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06. La Cena Salvata

Dopo aver setacciato frigorifero e dispensa, Seba aveva ben chiaro il menù che avrebbe realizzato.

«Posso usare tutto quello che voglio?» chiese per sicurezza.

«Certo! Mia zia ha fatto la spesa oggi, usa quello che ti pare.»

«Questo è brodo vegetale?» domandò tirando fuori dal frigo un pentolino.

Léon sbatté più volte le palpebre, poi mise su un mezzo sorrisetto imbarazzato.
«È fatto con le verdure.»

«Quindi è vegetale» confermò Seba.
«Tieni, togli le foglie e lavale» gli disse lanciandogli una bustina in nylon contenente del radicchio trevigiano.

«S-sì.»

Seba sorrise sotto i baffi nel vedere quanto l'altro fosse impacciato in cucina; mise il pentolino sul fuoco e, dopo aver tagliuzzato lo scalogno, iniziò a farlo soffriggere in una casseruola. 

Prese la confezione di riso e lo pesò, poi iniziò la vera magia: nell'aria si diffuse immediatamente un delizioso profumo, creato dal vino col quale aveva iniziato a sfumare il risotto e l'aggiunta del brodo.

«Cavoli, ci sai fare davvero!» disse stupito il più grande.

«Me la cavo, sì» rispose Seba con un'alzata di spalle. Per lui non era tutta questa gran cosa. Era una passione, e come tale l'aveva coltivata negli anni.

«Alla faccia del cavarsela, mi sembra di essere a MasterChef! Tieni, l'insalata è pulita.»

Il più piccolo si voltò sgranando leggermente gli occhi.
«È radicchio! Taglia le foglie, per favore.»

«Sissignore.»

Seba era piacevolmente colpito dalla complicità che sembrava essersi creata in quella cucina. Dall'altra stanza proveniva la musica che qualcuno aveva messo su, e si sentiva il chiacchiericcio di sottofondo che rendeva tutta quella situazione piuttosto intima. Era come se, per la prima volta, sentisse anche Léon parte del gruppo.

«Ecco a te.»

Sebastiano si voltò verso il francese.
«Cos'è quello?»

«L'insalata tagliata.»

«È radicchio! E hai tagliato le foglie in due.»

«Quindi?»

«Quindi devo metterlo nel risotto, non posso mettere delle foglie così larghe. Devi tagliarle a striscioline piccoline piccoline» rispose Seba, usando lo stesso tono che si usa coi bambini per spiegare qualcosa di assolutamente ovvio e banale.

«Agli ordini!» disse prontamente il biondo, portando addirittura la mano alla fronte nel classico saluto militare e sbattendo i piedi tra loro, «Foutu grande gueule» borbottò poi a bassa voce.

«Devo ricordarti che conosco il francese e sto preparando la tua cena? Potrei inavvertitamente starnutirci sopra, sai?»

In tutta risposta Léon mise su un sorrisino colpevole e, sbattendo più volte le ciglia, si scusò con un timido: «Pardonne-moi

Come aveva osato dargli del "maledetto spaccone"? Era nella sua cucina, e stava rimediando a un danno che lui aveva fatto, nel giorno del suo compleanno. Assurdo!

Seba continuò a mantecare il risotto, e quando Léon gli passò le foglie di radicchio diligentemente tagliate a dovere, le aggiunse nella casseruola, facendo espandere così un profumino ancora più invitante di prima. 

«Tieni, taglia questo a listarelle, per favore» gli disse passandogli un tocco di formaggio preso dal frigo.

«C-certo.»

Léon appoggiò il formaggio sul piano di lavoro utilizzato fino a quel momento, e Seba lo vide voltargli le spalle e tirare fuori il telefono. Digitò qualcosa, poi tornò alla sua postazione e prese tagliere e coltello.

«Hai cercato listarelle su Google?» chiese arcuando un sopracciglio.

«Come? No, certo che no!»

«Fammi vedere il telefono.»

«Non... no! Non ti fidi, scusa?» chiese incrociando le braccia al petto.

Seba allungò la mano nella sua direzione e aspettò che l'altro gli passasse il cellulare.

Léon sbuffò un mezzo sorriso e infilò la mano nei jeans, tirò fuori il telefono e fece per appoggiarlo sulla mano ancora tesa di Sebastiano. Si fermò appena qualche millimetro prima di sfiorarla e, alzando il braccio verso l'alto, lo fece sventolare a destra e sinistra.

«Dai, prendilo!» lo sfidò.

Seba iniziò a saltellare per poterlo afferrare. Li dividevano tra sì e no dieci centimetri, eppure quel francesino sembrava avere delle braccia infinitamente più lunghe rispetto alle sue.

«Léon!» lo intimò, «Non fare il bambino! Dammi quel telefono!»

Per tutta risposta il suo avversario continuò a muovere il braccio di qua e di là, fermo nell'intento di non farlo nemmeno toccare al più piccolo. 

Abbassava il braccio e lo rialzava di scatto, lo teneva fermo un secondo e poi di nuovo lo faceva muovere, faceva un passo avanti e subito tornava indietro; insomma, sembrava veramente un bimbo di tre anni che non vuole cedere il suo gioco preferito.

Con un salto più slanciato degli altri, finalmente Seba riuscì ad afferrare la mano che stringeva quel dannato aggeggio. 

Ruotò su sé stesso appoggiando la schiena al suo petto e tirando il braccio di Léon davanti a sé, poi si chinò leggermente in avanti per fare in modo che l'altro non riuscisse a tirarsi indietro. 

Lo schermo era già acceso, e ci mise un attimo a riaprire la pagina di Google, su cui appariva a chiare lettere la parola listarelle

L'intenzione di Sebastiano era ovviamente quella di prenderlo in giro -in maniera scherzosa, certo- ma quando ruotò il viso per poterlo fare, si ritrovò quello di Léon a pochi millimetri dal suo, con quegli occhi grigi che lo fissavano e il respiro leggermente accelerato per la lotta di poco prima. 

Il profumo del più grande si infranse sulla pelle di Sebastiano come un'onda anomala potrebbe fare con gli scogli: in modo violento e inaspettato. 

Sapeva di liquerizia mischiata a qualcosa di dolciastro, qualcosa che Seba non seppe riconoscere. 

Voleva capirlo, davvero... voleva captare quel secondo odore che sapeva bene di conoscere, ma di nuovo gli occhi in tempesta di Léon l'avevano schiacciato, e lui non riusciva più a concentrarsi a dovere.

«Léon, hai qualcosa da bere nel frattempo?» Andrea irruppe così nella stanza, facendo scoppiare la bolla in cui sembravano essersi rinchiusi di nuovo i due ragazzi.

Seba si staccò immediatamente dal francese e, a occhi bassi, tornò a controllare il risotto.

«Gli stavo facendo tagliare un po' di formaggio per fare una specie di antipasto, o aperitivo. Due minuti e lo portiamo di là» disse senza staccare gli occhi dai fornelli.

«Oui, vi porto anche del vino» confermò il più grande.

«Grande! Ragazzi, arriva l'aperitivo!» urlò Andrea mentre tornava in salotto, lasciandoli così in quell'atmosfera strana che era venuta a crearsi.

Seba non aveva dubbi, comunque: poteva anche essere simpatico, quel ragazzo, ma lui proprio non lo sopportava. I battiti accelerati per la rabbia che gli cresceva in petto ogni volta che incontrava il suo sguardo ne erano la conferma!

«Un applauso agli chef!» gridò Alex appena ebbero finito di mangiare il risotto e gli involtini che i due avevano preparato.

«Ragazzi, è il mio compleanno e capisco il voler essere gentili, ma non ho fatto davvero niente. Un applauso allo chef, piuttosto» sorrise Léon, alzando il bicchiere nella direzione di Sebastiano.

Tra gridolini di apprezzamento e battiti di mani, Seba accettò di buon grado i complimenti che stavano arrivando dai suoi amici, nonostante sentisse le guance leggermente accaldate.

La cena si concluse con la famosa torta al cioccolato -fatta dalla zia di Léon- e il caffè. 

Léon iniziò a sparecchiare e Giada lo seguì a ruota.

«Vuoi una mano? A lavare i piatti sono brava» gli sorrise.

«Non preoccuparti, ci penserò domani. Ragazzi, divano e Netflix?»

Gli occhi di Seba si illuminarono mentre quelli di Giada, notò, erano leggermente delusi.

Probabilmente la sua intenzione era quella di restare un po' di tempo appartata col francesino, ma chi poteva aver voglia di mettersi a ripulire dopo una mangiata come quella che avevano appena fatto? Seba non riusciva proprio a dargli torto: il binomio Netflix&Divano era decisamente più allettante.

Si sistemarono tutti -Seba rigorosamente nell'angolo con la sua ragazza di fianco- ma quando Léon afferrò il telecomando con l'intento di accendere la tv, Andrea scattò nuovamente in piedi.

«Il regalo!»

«È vero! Amore, tiralo fuori» convenne Chiara.

«Ma guarda te se devi dire queste maialate in pubblico! Stiamo per dare il regalo a Léon, non puoi aspettare due minuti?» chiese Alex, facendo scoppiare a ridere tutti gli altri e rendendo lei rossa d'imbarazzo.

«Quanto sei cretino» prese le sue difese Giada, anche se stava ancora tentando di smettere di sghignazzare.

Seba si alzò e prese il pacchetto che aveva appoggiato su uno scaffale della libreria appena entrato. Lo porse al più grande con fare leggermente imbarazzato e tornò a sedersi nel suo angolino.

