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56. (PARTE QUARTA)

MacMourrog ne aveva avuto il sentore da quando aveva visto, a ovest, il fronte nuvoloso stazionare dove sapeva esserci Grand Cayman. Si trovava in una Cuba devastata, con la gente che si muoveva fra pareti di fango e alberi spezzati. Era sbarcato a l'Havana con la corvetta trasformata in mercantile e, a parte rendersi conto di trovarsi, per struttura architettonica e lingua, in una Spagna oltreoceano, era stato impegnato a vedersi con l'uomo il cui nome figurava nei documenti che si portava addosso.

L'uomo, tale signor Arriquibar-Mezcorta, era un commerciante che aveva perduto i guadagni e la vita di due cugini nell'uragano, al quale era stato detto che il contrabbando con gli inglesi avrebbe evitato la bancarotta.

«Mi ha dato l'impressione di essere un poveraccio, con rispetto, capitano» riferì il primo ufficiale quando si trovò nella cabina, chiamato da Avery di nuovo in uniforme regolare. «Tuttavia, ero conscio di dovermi concentrare sugli interessi economici dell'Inghilterra e non sulle mie opinioni.»

«E quindi?»

«L'uomo di cui vi ho parlato ha inclinazione a dire più del lecito, suppongo per via del suo essere novizio. Ha ammesso che il contrabbando con le Cayman dura da quattro anni, più o meno. Gli uomini che ho mandato in giro a raccogliere notizie hanno confermato che sarebbero invischiate una cinquantina di personalità, fra cui commercianti e altra teppaglia.»

Avery fece scorrere le cifre e guardò il sacco di monete d'oro sul tavolo.

«Più della metà dei prodotti strategici vengono caricati su navi dirette in Spagna, senza dazio. Guadagnano una fortuna. Si spartiscono il denaro in quote, e va da sé che chi ha messo più merce ottiene la miglior remunerazione. Confermo che i beni di consumo rimangono a Cuba, ora più che in passato.»

«La situazione è seria?»

«Non potete nemmeno immaginare la devastazione, capitano. Mi hanno raccontato delle centocinque navi mercantili che hanno perso. E parlo di mercantili, bisogna poi annoverare le navi militari, gli sloop e le barche. Nessuno si aspettava uno sconvolgimento del genere. L'Havana è una città in rovina, ci sono ancora mucchi di fango secco con sotto centinaia di cadaveri che si decompongono. La cattedrale è danneggiata e la chiesa Montserrat ha perso il tetto. Ho visto una barra di legno conficcata nel fusto di una palma come un paletto. Gli zuccherifici sono crollati e lo stesso vale per quasi ogni edificio e magazzino. A sud-est, dove si trovano le piantagioni di caffè, le onde hanno abbattuto gli alberi e voi sapete che per crescere il caffè ha bisogno degli alberi da ombra. I fiumi hanno inondato il tabacco e la vianda, un tubero che mangiano lì.»

«Povera gente» disse Avery.

«Si sono accorti che ho consegnato meno del pattuito. Ho spiegato che Grand Cayman era stata colpita dall'uragano ed era in tumulto per via dei ribelli. Ho detto che sono stati loro ad aver depredato i depositi del Trail. Uno degli altri contrabbandieri che ho incontrato a questa "cena", ha detto di aver udito delle voci poco rassicuranti, e io ho insistito nel confermare. Ho detto che due dei loro contatti erano morti e io avevo preso l'incarico. Poi è successo che il capitano di una nave che era transitata dall'arcipelago ha confermato gli strani fenomeni meteorologici e il fermento degli indigeni, e io ho ammesso di dover rientrare al più presto.» MacMourrog fece una pausa. «Avevo il terrore che il mostro avesse sconvolto il clima e vi stesse...»

«Come ho detto non è stato semplice, ma siamo sopravvissuti.» Siccome Avery lesse nel viso del primo ufficiale la curiosità circa la Sirena – di certo le bocche della cambusa l'avevano messo al corrente – si premurò di tenere il discorso sul contrabbando. «Sono una trentina di nomi.» Contò con le labbra socchiuse. «Trentadue. È un ottimo lavoro, inoltrerò la lista al Re con l'elenco delle richieste per l'anno in corso. E per quanto riguarda la Giamaica?»

«Si fanno nomi altolocati, un giudice vicino al Governatore Grey, commercianti, nobili inglesi. Ma lì l'uragano non ha fatto danni.»

«Sussiste la gravità dell'intenzione, state dicendo.»

