45. (PARTE SECONDA)
Patel sedeva sulla veranda con il biglietto in mano. Qualcuno pareva avergli acceso una graticola sotto il sedere.
Quando Avery tornò dalla Stanza della Sirena, con la stessa espressione di chi aveva assistito a uno spettacolo noioso, il marinaio ci mise poco a scorgerlo mentre usciva dall'intrico di piante, e quasi urlò. Mi ammazza. Se sa che ho perso di vista il signor Kozlov, dov'è andato, mi ammazza. O mi spetterà il graticcio.
«Patel.»
La voce è quella. Vuole sapere cosa faccio qui. «Signore.»
«È successo qualcosa alla Oblivion?»
«Signore, sarebbe che stasera il signor Kozlov mi dà questo biglietto per voi per dirvi che non torna a casa subito.»
La faccia è quella. Sono spacciato.
«Cosa significa che "non torna a casa subito"? È mezzanotte passata. Se sei qui è perché non è rientrato.»
«Sono andato alla nave, signore, e non c'era già più. Due volte avanti e indietro fino a che non hanno chiuso i magazzini e se ne sono andati via tutti.»
«T'ha imbrogliato, insomma. Vieni dentro. Dammi il biglietto, anche se non vale la pena voglio leggerlo.» Nella grafia ordinata del russo, Avery non lesse alcun cedimento. Si faceva accenno a un impegno subitaneo di cui non era chiara la natura. Appoggiò il biglietto al tavolino e notò che Bolton russava sull'amaca. «Grazie, Patel. Prendi un sorso di whiskey e scegliti un posto per dormire. Puoi prendere la poltrona, ti porto una coperta. Stasera il vento si è rafforzato.»
Kozlov tornò alle due. Nessuno l'aveva atteso alzato. Fu contento; da uno sguardo allo specchio appeso di fianco alla porta d'entrata aveva capito di non poter costringere il viso in un'altra espressione innocua. Passò a fianco del tavolino, vide due biglietti e un bicchiere vuoto da cui esalava l'odore di orzo maltato e torba. Whiskey scozzese. L'ultimo bevuto a Natale era una bottiglia regalata da Blight al capitano che sapeva di miele e ribes secco.
Il secondo ufficiale trovò la bottiglia su un ripiano e ne versò un'oncia. Come posso dissuaderlo? Buttò giù un sorso e non lo sentì, i pensieri lo distoglievano dal presente. Il vuoto che si portava addosso era insopportabile e per un istante pensò di scolarsi ogni bottiglia delle casse che Avery aveva messo al sicuro e di ingerire segatura pur di tornare il burattino che era. Poi, portandosi alla bocca il bordo del bicchiere per la seconda e ultima sorsata, ricordò le parole del dottore sulla nocività degli spiriti forti per la ferita e lo posò. Perché non portarla in casa? Per Bolton? Per me? Non gliene è infischiato niente quando eravamo in Scozia e sapeva che dormivo sul pavimento. La signorina King. È una borghese, era questione di tempo. È promessa di un altro, non devo stupirmi. La marina è un covo di vizi.
Il vento faceva sbattere l'anta di una finestra in lontananza.
Quando Kozlov era uscito dalla Stanza, la Sirena non l'aveva atteso, inghiottita dal mare che lo riportava alla notte in cui lui aveva guardato la marea increspata dalle mura del Forte. Succederà ancora, è andato a provocarla. Quanto di premeditato c'è nell'azione di stasera, ieri sera, e quanto di onesto?
«Sono anch'io una schiava e una sacrificata.» La Sirena non sorrideva quando l'aveva detto.
Le lacrime gli riempirono la gola e Kozlov le inghiottì in un bolo al posto del whiskey.
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