12. Una Giornata Con Léon
Una volta tornati a casa del più grande, i due ragazzi andarono dritti in cucina per posare le borse con la spesa. Alla fine Léon non era riuscito a recuperare nessuno degli ingredienti che gli erano stati elencati da Sebastiano, e aveva avuto addirittura l'indecenza di presentarsi davanti a lui con un pacco di penne lisce.
LISCE!
Roba da non credere.
Seba iniziò a trafficare con i pomodori datterini, togliendo la parte verde, passandoli sotto l'acqua corrente, e infine tagliandoli a pezzetti. Li mise a cuocere in una padella in cui aveva già fatto dorare qualche spicchio d'aglio, e il profumo solleticò immediatamente le narici di entrambi i ragazzi, che si guardarono sorridendo non appena se ne resero conto.
Tirò a Léon -dall'altra parte della cucina- la melanzana, ordinandogli di lavarla e tagliarla in parti sottili, e nel frattempo mise sul fuoco una pentola con l'acqua.
In un'altra casseruola aveva messo a scaldare l'olio d'oliva, e si sorprese quando vide il biondo passargli la verdura tagliata in modo corretto.
«Stai migliorando, bravo» gli disse infatti.
«Avevo promesso che sarei stato un ottimo sub chef» gongolò l'altro.
Dopo aver fritto le melanzane, le posò su un piatto con della carta assorbente e si dedicò nuovamente al sugo.
«Hai un minipimer?»
Léon strabuzzò gli occhi.
«Un mini che?»
«Un frullatore ad immersione.»
«E parla come cazzo mangi!»
Sebastiano sbuffò, scuotendo la testa, e attese che il francese tornasse con quello che gli aveva appena chiesto. Quando iniziò a passare i pomodori, dopo aver tolto gli spicchi d'aglio, Léon lo guardò incuriosito.
«Perché non abbiamo preso direttamente la passata?»
Il più piccolo gli riservò un'espressione indignata e, di nuovo, scosse la testa.
Ma come si poteva anche solo pensare di fare una domanda del genere?
«Stai paragonando la salsa fresca di pomodoro, a quelle porcate confezionate che spacciano per passata?»
Léon alzò le mani in segno di resa.
«Scusa tanto» disse sarcastico.
Dopo aver messo qualche foglia di basilico nella salsa appena fatta, Seba abbassò il fuoco e, spostandosi appena, versò la pasta nell'acqua ormai giunta a bollore.
Il profumino che aleggiava in cucina richiamò persino Lisa, che si affacciò dopo qualche istante dall'arco che separava quella stanza dal salotto.
«Sebastiano, sai che potrei invitarti a casa tutti i giorni, vero?»
Il ragazzo rise di gusto.
Non gli sarebbe dispiaciuto, in effetti, cucinare ancora per loro.
Il fatto era che Seba aveva la netta sensazione che Léon fosse diverso quando erano solo loro due: meno spaccone, meno spocchioso; più... Léon.
«Attenta, ti chiederà sicuramente una torta in cambio» lo prese in giro il francese.
Seba annuì convinto.
«Assolutamente vero.»
Lisa sorrise, gli disse che era uno scambio equo che poteva prendere in considerazione, e li lasciò di nuovo alle loro faccende.
Seba scolò la pasta, la mise direttamente nella padella con la salsa di pomodoro, aggiunse qualche spezia e mescolò bene.
«Mi passi i piatti?» chiese a Léon.
«Hai dimenticato le melanzane» rispose quello, dopo aver fatto quello che gli era stato chiesto.
«Non le ho dimenticate, si fa così la pasta alla Norma.»
Il biondo arcuò appena le sopracciglia in un'espressione perplessa.
«Sì, beh, ma la stai facendo per noi, e le melanzane le gradirei, dato che le abbiamo comprate.»
Seba si ritrovò a sbattere ripetutamente le ciglia.
Non poteva fare sul serio, vero?
«Starai scherzando, spero...»
«Perché?»
Il più piccolo continuò a mettere la pasta nei piatti e, sopra ad ognuno, posò un'abbondante quantità di melanzane; poi ,con una grattugia, li spolverizzò con la ricotta salata.
«Norma non è una persona a cui sto preparando il piatto. Norma è il nome del piatto stesso.»
«Ah» rispose Léon con evidente imbarazzo, poi prese i piatti e li portò in tavola.
«Spiegami bene perché stai frequentando ragioneria e non l'alberghiero.»
Avevano finito da poco di pranzare e Lisa se ne era uscita così, dopo gli svariati apprezzamenti rivolti a Sebastiano.
«I miei genitori gestiscono un albergo sul lungomare, volevano che studiassi per qualcosa che li potesse aiutare nell'attività, un domani.»
