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53. (PARTE TERZA)

Avery portò Lenore in braccio alla scialuppa. Non aveva voluto alcun timoniere, non Abel, che si era offerto di scortarlo, né Markin, tornato dal Forte con i compagni per riferire dell'inizio degli interrogatori.

Ammesso che esistessero e non fossero guidati dal mostro, i ribelli dovevano essere di nuovo rintanati nel buco dal quale muovevano la folla. A quanto aveva udito, la sua palla di cannone aveva causato due morti, uno per spavento e uno che se l'era presa addosso. Non avrebbe più disprezzato i cannoni da sei libbre.

Lasciò il corpo addormentato sul fondo, con la schiena poggiata al banco davanti a lui. Aveva rivestito la giovane con l'abito nero, che le stava storto.

Non ho pazienza, pensò il capitano guardando Lenore.

Lusia doveva essere lì, ne era quasi certo, sotto lo scafo a nutrire i pesci e a colorare il corallo.

È probabile che l'abbiano picchiata e intossicata prima di condurla al sacrificio.

L'altro Avery, scissosi, sedeva, nell'immaginazione, accanto a Lenore. Anche tu hai contribuito a condannarla. Hai lasciato che una leggenda vecchia di secoli continuasse ad alimentarsi.

Taci, stai al tuo posto.

Tu vuoi essere giusto e rettificare.

Rettifico quello che pare a me, come mi hanno insegnato. Ogni uomo dotato di potere è un despota.

Mi vergogno di te, due anni fa eri il promotore della pietà protestante e del raziocinio.

Al diavolo, è più facile essere dissennati.

Non dare la colpa agli altri. Lei è innocente.

Non intendo ammazzarla, ho bisogno di un'esca. E lei deve capire cosa significa.

Avery scostò, e la scialuppa procedette con la forza che il rematore imprimeva.

Mi sono lasciato blandire, mi sono ritirato. Ho creduto senza aver visto. Mi è stato insegnato a guardare coi miei occhi.

E l'hai vista. È reale, e se i tuoi uomini hanno fatto quello che hanno fatto è perché erano nel giusto. Non è solo una leggenda, era là. Non molto umana, te lo concedo.

Avery guardò la gomena che si era portato appresso con alcuni arnesi inutili. Aveva detto a Bolton e a Kozlov che avrebbe cercato i King, riparato eventuali danni alla villa e assicurato ogni cosa avesse potuto prendere il volo con il vento.

Giunse agli Scogli del Sacrificio e smise di remare.

La barca scarrocciò, accadeva nella quasi totalità dei casi nei pressi delle coste sottovento. Avery permise al fasciame di battere contro l'ultima roccia, una sporgenza smilza abbastanza lunga. Di fronte vedeva lo scoglio a cui era incatenato il mostro, nel buio distingueva le punte delle remiganti.

Si mise in piedi, trovò l'equilibrio, si chinò per rialzare Lenore appoggiandola a sé. Era una bambola dagli arti molli, pasciuta d'estasi e stordita dalla tintura liquida di oppio sciolta in acqua e zucchero di canna. L'addossò allo scoglio umido, sostenendola con il braccio sinistro che premeva sui seni molli. Allungando la mano destra, prese il capo della gomena, lo fece passare dietro lo scoglio e davanti, uno due tre quattro cinque sei sette giri di corda marinara. Scostò il braccio per vedere se Lenore si sbilanciava in avanti, ma lo scoglio era sufficientemente inclinato per tenerla un po' all'indietro e la gomena faceva il resto. Ne aveva ancora parecchia e si premurò di utilizzarla per non doverla tagliare.

Lenore gli parve un bruco con il volto di donna, l'ennesima aberrazione.

La esaminò e non poté impedirsi di pensare alla descrizione che Cristoforo aveva fatto delle sacrificate. Una volta, il caribo era riuscito a scappare dalla custodia del padre e vedere lo stregone avvolgere una catena di ferro intorno al corpo della prescelta e fissare l'ibisco ai capelli.

Avery si frugò nella tasca del cappotto e ne trasse il fiore bianco di stoffa macchiato di rosso trovato sulla soglia della casa dei King. Si risedette e manovrò i remi. Condusse la scialuppa in secco sotto la scogliera, diede un'altra occhiata a Lenore e salì dov'era il cannone.

Si posizionò dietro la culatta, percorse i contorni e i vuoti della croce, si levò il cappotto per essere libero nei movimenti e vi poggiò sopra il tricorno. Fissò il proiettile all'asta recuperata. Poi schiarì la voce raschiandosi la gola. «Sirena!»

