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14. Halloween A Sorpresa

Il turno che aveva dovuto coprire lavorando in albergo era andato piuttosto bene.

Era stata una serata tranquilla, gli ospiti che erano giunti in città per chissà quale convegno erano tutti abbastanza attempati e, dunque, educati. 

Si erano messi in fila in modo civile e avevano atteso il loro turno per avere ognuno la propria chiave. 

Seba era andato giusto qualche volta al bar per poter servire qualche cioccolata calda a quelli che volevano rimanere a chiacchierare un altro po', ma in linea di massima non c'era stato un gran da fare.

Paolo -il portiere notturno- era arrivato puntuale alle 22:00, avevano scambiato qualche chiacchiera amichevole ed ecco che Seba aveva potuto far ritorno a casa. 

Si era fatto una doccia, aveva guardato qualche puntata della serie tv che stava seguendo in quel periodo, e ora era nel suo letto, al riparo dal vento freddo che tirava fuori.

Stava ripensando alla settimana appena trascorsa, Sebastiano, e al fatto che Léon, alla fine, non avesse ancora fatto rientro a scuola. Non era più uscito con il gruppo e l'unico che sembrava avere notizie del francese, era Alex.

Quel pettegolo che non aveva mai avuto problemi a sparlare di questo e di quello, però non sembrava intenzionato a rivelare nulla sul biondo.

Proprio la sera prima avevano fatto un'uscita tutti insieme e Sebastiano aveva cercato varie volte di scucirgli qualche informazione in più, eppure il rosso sembrava avere le labbra incollate tra loro.

Chissà perché, si chiese Seba.

Si trovava in quello stato tra il sonno e la veglia, e la parte ancora cosciente di lui stava ripercorrendo mentalmente le verifiche che ci sarebbero state nella settimana a venire.
Matematica e Storia, se non ricordava male.

Doveva assolutamente mettersi a studiare se voleva avere qualche possibilità di passare il primo trimestre con voti decenti.

Un rumore sordo lo destò dallo stato di torpore in cui era caduto, e lui spalancò gli occhi per accertarsi che fosse reale, che non l'avesse sognato.

Un altro tonfo, quasi uguale al primo, solo un po' più acuto.

Un altro ancora, e Seba scese dal letto per verificare da dove provenissero quei piccoli colpi.

Si affacciò alla finestra e, quando guardò in basso, vide cinque fasci di luce puntati verso di lui.

Strinse gli occhi per poterli adattare a quel fastidioso bagliore e d'improvviso quei lampi ruotarono, andando ad illuminare cinque volti.

Chiara, Alex, Andrea, Giada e Léon erano nel suo giardino, e ora agitavano le torce dei cellulari per farsi vedere.

Seba guardò di sfuggita l'orologio: la mezzanotte era passata da un pezzo, che cosa ci facevano lì i suoi amici?

«Dai, Seba, scendi che andiamo a festeggiare.»

Era la voce di Alex quella che proveniva dal suo giardino, ora tornato buio.

Seba alzò le sopracciglia in un'espressione sorpresa.
«E che cosa festeggiamo?»

«Halloween, petit, muoviti!»

Petit, di nuovo con quella storia del piccolo. Seba, nonostante il francese avesse usato quello stupido nomignolo, non poté fare a meno di sorridere. Il giorno di Halloween in realtà era già finito, ma con un po' di fortuna avrebbero sicuramente trovato qualche locale che ancora stava facendo festa!

Tornò dentro al volo e, dopo essersi vestito alla bell'e meglio, lasciò un bigliettino attaccato alla porta della camera da letto per i suoi genitori -giusto per non farli morire di crepacuore nel caso si fossero svegliati in piena notte e non l'avessero trovato a dormire- e si fiondò fuori di casa.

Non lo aveva notato prima, ma quando si trovò di fronte ai suoi amici, si rese conto che erano tutti truccati e vestiti a festa.

«Però, vi siete preparati proprio bene! » disse stupito. Aveva sempre dovuto combattere per farli truccare e vestire, e quell'anno in cui aveva deciso di non festeggiare, ecco che si presentavano perfettamente mascherati.

Chiara aveva un vestito bianco completamente imbrattato di sangue -o ketchup, a giudicare dall'odore- e il viso pallidissimo;
Alex e Andrea avevano i capelli tirati indietro, un mantello e tanto di canini sporgenti da cui colavano rivoli rossastri;
Giada sembrava la copia sputata della bambola assassina con quella frangetta e i boccoli, il vestito pomposo sulle spalle e un coltellaccio in mano;
Léon, infine, aveva sparato in aria i suoi capelli ancora più del solito e aveva truccato gli occhi. Le iridi risaltavano ancora di più con quel nero attorno, e ora sembravano direttamente fatte di argento liquido.

«Ora trucchiamo anche te» disse proprio quest'ultimo, tirando fuori dal suo giacchetto un astuccio.

Si avvicinò a Sebastiano, che come al solito era rimasto pietrificato dall'intensità dello sguardo del biondo, e aprì il mini beauty che si era portato appresso.

Scelse un ombretto e un rossetto, passò il resto a Giada -auto proclamatasi sua assistente personale- e iniziò la sua opera.

Con una mano teneva fermo il viso di Seba, mentre con l'altra andava a truccare la parte inferiore degli occhi, alternando il pennello alla punta delle dita per sfumare un po' il colore.

Erano così vicini che Sebastiano poteva chiaramente percepire il fiato del francese accarezzargli il viso, come fosse stata brezza marina. 

