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50. (PARTE QUINTA)

La Sirena e il Tritone Artico stavano in silenzio al cospetto di Nettuno, che li inchiodava nell'alcova della figlia, rendendo l'acqua del blu denso e opaco della sua rabbia.

La Sirena non aveva nulla da obiettare, almeno fino a quando il padre non avesse iniziato a distruggere gli oggetti che nei secoli avevano abbellito la prigione sottomarina. A volte sollevava gli occhi e li guardava con l'affetto che aveva sviluppato per le cose sue, che le piacevano e non le erano state imposte.

Stava altresì accumulando le forze per l'ultimo attacco a Kyriake.

Quando era tornato, Nettuno le aveva recitato l'intero codice comportamentale a cui dovevano sottostare i figli e le aveva concesso l'ultima follia prima di detronizzarla: comandare al Buran di scortare l'ufficiale caro al capitano.

«Dal momento che ami gli uomini e sembra che ne sopporti le regole, sappi che nessuno di loro governa a lungo. La gelosia e la morte accorciano i regni. Tu non possiedi la seconda, ma della prima ne hai in abbondanza. Pertanto, quando sarai maritata, andrai nel Mare di Kara e lo amministrerai. Lassù le navi che riescono a passare sono poche e per poco tempo. Dico bene, figlio?»

«Da giugno a settembre, padre. E chi si salva sopporta sofferenze inenarrabili.»

«Lassù ti passerà la smania. E non sarai sola, sento che vai d'accordo con il Buran

La Sirena aveva sorriso, memore dei consigli del Vento. Mandami lassù, padre, dove vuoi, e io mi unirò a mio fratello del Mar Glaciale Artico e torneremo per levarti il potere, come tu e Kyriake mi avete insegnato, da buoni precettori.

Era un ottimo proposito tacere, eppure d'un tratto la Sirena ebbe un altro dei suoi rigurgiti disgraziati e orgogliosi. «Padre, ho una domanda. Me lo dovete, è l'ultimo desiderio di un condannato.»

«Te lo concedo.»

«Chi vi ha dato il nome che portate? Gli animali non vengono battezzati e non hanno appellativi che esulino dalla loro natura di "pesce" o "uccello" o "corallo" o "sirena" o "tritone". Pare che la lingua sia prerogativa umana e che siano stati gli umani a dare un nome agli dèi. Per cui dovrei dedurre che, per quanto li disprezziate, prendete da loro ciò che vi piace.»

Il mare, che in superficie era grigio e bianco, si scurì in profondità. L'ira di Nettuno poteva divenire dello stesso colore della morte. Il Dio del Mare però, il cui intelletto era edulcorato dalla paternità, ebbe la forza di compiacersi della sagacia della figlia.

«Ho un grande vantaggio sugli uomini. Esistevo prima di ciascuno di loro, quando non lo sapevano. Non perché non avessi un nome non calcavo il mondo. Posso dirti, figlia, che fu un collegio sacerdotale romano, gli Arvali, a chiamarmi Pater, in principio. Poi, nell'ordine del mutamento su cui è fondata l'esistenza umana, gli italici cambiarono il mio appellativo in Neptunus. Ma in qualunque modo in futuro mi chiameranno, io resto la divinità che sono.»

Una manta osò trapassare lo spazio che Nettuno aveva creato intorno all'alcova, una bolla irregolare. Lui avvertì il tremolio nella barriera e vide il pesce cartilagineo venire avanti senza titubare.

«Che cosa vuoi?»

La manta comunicò l'avviso del Williwaw. Il Re del Mare si tirò la barba prima che la stretta si allentasse e facesse il gesto di congedare il pesce.

«Di certo avrai udito anche tu, figlia.»

«Sì, padre.»

Il Tritone del Mar Glaciale Artico guardò la sorella. «E cosa pensi di fare di una promessa infranta?»

«Hai invitato la Sirena Alata agli Scogli del Sacrificio, ma hai scordato che lei è al di sopra del tempo e delle date degli uomini. Sei tu ad avere orologi per misurare, non certo lei che è nata libera dai vincoli» aggiunse Nettuno con una voce meno inattaccabile.

«È una dichiarazione, padre. E voi mi impedite di rispondere.»

«È una tua scelta accorciare il tempo.»

Nettuno afferrò il tridente che aveva poggiato alla montagna sottomarina e sciolse la bolla irregolare che lo conteneva con i figli.

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