Il grido da coffa scese e cadde. Non riuscì ad assordare le mante, le sparpagliò.

«So che esistete e siete la divinità che esige il tributo perché l'uragano si acquieti. Sono Brayden Avery, il capitano della fregata che avete affondato. Anch'io ho un sacrificio per voi. Venite fuori! Vi ho vista, ho visto il vortice in cui vi siete calata. Venite fuori e prendete la donna che ho scelto come moglie!»

Avery sentì che la brezza rafforzava, era tiepida e proveniva da est.

«Se voi ridete della dannazione di un uomo, io rido della vostra leggenda. Volete le gambe perché non siete altro che un pesce? Ecco, prendete le mie, ve le offro per la magnanimità che avete avuto nei miei confronti dalla prima volta in cui attraccai sull'isola!»

Il Vento lo circondò e smosse l'arpone nella canna. Tastava l'arma.

«Venite fuori e rendetemi l'anello!»

«Non posso, è sepolto.»

Avery sforzò la vista con il battito che gli tappava le orecchie. Individuò una macchia bianca sotto la scogliera, appena discosta dalla roccia. Lei guardava su e lui verso il basso, e al Vento parve un'immagine della stessa commovente bellezza dello schizzo a carboncino che un marinaio innamorato aveva dipinto per la sua donna – nell'angolo destro sotto la firma c'era una dedica – mutandola in una sirena nell'atto di arrampicarsi sulla barca dove lui le tendeva le mani. L'aveva trovato in un libro inglese, nel mezzo di pagine senza alcunché che potesse ricondurre le parole al segnalibro.

«È sepolto, al dito della penultima sacrificata.»

Avery tolse la sicura all'arpone e lo inclinò verso il basso. La vedeva adesso, sfocata, con la tenebra che le tagliava il busto a metà. Era immersa in modo da celare la coda. Il libro che aveva letto nella Biblioteca riportava che, per attrarre gli uomini, le sirene si fingevano donne intente in un bagno malizioso e mostravano unicamente la parte umana.

La Sirena avrebbe voluto avvicinarsi, dando addito al Vento che a volte la voleva sventata. «No, non soffiare. Non voglio che cada.» Avvertiva lo sguardo del capitano calamitare la sua attenzione. Quegli occhi avevano la capacità di vincolarla. La temperatura del mare le ricordò il calderone. Smembrò la figura in uniforme per ricostruirla con la memoria, prima di volgere l'attenzione sullo scoglio dove giaceva Lenore.

«Chi è questa donna?»

«Il mio dono per voi.»

La Sirena giunse a Lenore, riconobbe in lei la donna che passeggiava con il Comandante dei fanti e la figura nuda alla quale il capitano si era congiunto davanti alla Stanza. Il gesto di quella notte le aveva rammentato un amplesso simile in un tramonto lontano, e lei era stata quasi piegata dall'ira prima che l'espressione del capitano le svelasse la verità. Quella notte lui non era stato altro che un individuo a cui serviva una liberazione, la medesima che i pirati e gli uomini dell'isola chiedevano alla prostituta, minuti e ore che non avevano niente da spartire con l'estasi e la gentilezza che lei aveva visto riversarsi in Lusia.

Mesi addietro aveva salvato quella donna bionda da Kyriake; il gesto le aveva placato l'animo, la distanziava dalla crudeltà della Sirena Alata, crudeltà che era uno specchio in cui si vedeva riflessa.

«Non la voglio. L'uragano ha ottenuto il tributo.» La Sirena girò attorno allo scoglio per guardare meglio la giovane e Avery mosse il fusto del cannone per seguirla. Lei non si era accorta dell'arma sulla scogliera: era stato il Vento, durante il dialogo di fronte al cadavere della nemica, a farglielo notare. Sapeva perché quell'aggeggio fosse lì.

Avery aveva la mente sgombra.

La Sirena contemplò il fiore che la sacrificata portava fra i capelli. Riconobbe l'ibisco con le cuciture storte. Lo sfilò e lo porse, come se allungare il braccio colmasse la distanza fra lo Scoglio e la scogliera, al capitano. «Chi ve l'ha dato? È stata la Sirena Alata?»

«L'ho trovato sull'uscio di una villa. Non è così che funziona? Chi ha il fiore onora il sacrificio. Vi offro la mia futura moglie.»