«E non puoi aiutarli facendo il cuoco? È pur sempre un ruolo importante» chiese Léon.
«Non ho mai pensato a questa opzione, in effetti, ma credo che volessero un aiuto più nella contabilità, che altro.»
«E a te piace l'idea?»
«Mi fa veramente schifo, a dire a verità» borbottò imbarazzato.
Lisa si era alzata e aveva iniziato a sparecchiare, così anche Seba la seguì.
«Facciamo noi, zia, vai a riposarti.»
Lisa si voltò a guardare Léon, poi gli prese il viso tra le mani e lo strizzò appena.
«Ma quanto sei un tesoro, tu, mh?» chiese facendo una di quelle vocine che di solito si riservano ai bambini piccoli, o ai cuccioli.
Léon cercò di liberarsi da quella morsa e, quando ci riuscì, si rivolse a Sebastiano:
«Tu lavi i piatti e io li asciugo.»
Ma quando si era preso tutta quella confidenza?
«Non ci penso neanche! Io ho cucinato, quindi i piatti li lavi tu. E ringrazia se decido di aiutarti ad asciugarli, piuttosto.»
«Ma ho tagliato le melanzane...»
«E capirai che fatica! Muoviti.»
Léon sbuffò, poi infilò i guanti che di solito utilizzava sua zia -di un brillante rosa acceso- e aprì l'acqua corrente.
Seba si posizionò al suo fianco con uno strofinaccio in mano, mentre attendeva che il più grande gli passasse qualche stoviglia da asciugare.
«Certo che siete proprio carini» sentì Seba alle sue spalle.
Lisa era ancora nella stanza, con una spalla appoggiata alla parete, che li guardava come si guarda un cucciolo di panda ai suoi primi passi.
In che senso erano carini? Come potevano essere carini? Arcuò un sopracciglio prima di chiedere spiegazioni, ma la voce del francese lo fermò.
«Zia, per favore!»
«D'accordo, ho capito, me ne vado a dormire. Notte ragazzi, e grazie ancora, Seba.»
Per tutta risposta lui mise su un sorriso leggermente impacciato e, dopo averle fatto un cenno col capo, la salutò.
«Avete deciso cosa fare per Halloween?»
Avevano appena finito di guardare un film, erano entrambi spaparanzati sul divano del soggiorno di Léon, e lui gli aveva appena posto quella domanda.
Seba si infastidì appena: sembrava quasi che il francese lo avesse fatto apposta per girare il dito nella piaga.
«In realtà no. Dato che non piace a Léon credo che non si farà nulla» aveva mimato le virgolette con le dita mentre pronunciava il suo nome e, a dire il vero, l'aveva detto con un tono anche un po' schifato.
Il biondo sembrò incupirsi appena sentendo quella risposta e, da che era sereno, diventò più serio.
«Non ho mai detto che non doveste organizzare niente, ho semplicemente fatto presente che io non avrei partecipato.»
«E perché?» chiese curioso Sebastiano.
«Non mi piace quella data.»
«Ma è una festa come tutte le altre. Puoi anche non mascherarti, se non vuoi.»
«Non ho detto che non mi piace la festa, ma che non mi piace la data.»
L'aveva detto con un tono così serio, che il più piccolo non osò ribattere nient'altro. Poi si era alzato dal divano e aveva controllato l'orario.
«Dai, ti porto a casa, ti ho praticamente sequestrato, oggi.»
Seba non avrebbe saputo dire il perché, ma si sentì deluso da quell'affermazione; era come se il più grande si volesse sbarazzare di lui solo perché aveva fatto una domanda.
Che idiota!
Si alzò stizzito e andò verso l'attaccapanni, vicino alla porta d'ingresso, pronto a rimettersi il suo giacchetto e a uscire.
«Cazzo!» sentì esclamare dal francese.
«Che c'è?»
«Devo andare a prendere mia sorella, me n'ero dimenticato. Ti dispiace se allunghiamo un attimo la strada?»
«Ah... No, nessun problema.»
In realtà il problema c'era eccome. Seba aveva deciso che avevano passato fin troppo tempo insieme, quel giorno, e voleva tornare a casa sua. Certamente non avrebbe osato dirlo a lui, che si era anche offerto di riaccompagnarlo.
Durante il viaggio in macchina parlarono del più e del meno e, tra una chiacchiera e una canzone, arrivarono a destinazione nel giro di una ventina di minuti.
Léon scese, e prima che potesse rendersi conto di quello che stava facendo, Seba lo seguì.
Si pentì in fretta di quella decisione, gli sembrò all'improvviso di essersi infilato con forza in uno stralcio di vita molto privato per l'altro.
Si trovavano davanti ad una vera e propria villa, constatò Sebastiano; non ebbe tempo di formulare nessun'altro pensiero, perché la postura rigida che aveva assunto Léon aveva catturato tutta la sua attenzione.