«Ragazzi, non c'era affatto bisogno. Stare insieme a voi a festeggiare era sufficiente, ma grazie mille comunque» sorrise Léon guardando un po' tutti.

Iniziò a levare la carta che avvolgeva l'oggetto e, quando si ritrovò l'archetto tra le mani, la sua espressione fu di pura sorpresa.

«L'ha suggerito Seba, ti piace?» chiese quel gran cretino di Andrea.

Ma non poteva farsi i fattacci suoi? Doveva per forza sbandierare ai quattro venti che era stata sua l'idea?

Gli occhi di Léon scattarono subito in quelli di Sebastiano, e la sua espressione si era fatta ancora più stupita di prima.
«Davvero?» chiese infatti.

Quella doveva essere decisamente la serata dell'imbarazzo, per lui.
«Sì, ecco... Chiara si stava chiedendo cosa potevamo regalarti, e ha detto che suoni il violino, quindi mi è venuto in mente quello» disse scrollando le spalle con finto disinteresse. 

No, non era finto; davvero non gli interessava. Finto era il fatto che non gli interessasse discuterne in quel momento.

«Anche la scritta l'ha fatta lui!» saltò su Chiara.

Eccone un'altra che non sapeva tenere la bocca chiusa!
Léon aggrottò appena le sopracciglia; probabilmente non si era nemmeno accorto che c'era una scritta sull'archetto. Certo, era talmente piccola che non saltava subito all'occhio... 

Il festeggiato tornò infatti con lo sguardo sul regalo, iniziando ad esaminarlo, poi si soffermò sulla testa. 

Le sue labbra si incurvarono in un accenno di sorriso e passò l'indice a sfiorare leggero quella parte in cui Sebastiano, con tanta cura, aveva scritto il suo nome. 

Seba sentì un brivido corrergli lungo la schiena nello stesso momento in cui il più grande accarezzava la sua piccola opera. 

Sicuramente era la paura che non gli piacesse il regalo, che volesse cambiarlo e non potesse più farlo.

Léon puntò di nuovo gli occhi su di lui, poi guardò anche gli altri e li ringraziò di cuore per lo splendido pensiero che avevano avuto.

«Beh, ora direi che puoi farci sentire se funziona bene o no» buttò lì Giada.

«Ecco, io non-» tentò di dire il diretto interessato.

«Andiamo, non farti pregare! Dobbiamo pur capire se ci abbiamo azzeccato, o se ci hanno rifilato una ciofeca» la sostenne Chiara. 

Chissà quante volte Giada le aveva confessato che avrebbe voluto sentirlo suonare! Le ragazze a volte sanno essere davvero troppo sdolcinate.

Fu il turno di Léon di arrossire leggermente, poi portò di nuovo lo sguardo su Sebastiano e sorrise appena.
«D'accordo. Ma solo una volta, e solo perché è un regalo bellissimo» disse infine.

Uscì un attimo dal salotto e tornò pochi secondi dopo con in mano un bellissimo violino.

Nella stanza calò subito il silenzio, e mentre Léon si preparava facendo roteare appena le spalle e stiracchiando un po' il collo, Seba scoprì di sentirsi particolarmente impaziente di ascoltarlo suonare. 

Léon chiuse gli occhi e portò lo strumento alla spalla, ci appoggiò sopra il mento e mise l'archetto in posizione. 

Quello che venne fuori da ciò che Seba percepiva come semplice frizione tra le corde dello strumento e quelle dell'archetto, fu qualcosa che lo lasciò completamente esterrefatto. 

Le note sembravano rincorrersi nell'aria, creando una magia a cui difficilmente ricordava di aver mai assistito. 

L'espressione di Léon era indecifrabile: sembrava non fosse nemmeno lui a produrre tutta quella meraviglia; ad una prima occhiata, poteva sembrare quasi addormentato o posseduto, addirittura. 

Come poteva essere possibile creare un turbinio di note simili? Seba non riusciva proprio a spiegarselo; così come non si spiegava la pelle d'oca che gli aveva ricoperto il corpo, o i brividi che continuavano a rincorrere la sua schiena. 

E tra un salire e uno scender di note, nemmeno si accorse che l'immagine di Léon ora gli appariva sfocata, appannata da lacrime che non aveva sentito arrivare. 

La morsa allo stomaco lo afferrò non appena Léon smise di suonare; non avrebbe mai voluto smettere di ascoltare quella melodia che sembrava aver rapito tutti. 

Se Seba avesse dovuto scegliere una sola cosa da sentire per il resto della vita, probabilmente avrebbe scelto proprio quella appena creata dal biondo in piedi di fronte a lui. 

Quello che notò, una volta aver rimesso a fuoco il mondo, furono gli occhi del musicista già fissi su di lui; non c'era alcuna tempesta nelle sue iridi in quel momento, soltanto un cielo sereno e limpido.

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