La Sirena stava immobile.

Avery voleva scagliare l'arpone; nell'attimo in cui decise s'insinuò la possibilità del fallimento. Non sapeva quanto veloce lei potesse muoversi. Poteva calcolare la distanza e la rapidità dell'arpone, l'aveva già fatto, ma lei era una Juracán, o qualsiasi divinità fosse, e poteva scomparire nell'acqua con l'arma e l'unica possibilità.

Non importava. Voleva tentare e avrebbe tentato.

La Sirena sapeva anche questo: la donna era un'esca e l'arma era l'amo per un miserabile pesce senziente. Anche lui segue la sua natura. E comunque non mi amerà perché lo voglio. La gelosia rende deboli e schiavi.

Il grumo sotto il diaframma palpitò e la Sirena aprì la bocca per far uscire le parole dolenti del Blues.

They have chained you to the stone.

I could help you, but what do you do in return?

Will you give me a pair of legs?

I looked into his eyes

I looked at him while

he was torturing seashells.

My hands burned in cold water, I want to touch you,

I would approach you...

Avery temette che senza i tappi lei potesse soggiogarlo e costringerlo a volgere su di sé il cannone o, peggio, a gettarsi fra le sue braccia per annegare. Di tutte le follie, il suicidio era il peggior disonore.

Solleticò il piolo con le dita, ma non era sicuro, voleva tenere il colpo, l'unico, per non dover sottostare alla rovina dell'intento che aveva costruito nell'animo per due anni.

«Vi prego, non uccidetela!»

Il capitano udì un tuffo; la Sirena volse l'intero busto verso la sua sinistra.

Avery guardò con nient'altro che orrore, lucido e penetrante, il secondo ufficiale che nuotava verso lo scoglio, lo vide interrompere l'avanzata e capì che doveva avere incocciato contro una roccia sommersa e la stava scavalcando per pararsi davanti alla Sirena.

L'istinto rabbioso gli fece abbassare il piolo, non prima di aver deviato la traiettoria dell'arpone alla sua destra, un tocco impercettibile.

La Sirena vide la punta arrivare verso di sé e la fissò coi suoi occhi neri senza alcuna luce a brillarvi dentro. Avvertì lo strappo che la tirava verso il basso e a sinistra.

L'arpone forò l'acqua in una colonna diagonale azzurra e bianca dai contorni sfrangiati che ruotava in un turbine sottomarino.

La Sirena sentì una tenaglia di calore annacquato sul braccio e fissò l'uomo accanto a lei, il cui viso era distorto dall'acqua.

Kozlov si mosse in uno scatto verticale, gettò la testa fuori e lacerò la superficie del mare. Con la sinistra levò l'acqua dagli occhi e si rivolse alla scogliera. «Vi prego, non condannate voi e tutti quelli che vi seguono.»

Avery liberò la mano dal piolo, abbandonò il cannone e scese ruzzolando, come tempo prima dalle scale del Forte, sulla ironshore ammorbidita dalla neve. La divisa s'impregnò dei resti dei molluschi. Si rimise in piedi, un lato del viso e il filo di barba infangati.

Di fronte aveva la verità, il Giuda, il sobillatore, il ribelle peggiore di tutti i ribelli che nelle epoche potevano aver chiesto asilo all'isola. I russi che serbavano la verità nel nulla innevato che era la loro anima, forgiati dalla patria inospitale e da secoli di durezze. I russi che fra religione e paganesimo, non sapendo quale scegliere, si tenevano entrambi.

«Non dovrei stupirmi» riuscì a dire il capitano. Rabbrividiva per l'indignazione; la mente non contemplava altro che la morte di Kozlov sotto centinaia di frustate o forse annegato, con lui che gli teneva la testa sotto il mare fino a quando le gambe avessero smesso di scalciare. E l'avrebbe abbandonato alla deriva, un relitto dell'epoca che avrebbe cercato di dimenticare.

Ma la conca nella mente vomitò un'altra soluzione.

Kozlov si stava avvicinando alla riva, sentiva il Buran vegliarlo, l'Aliseo aggrappato alla scogliera e la Sirena che osservava i due uomini con un viso su cui s'era manifestata la disperazione. Pensò che l'arma avesse deviato per volontà del capitano e per l'azione del Vento. Si corresse. Non pensava di saperlo, lo sapeva.