«Per quanto riguarda lo zucchero, l'isola lo produce da sé. Ma l'Atto di Emancipazione ha creato i problemi che pensavano, smembrando le grandi piantagioni in appezzamenti gestiti dagli schiavi liberati. I coltivatori si tengono la parte che gli inglesi sottraevano per destinare l'intero raccolto alla vendita e in patria giunge meno merce. A detta di chi ho interpellato, gli inglesi sono meno competitivi sul mercato delle esportazioni, superati dai volumi di Cuba e del Brasile, che si avvalgono della manodopera degli schiavi. Ho anche scoperto, capitano, che esiste uno statuto del Quarantasei, promulgato dall'Inghilterra, che ha levato le tariffe protette e ha reso le tasse di importazione uguali per chiunque commerci in zucchero, togliendo alla Giamaica il privilegio di vendita. Fra l'altro pare che in Europa stia crescendo la coltivazione della barbabietola da zucchero come alternativa economica.»

«È per queste manovre che ho rifiutato una carriera di economista, come voleva mio zio» esclamò Avery, che desiderava disfarsi delle scartoffie gettandole a mare.

MacMourrog decise per una tregua e rimase a pressare il capitano con il peso degli occhi scuri.

Lo sfregamento di fogli impilati sostituì il discorso e dal nulla sbucò il suono della campana che avvertiva del cambio della guardia.

«Vi ringrazio. Riguarderemo i documenti e ne discuteremo domani, se per voi va bene.»

MacMourrog salutò e uscì dalla porta della cabina con il passo che lo definiva, meno pesante e marziale di quello di Kozlov. A volte, senza essere sul ponte, Avery sapeva chi stava comandando dalla camminata, un altro dei rassicuranti meccanismi della conoscenza in un ambiente ristretto. Attese il passaggio di consegna del governo della nave e si diresse alle cucine dopo aver chiuso i documenti in cassaforte.

Il cuoco oziava su una sedia fissata con delle funi alla paratia e ad Avery spiacque disturbarlo. Dopo che gli ebbe ordinato di preparare un tagliere di frutta con del prosciutto e del formaggio e di mandare qualcuno a chiamare il signor Kozlov, il capitano rientrò in cabina e attese.

Il cuoco portò quello che gli era stato chiesto e si congedò con un sorriso. Pensava alla doppia razione di grog che lo attendeva in una tazza.

Il russo ricevette il messaggio ed ebbe il tempo di posare il tricorno, passarsi una mano sugli aghi di barba del pomeriggio e rinfilarsi la giacca. «Mi avete fatto chiamare?»

«Prego, entrate. Accomodatevi.»

Kozlov sedette sulla sedia dove fino a poco prima era stato MacMourrog, all'altro lato del tavolo, e si accorse della frutta, del prosciutto e del formaggio senza desiderarli con il piacere della fame.

«Servitevi» disse Avery in tono conciliante. Prese una fetta di jackfruit, diede un morso e masticò la polpa mentre il russo allungava una mano, esitava, sceglieva il prosciutto.

«Girano delle voci su di voi, Borya. I marinai si chiedono, ci chiediamo, mi metto nel mucchio, come abbiate fatto. Con la Sirena, intendo. Considerando la vostra inventiva...»

«Credo che la ciurma abbia più inventiva di me, capitano.»

Lo scricchiolio della nave, ancorata a Smith Barcadere con la marea che saliva, si ripercosse all'interno della cabina, e il suono gorgogliante dell'acqua al coronamento, intorno all'elica riposta, s'intromise fra i due uomini.

«Le sirene non possono essere violate.»

«Parco di parole.»

«Non c'è molto che possa dire a mia discolpa, se non che ho tentato di fare il bene per noi e per la popolazione con i risultati che sapete.»

«E cosa ci facevate nelle mangrovie con la divinità delle Cayman?»

Kozlov appoggiò il prosciutto e senza pulirsi le mani riempì i dieci minuti successivi con la cronologia della sua conoscenza con la Sirena. Non sperava nella benevolenza, non la voleva. Chiedeva solo di essere lasciato in pace a riflettere sulla prosecuzione della carriera. Di quel disordine che era la sua vita personale al momento non intendeva discuterne.

«Come sapevate cosa volevo fare con la signorina King?»

«Dopo che avevate colpito il mostro e siamo tornati alla nave, non ero sicuro di come volevate procedere e mi sono limitato ad osservare. Vi ho seguito alla villa.» Dopo una pausa, il russo aggiunse: «Vi ho spiato.»

«Come facevate in Scozia con il vostro sacco impermeabile. Non guardatemi a quel modo, il ruolo impone un'attenzione a trecentosessanta gradi. E non che foste mimetizzato fra le rocce, pensando d'essere un succiacapre o qualche altro uccello. Quando passavo vicino alla finestra vedevo il vostro viso voltato verso la casa.»

Kozlov sorrise con mestizia. «Vi dicevo che non ho poi una gran inventiva.»