Come mai era così tanto teso? Sembrava una bella casa, quella, non certo un luogo di torture.
Lo vide allungare il braccio per suonare il campanello, mentre un piccolo tremolio alla mano sembrava averlo pervaso.
Quando il cancello si aprì, entrambi si avviarono all'interno del cortile e, una volta davanti alla porta, attesero in silenzio. Seba non si era certo azzardato a chiedere qualche spiegazione in più, anche perché il biondo non sembrava per niente dell'umore. Gli vide la fronte leggermente imperlata di sudore, sebbene fuori fosse piuttosto freschino.
La porta finalmente si spalancò, e la smorfia che mise su Léon, Seba non seppe proprio decifrarla. Voleva essere sicuramente un sorriso, ma sembrava più un qualcosa di sofferente, di doloroso.
«Léon, piccolo mio!»
Sulla soglia se ne stava una donnina minuta, avrà avuto all'incirca settant'anni, ed era vestita in modo impeccabile. Indossava un tailleur con giacca e gonna -entrambi sui toni del verde acqua- e un paio di scarpe con un accenno di tacco. I capelli erano legati in un elegante chignon basso, e i gioielli che adornavano il collo e le mani della signora le regalavano un'aria estremamente elegante.
«Ciao, sono venuto a prendere Isabelle.»
La voce di Léon era uscita fuori piatta, come se si fosse trattenuto dal dire qualche cattiveria.
«Ma certo, certo. Tesoro, è arrivato tuo fratello» urlò appena, rivolgendosi verso l'interno; poi riportò l'attenzione su loro due.
«Volete accomodarvi nel frattempo? Belle starà prendendo i disegni che ti ha fatto, ci metterà qualche minuto.»
Léon tentò di sorridere di nuovo e, di nuovo, si formò un'espressione sconosciuta sul suo volto.
«No, grazie, devo riaccompagnare Sebastiano a casa» disse indicandolo.
«Oh, d'accordo, sarà per la prossima volta. Tu come stai, tesoro?»
Che strano, quella donna sembrava avere un'aria tremendamente dispiaciuta mentre chiedeva a Léon come stesse. Cosa c'era da dispiacersi nel fare una domanda così semplice? Seba proprio non riusciva a capirlo.
«Bene, ti ringrazio.»
Che tono formale, pensò. Era pur sempre sua nonna, in fondo. Chissà, forse i rapporti non erano dei più idilliaci tra i due.
Dall'enorme corridoio che si intravedeva dal portone d'ingresso, si sentirono dei passettini leggeri correre verso la loro direzione, e poco dopo fece la sua comparsa una bellissima bambina, bionda come il fratello, ma con gli occhi molto più azzurri.
«Léooooon!» urlò prima di buttarsi tra le braccia del fratello, che prontamente la sollevò in aria.
«Ah, ma chérie, tu m'as mancquée.»
Era una scena particolarmente dolce vedere Léon che diceva a sua sorella quanto gli fosse mancata, mentre ancora la teneva stretta tra le sue braccia.
«Ti devo fare vedere un sacco di disegni. Tu chi sei?» chiese poi rivolta a Sebastiano.
«Sono Seba, un amico di tuo fratello» le sorrise lui.
«Ah, Sébastien. Ho un disegno anche per te, allora.»
Come? Perché quella bambina sapeva della sua esistenza? E perché lo chiamava con quello stupido nome storpiato come faceva sempre suo fratello?
Non ebbe il tempo di fare nessuna domanda, visto che Léon si stava apprestando a salutare sua nonna.
«Ci vediamo domenica prossima» le disse con un cenno del capo.
«Certo, tesoro. E tu,» si chinò appena per arrivare all'altezza di Isabelle «Vedi di non fare arrabbiare tuo fratello, ci siamo capite?»
«Sì, nonnina» rispose quella, mettendo in mostra un sorriso a cui mancavano almeno quattro denti.
Anche Seba salutò la signora, e tutti e tre insieme si avviarono alla macchina.
Una volta all'interno, dopo che la piccola si fu accomodata sul sedile posteriore, Seba vide il biondo stringere con forza il volante; le braccia tese allungate in avanti e gli occhi serrati nell'intento di infondersi calma; o almeno quella fu l'impressione che ebbe lui.
Dopo aver emesso un lungo sospiro, Léon riaprì gli occhi e mise in moto.
Seba non se n'era nemmeno accorto ma, quando partirono, la sua mano era sul cambio, insieme a quella di Léon.
Spazio S.
Ma da uno a dieci, quanto sono bellini questi due quando cucinano insieme?
Come? Sono di parte?
Ma non mi pare....
Noi ci rileggiamo mercoledì con altri due capitoli!
Un bacio, S.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro