55. (PARTE PRIMA)
Arrivò l'alba. Il giorno era uno dei tipici di marzo ai Caraibi. Il sole usciva da un ammasso di nuvole posate sull'orizzonte, un quarzo citrino con una sfumatura rossa, in un cielo che era di un rosa tenue. Fra le scogliere scure si aggirava una foschia azzurra e ondulata che esalava dal mare.
La Sirena comparve, una forma solida nel paesaggio etereo, seguita da un rumore terreno di sciaguattare. Il Vento la tallonava in silenzio.
«Sei taciturno. Sei preoccupato?»
«Preferisco leggere di duelli, Sirena. Trovo sciocca la consuetudine. Si perdono menti di prim'ordine, scrittori e scienziati di valore. Ricordi le poesie di Puŝkin che leggesti per me una volta? Ecco, lui morì in duello.»
«Non voglio» disse lei, che avvertiva il grumo in gola. «Devi deviare i proiettili.»
«Potrei, ma non sarebbe corretto.»
«Cosa me ne importa di quello che è corretto? Sono io che decido.»
«Non più tardi di stanotte hai giurato che non mi avresti trattato da schiavo.»
La Sirena si mise le mani sul volto. Il mare intorno a lei si agitò in onde corte.
«Comunque, sai che trovo piacevole obbedirti.»
«No, hai ragione. Dovrei essere io a farlo.»
«Non puoi intrometterti. Stai spostando il confine lecito troppo in là.»
La Sirena si diede una spinta con la coda, sparì sotto la superficie e si diresse verso Smith Barcadere, seguita da un Vento radente che disperdeva la foschia.
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