«Mesi fa il laudano vi estorse la verità. Diceste "Io l'ho vista, la Sirena". La cercavate? Ho bisogno che siate onesto.»

«Sì. Mi immersi per cercare lei e i resti della fregata. Volevo una prova certa della sua esistenza. Nel Quarantacinque l'avevo intravista e udito il suo canto.» Kozlov si interruppe, passò dall'occhio sinistro al destro del capitano e scosse la testa. «Sapevo che la vostra fidanzata era sepolta qui.»

«Quando?»

«Mentre eravate rinchiuso nel Forte andai alla prigione spagnola dove si diceva che s'aggirasse. Uscì dall'acqua e la scorsi nel buio. A quel punto non potei fermare il sacrificio.»

Avery si stropicciò le labbra e batté gli occhi in cui erano montate le lacrime. Cercò di ascoltare il consiglio di Bolton, di non lasciarsi toccare dal pensiero, e si sforzò di deviare sui nomi dei contrabbandieri dell'elenco.

«Non mi uccise. Riconobbe in me uno dei vostri ufficiali. Quello che tramandano è vero.»

«Avete scortato voi la sacrificata?»

«La accompagnai io, sì.»

«Potete descrivermi quello che successe?»

Con la prosa asciutta e l'anima raffreddata dal Buran, Kozlov sciorinò ogni azione da quando aveva lasciato la piazza d'armi e aveva preso in consegna una Lusia barcollante, drogata dalla mistura che il medico del Forte le aveva dato da bere, fino al momento in cui aveva chiuso il lucchetto della catena e si era allontanato con la scialuppa.

Avery pensò che Lusia non avesse lasciato alcun messaggio per lui. Pensò a quale fosse stata l'ultima parola che le aveva rivolto. Forse "A domani", forse il silenzio di un bacio.

Kozlov non poteva dirgli, e non lo fece, che l'aveva udita chiamarlo e che il grido era una supplica.

«Ho chiesto alla Sirena di restituirmi il corpo» disse Avery dopo che ebbe ripreso dominio di sé. «Siccome non mi fido di lei, ho pensato di utilizzare lo scafandro che ho fatto riparare.»

Il secondo ufficiale non parlò.

«Ci ho riflettuto quando sono tornato sulla nave, al momento non avevo pensato alla possibilità. Andrò sotto a sincerarmi che... vi ho chiamato per avere la parte di razionalità che mi manca. Cosa potrei riavere dopo due anni in un mare che è tiepido in ogni stagione?»

«Non l'avete chiesto al dottore? Potrei dirvi delle sciocchezze.»

Le esatte parole di Patterson erano state: Bene, non siete ancora contento, con voi non serve l'etere. Non eseguirò, nemmeno se minaccerete di mettermi ai ferri, un'autopsia su un cadavere che è rimasto in mare per due anni e mezzo. E di seguito aveva parlato di ristagno di sangue, macchie, pelle che veniva via come una calza, macerazione e saponificazione.

«So che non ho alcun diritto di dirvelo, ma vi prego di non farlo. Non vi siete esercitato, non avete idea della difficoltà e delle reazioni del corpo. Io ho rischiato di morire, ve ne parlo con il senno, e se non fosse stato per la Sirena sarei un cadavere.»

Avery parve non aver ascoltato quando disse: «Verrete anche voi, suppongo. Dovremo essere in due a trasportarla. Ci servirà della tela cerata dove avvolgere i resti».

Kozlov si riservò la facoltà di tacere.

«Avete parlato con lei.»

«Capitano, non immaginate una conversazione. È una divinità e noi siamo chi esegue il suo volere. Lei ordinava e io obbedivo.»

«Kozlov, ci siamo messi alle spalle la menzogna. So che siete un conversatore garbato, e altrettanto bene so che non siete incline a essere rivoltato come un guanto. La vostra è una rivolta silente, ma sempre di rivolta si tratta. Vi conosco nello stesso modo in cui conoscete me e i miei vizi. Di certo le avrete chiesto i motivi del rituale.»

«Mi ha parlato di cose che vorrei non sapere.» Il secondo ufficiale elencò il ciclo di distruzione e rinascita di cui la Sirena era fautrice, e aggiunse una considerazione che stupì Avery. «Ha qualcosa di umano nel modo in cui vi ama. E di deprecabile nel modo in cui vi vuole. Non si considera una divinità, o perlomeno, sa di essere una divinità schiava del ruolo. Me l'ha detto chiaramente. Canta per i sacrificati per evitare che le grida richiamino la gente che li potrebbe liberare, ed è qualcosa da condannare, e lo fa per consolarli.»

«È un'assassina. E voi non potete esimervi dal provare pietà per lei.»

Kozlov non rispose.

«Vi comprendo, Borya. La passione è un contagio.»

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