Si aggrappò alla riva, credendo che il capitano lo rimandasse in mare con un calcio. Era andato troppo in là, al pari dell'arpone, perché le cose si accomodassero. La spiegazione a supporto delle sue azioni presenti e passate sarebbe stato il colpo di rivoltella alla testa.

Avery non si mosse finché il secondo ufficiale non fu tornato sulla terraferma per fronteggiarlo, circondato dall'odore del mare e di pesce. Lo prese per il bavero della giacca, senza sollevarlo, e lo scosse al pari di uno squalo pazzo che strappa la carne di un uomo. Aveva molte domande e si rimproverò per l'unica che al momento gli premeva: come Kozlov avesse violato la Sirena per ottenerne i favori.

Il russo sollevò le mani, prese gli avambracci del capitano e li serrò a raggrinzire la stoffa e la pelle sottostante.

Avery si figurò, o meglio, trasse dalla memoria una possibilità che gli aveva occupato parte del tempo in Scozia, un seme piantato nell'anticamera di Whitehall. Kozlov che saliva sulla scialuppa, conduceva Lusia per un braccio con i suoi modi cortesi allenati alla disciplina e la affidava allo stregone. Kozlov che forse aveva presenziato all'annegamento, quando avrebbe dovuto esserci lui a prendere con sé l'ultimo momento della ragazza. Lasciò il bavero della giacca.

Il russo trattenne la presa per un istante prima di levare le mani.

«Borya Kozlov, vi chiedo soddisfazione.» E non ci fu bisogno di guanti o di ceffoni.

Il capitano passò accanto al secondo ufficiale, diretto alla scialuppa. Con una spinta la mise in mare. Kozlov chiuse gli occhi per trovare il respiro. Si volse e vide la Sirena slegare la sacrificata, prenderla come aveva sostenuto e portato lui a Smith Barcadere e attendere l'imbarcazione.

Nel silenzio rotto dal soffio dell'Aliseo, Avery raggiunse lo scoglio.

La Sirena strinse a sé la giovane.

«Datemela. Appartiene agli uomini e alla terraferma.»

Il capitano e la Sirena si scrutarono per qualche secondo prima che lei lasciasse la sacrificata.

Avery prese Lenore, badando a non toccare la divinità delle Cayman. La lingua gli si rivoltava in bocca dal desiderio di bestemmiare il perché le divinità pagane dovessero impicciarsi dell'esistenza umana, che prendessero esempio dall'Altissimo, intento a osservare le sue creature senza interferire.

Fu costretto comunque a guardarle di nuovo il viso e il busto e la trovò identica alla descrizione. Non poteva combattere contro una cosa reale, non era lo stesso d'ingiuriare una croce di legno o una statua sapendo che nessuna delle due avrebbe punito l'insulto. Nondimeno, la certezza non lo mise al sicuro dal dolore. Gli risaliva il corpo, ovunque, e lui lo assorbiva e lo spandeva. Depose il dono rifiutato nell'imbarcazione e scostò.

La Sirena non fece alcun movimento per trattenere il capitano, tranne ondeggiare la coda per tenersi a galla. D'improvviso, però, si sporse in avanti e il Vento stette per richiamarla. Temeva che le fosse passata per la mente l'idea di traversare la barca.

Lei stava negoziando con l'intento, rimpiangeva il rifiuto: avrebbe potuto usare le gambe di quella donna, avrebbe potuto essere l'attimo della vita.

Avery portò Lenore addormentata e fradicia sulla riva e chiamò Kozlov. «Portatela a casa. Vi attenderò con la scialuppa per tornare sulla nave.»

«Signore, sarebbe meglio se non avessimo contatti fino al momento del duello.»

«Come volete. Ma dovete comunque prendere la vostra cassa, se non intendete tornare.»

«Aye. Però non sono mai stato alla villa dei King. Posso arrivare a metà strada, al bivio dove ci separammo l'altra volta.»

«Ah, dannazione.» Avery non immaginava che sarebbe stato difficile reggere la verità. «Prendetela per la testa, io la terrò per i piedi. Dimezzeremo la fatica. Seguitemi.»

Prima di sollevarla, Kozlov tastò la gola di Lenore per cercarle il battito e comprese che la giovane dormiva il sonno delle droghe.

I due risalirono la ironshore nel cricchiare di passi che la risacca reboante faceva scomparire.

«Cosa intendono con "soddisfazione"?» chiese la Sirena. Osservò gli ufficiali allontanarsi come aveva fatto innumerevoli volte.

Il Vento le rispose cingendole le spalle.

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