Eppure non era di quello che odorava... Non era salsedine quella che stava inondando le narici del più piccolo; era il solito profumo, quello che ormai poteva attribuire solamente a Léon: vaniglia e liquerizia.

Fece un passo indietro per ammirare il suo lavoro, Léon, e poi si avvicinò di nuovo a Sebastiano, che ormai iniziava a sentire il solito fastidio di quando l'altro gli stava troppo intorno. Con delicatezza gli prese il viso andando a sfumare ancora un po' il trucco sotto agli occhi ambrati e lucidi, in quel momento.

«Hai caldo, Sébastien? Sei tutto rosso» sussurrò a pochi centimetri dal suo viso, in modo da farsi sentire soltanto da lui.

Seba, per tutta risposta, si allontanò in fretta da quella vicinanza che lo stava così tanto infastidendo e cercò Chiara con lo sguardo.

Le sorrise non appena la vide, e andò nella sua direzione prendendola per mano.
«Sono pronto, possiamo andare» disse con una certa urgenza.

«Ti devo ancora mettere il rossetto...» replicò Léon, con quel tono che metteva su quando voleva sfottere qualcuno, e che lui conosceva così bene.

«Posso farne a meno. Gli occhi bastano e avanzano.»

Il biondo mise su quel solito ghigno che sembrava portarsi sempre appresso, inarcò un sopracciglio e parlò in francese:
«Oh, oui, les yeux disent toujours la vérité

Il pub in cui avevano deciso di andare era ancora pieno di gente; i ragazzi erano tutti travestiti, chi da mostro e chi da vampiro, e sembravano già tutti abbastanza alticci.

Andrea, che aveva stupidamente proposto di andare a fare dolcetto o scherzetto all'una di notte, si era piazzato al bancone fingendosi offeso da quanto risposto dai suoi amici. Seba sapeva bene che era solo una scusa per allontanarsi e rimorchiare qualche ragazza. In fondo era mascherato, aveva qualche chance di non essere riconosciuto subito come il Don Giovanni della città.

Chiara e Giada si stavano scatenando al centro del locale, dove andava chi voleva ballare, e lui era rimasto al tavolo insieme ad Alex e Léon.

Era ancora arrabbiato col francese per la stupida frase detta poco prima. Cosa aveva voluto intendere? Che voleva dire che gli occhi dicono sempre la verità? E perché mai l'aveva detto con quel tono di chi la sa lunga? Sembrava che avesse voluto sottintendere qualcosa che a lui, in quel momento, sfuggiva.

Seba pensò che avrebbe dovuto farci l'abitudine; insomma, conosceva quel francesino da strapazzo da quasi due mesi, e sembrava che quelle mezze frasi, quegli sguardi strambi, fossero rivolti solo a lui. 

Non si comportava così con gli altri, ne era certo. E poi aveva anche avuto modo di vederlo di persona. 

Che fosse ancora per la prima volta che si erano incontrati? Quando Seba lo aveva accusato di aver detto una cazzata per saltare la fila al bar? Beh, comunque non aveva detto nulla di strano! Era impossibile essere andati e tornati in quel breve lasso di tempo, l'ospedale era troppo lontano. 

E allora perché Léon sembrava sempre volerlo provocare, stuzzicare?
Quando erano soli non era così. Il più grande era molto più gentile, molto più affabile.

Non la sopportava questa cosa! Non sopportava chi aveva due facce, chi si comportava in maniera diversa a seconda delle persone con cui era in compagnia. 

Cos'è? Doveva far vedere al gruppo che era lui il maschio alfa? Ma chissenefrega! Seba glielo avrebbe lasciato volentieri il trono del testosterone. Non aveva certo bisogno di competere con quello stupido mangia baguette.

La persona che invadeva i suoi pensieri e con cui era così adirato si alzò per andare in bagno, e lui rimase solo col suo migliore amico.

«Allora, sei contento di essere fuori a festeggiare il tuo amato Halloween?» si sentì chiedere dal rosso.

Seba sorrise e gli diede una pacca amichevole sulla spalla. Ancora non poteva credere che i suoi amici avessero organizzato tutto quello per lui, anche se doveva dire che aveva avuto più di un sospetto su chi fosse l'artefice di quell'imboscata.

«Molto! Non dovevate, ma mi avete fatto davvero una bellissima sorpresa.»

«Oh, dovresti ringraziare Léon, allora. È stato lui a organizzare tutto.»

Ecco, non era proprio Léon il nome che lui aveva in mente. Pensava piuttosto che fosse stata la sua ragazza a insistere coi suoi amici, conoscendo la passione che lui aveva per quella festa.

«Ah, davvero? E perché?»

Alex fece spallucce e tornò a giocherellare col sottobicchiere in cartone.
«E che ne so, ha detto che ti doveva un favore.»

Un favore? Seba non ricordava di avergli fatto nessun favore. Perché mai Léon avrebbe dovuto prendersi la briga di sdebitarsi per qualcosa? Era forse per il pranzo che aveva preparato? Ma non ce n'era bisogno! Lui si era finto offeso ma, in realtà, l'aveva fatto con piacere.

Stava per aggiungere qualcosa, Seba, ma il ritorno delle ragazze bloccò sul nascere le altre domande che avrebbe voluto fare al suo amico.

Léon tornò al tavolo, e lui ne seguì i movimenti dal fondo del locale fino a che non si mise a sedere con loro.

Aveva iniziato a parlottare con Giada -come al solito- e si era voltato appena verso di lui, rimanendo con gli occhi agganciati ai suoi una volta accortosi che Seba lo stava fissando.

Quella volta fu il più piccolo a sorridere.

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