Cos'era quello? Un complimento? A Seba non piacevano i ragazzi che fanno i complimenti. Lo stomaco, che sembrava essersi rivoltato nell'udire quelle parole, ne era la prova.
Raggiunse gli altri due sul divano e cercò di concentrarsi sul cartone che Isabelle aveva fatto ripartire.

«Ma io non sono stanca, non ci voglio andare a dormire!» piagnucolò Isabelle tra uno sbadiglio e l'altro. Rischiava di addormentarsi in piedi, eppure si ostinava a dire che non aveva sonno. Era incredibile la testardaggine di quello scricciolo.

«Hai giocato tutto il pomeriggio con Sébastien, avete cenato e guardato la tv, adesso è ora di andare a nanna.»

Léon aveva un tono molto dolce quando parlava con sua sorella, ma riusciva ad essere comunque fermo nelle sue decisioni.

«Solo se viene anche lui di sopra con noi» decretò la piccola incrociando le braccia al petto.

Seba aveva annuito e si era alzato dal divano, acconsentendo a caricarsela sulle spalle -di nuovo- mentre raggiungevano la sua cameretta.

Avevano impiegato quasi un quarto d'ora per riuscire a infilarle il pigiama; Isabelle sembrava aver ricaricato le pile di colpo, e saltava qua e là per la stanza come una pazza, tra le risate dei due ragazzi e i suoi urletti acuti.

Léon, ora che sua sorella era finalmente distesa nel letto con le coperte fin sotto al mento, si piegò per darle il bacio della buonanotte.

«Fai la brava e dormi, ora, altrimenti non lo invito più. Chiaro?» disse indicando Sebastiano.

La piccola annuì, poi fece un'ultima richiesta.
«Mi puoi lasciare un attimo con lui? Devo dirgli un segreto.»

Il più grande sorrise, le lasciò una carezza leggera e poi si voltò verso il diretto interessato.

«Ti aspetto di sotto» disse prima di uscire.

Sebastiano prese posto sul bordo del letto, e attese che la bambina parlasse.

«Ti devo chiedere una cosa.»

«Dimmi, Isabelle.»

Scrutò attentamente gli occhi del suo nuovo amico, come se dovesse decidere se fidarsi o meno.
«Tu sei buono?»

Seba sorrise a quella domanda.
«A te sono sembrato buono?»

«Léon dice sempre che le persone non sono mai come sembrano.»

Seba annuì, intenerito dalla parlantina di Isabelle e da quanto sembrasse influenzata da tutte le idee di suo fratello.
«Léon ha ragione ma, a volte, le persone sono proprio come sembrano. E io penso di essere buono, sì.»

«Sembra anche a me. Allora non gli farai del male?»

Che domanda strana. Perché mai una bambina di otto anni doveva pensare una cosa del genere? Forse, pensò, era talmente grande l'affetto che li legava, che aveva paura che suo fratello potesse soffrire.

«No, non gli farò del male.»

«Promesso?»

Oh, cielo! Quei due erano fissati con le promesse!

«Promesso» decretò, agganciando il mignolino a quello piccolo di Isabelle.

«Okay, allora puoi andare.»

Seba le sorrise di nuovo, le appoggiò un delicato bacio sulla fronte e tornò di sotto.

Léon aveva acceso il caminetto e se ne stava seduto in modo sgraziato sul divano, un libro in mano e il volto concentrato.

Alzò gli occhi non appena udì i passi di Sebastiano avvicinarsi, lo scrutò da dietro il volume e aspettò che andasse a sedersi accanto a lui.

«Che ti ha detto Isabelle?» domandò.

Chissà perché, Seba si sentiva leggermente in imbarazzo per quello che gli aveva appena chiesto la bambina, così decise di tenerlo per sé.

«Beh, è un segreto, quindi non te lo dico. Che leggi?» chiese curioso.

Léon gli passò il libro "L'amore e le sue poesie" poi si stiracchiò appena.

«Leggi tu, sono stanco morto.»

Seba ebbe un ulteriore conferma: quei due erano proprio fratelli.
Si mise a leggere qualche riga, ma la voce del più grande lo interruppe.

«Ad alta voce, sennò perché te lo avrei chiesto?»

«Poi? Gradisce anche una fetta di culo, Signore?»

Léon sbuffò una mezza risata, si girò e si distese sul divano; la testa appoggiata sulle gambe di Sebastiano e gli occhi chiusi in un'espressione rilassata.

Il castano proprio non capiva da dove gli partisse tutta quella confidenza! Ma che modo era, stravaccarsi su qualcun altro senza nemmeno chiedere il permesso?

«Scegli una pagina a caso e leggi.»

Scosse la testa, anche se l'altro non poteva vederlo, e iniziò a leggere ad alta voce.

«Il Futuro, di Julio Cortázar

E so molto bene che non ci sarai.
Non ci sarai nella strada,
non nel mormorio che sgorga di notte
dei pali che la illuminano,
neppure nel gesto di scegliere il menù,
o nel sorriso che alleggerisce il "tutto completo" delle sotterranee,
nei libri prestati e nell'arrivederci a domani.

Nei miei sogni non ci sarai,
nel destino originale delle parole,
né ci sarai in un numero di telefono
o nel colore di un paio di guanti, di una blusa.

Mi infurierò, amore mio, e non sarà per te,
e non per te comprerò dolci,
all'angolo della strada mi fermerò,
a quell'angolo a cui non svolterai,
e dirò le parole che si dicono
e mangerò le cose che si mangiano
e sognerò i sogni che si sognano
e so molto bene che non ci sarai,
né qui dentro, il carcere dove ancora ti detengo,
né la fuori, in quel fiume di strade e ponti.

Non ci sarai per niente, non sarai neppure ricordo,
e quando ti penserò, penserò un pensiero
che oscuramente cerca di ricordarsi di te

Aspettò un attimo, colpito dalla potenza di quelle parole.
Quella non era una poesia come quelle che studiavano a scuola; quelle parole non nascondevano nulla, anzi!
L'autore le aveva buttate lì, nero su bianco, col chiaro intento di far comprendere una cosa a chiunque le avrebbe lette: l'amore, lui, l'aveva definitivamente perso.

«Ma è triste...» disse sconsolato.

Léon alzò un angolo delle labbra e rimase così, ad occhi chiusi, ancora appoggiato su di lui.
«L'amore non è sempre felice, quelle sono favole.»

«Beh, ma nemmeno sempre così triste.»

Il più grande aprì gli occhi all'improvviso e li fissò in quelli di Sebastiano.
Quella tempesta che si scorgeva di solito sembrava essere più calma, in quel momento.

«Vuoi sapere cos'è più triste di quella poesia? La maggior parte delle persone ha l'amore davanti agli occhi, e non se ne rende nemmeno conto. Ecco, questo sì che fa schifo.»

Seba ci pensò su.
Che fosse vero? Le persone incontravano l'amore e lo lasciavano sfuggire così, come sabbia tra le dita? E perché mai?
Lui quando era con Chiara stava bene, era mai possibile che ci fosse qualcuno che decidesse consapevolmente di non godere di quella serenità di cui lui godeva?

«E perché dovrebbero farlo, sentiamo?»

«Per paura, Sébastien

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro