44. (PARTE QUARTA)
Kozlov rispose alla chiamata della Sirena, furba abbastanza da usare un idioma che sull'isola un unico essere umano poteva comprendere. Nessun testimone. Accadeva durante i sacrifici.
Lui si recò alla Stanza passando fra gli arbusti, le cui forme e colori conosceva, e si mise ad attendere. Stavolta lei non era in anticipo.
Non passò molto prima che una folata, proveniente dalla superficie del mare, gli levasse il tricorno e gli facesse socchiudere gli occhi. Kozlov ebbe l'impressione che il vento avesse la forma di un forzuto percorso per intero da una nervatura fredda della forma di cicatrice o voglia, e riconobbe, in esso, la nostalgia per la sua terra. Era un vento del Nord, fuori posto nelle brezze dei Caraibi.
La Sirena emerse.
L'ufficiale guardava un cielo che pareva arato, di dune di fuoco. L'odore di mare gli raggiunse le narici e si mischiò al ghiaccio che annusava nell'aria.
«Ufficiale Kozlov.»
«Signora dei Caraibi.»
Lei vide il russo che si inginocchiava. Lui vide invece un altro essere che non doveva esistere eppure esisteva e lo fissava con la qualità muta delle statue.
«Vi presento il Tritone del Mar Glaciale Artico. Non parlerà, sarò io la sua interprete.»
«Onorato. Servo vostro.» Kozlov chinò la testa. Quanti saranno? Uno per ogni mare?
Il Tritone Artico considerò la stazza dell'ufficiale e il viso, ma ciò che glielo rese piacevole fu il Buran che, come aveva detto sua sorella, gli dimorava nelle tasche. Annuì.
La Sirena sorrise sollevata. «Vi ho chiamato perché è ora che prendiamo il Buran.»
«Posso chiedere cosa accadrà?» Voglio saperlo. Voglio sapere se devo morire adesso.
«Forse vi sentirete fiacco. Di certo proverete una sensazione di leggerezza. Sarà il Tritone con il Williwaw a estrarlo. Forse è meglio se sedete.»
Kozlov sedette sullo scoglio dove si era accomodato la prima volta in cui era andato a cercarla. Mise le mani sulle ginocchia e si accorse di avere i muscoli contratti. Ruotò il collo a sinistra e a destra. Williwaw, ecco cos'è.
Il Tritone fischiò e le nubi si mossero, le dune si sovrapposero e si fusero in una parete a strapiombo sospesa nel cielo.
Kozlov voleva tenere gli occhi aperti, ma il soffio che gli si avvicinò e lo avvolse lo impediva. Gli parve che con mani che non erano mani, il vento gli frugasse nelle tasche. Nelle pieghe del corpo. Era la stessa sensazione della sua infanzia, uscire con il cappuccio e vederselo tirare via dalla bufera. Occorreva un quarto d'ora per andare e tornare dalla legnaia. Suo fratello, che gli faceva da scudo camminando avanti, era piegato in un angolo di novanta gradi e al ritorno doveva tenersi in equilibrio, spinto da dietro e con le fascine che tremavano la nota delle bacchette di tamburo.
Sentì che il Williwaw gli toglieva il respiro. Ci era abituato. Se lo faceva togliere dal naso e dalla bocca dal Buran. Il Buran l'aveva trascinato ovunque fintanto che era rimasto in Siberia. Poi, a Petropavlovsk, il cui periodo ventoso coincideva con le precipitazioni e durava da ottobre a maggio, il vento poteva soffiare da ogni direzione e non aveva quel nome. Ci era abituato.
Non era abituato, invece, a ciò che rimase quando il Williwaw terminò il compito. Gli avevano tolto un gran peso di dosso, la stessa sensazione del cambio degli abiti al cambio di stagione. Ma era una leggerezza nociva. Kozlov aveva il respiro accelerato. Quando sollevò la testa vide che il Tritone Artico non c'era più.
Era rimasta la Sirena con un'espressione triste. «State bene? Siete vivo.»
«Sto bene.» Avverto un vuoto. Avocarmi un impegno del genere. Non posso incolpare nessun altro.
«Resterò finché vi sentirete meglio.»
«Ho esaurito il compito?»
«No.»
«Mi terrò a disposizione.»
Le ombre si erano infittite e il viso della Sirena emanava una tenue luminosità bianca, pari ai golomyanka.
«La vostra pelle mi ricorda il candore di alcuni pesci russi.»
«Oh.»
«Signora dei Caraibi. Perché cantate per i sacrificati?»
La Sirena continuò a muovere la coda nell'acqua, solleticata dai pesci curiosi. «Perché nessuno li deve salvare. Se gli abitanti udissero le grida verrebbero agli Scogli e forse proverebbero a liberare la vittima.» Vedeva bene il viso di Kozlov, una fermezza diversa dal capitano, e aspirò l'odore di acqua piovana e cedro. «E perché li comprendo.» Aveva l'attenzione dell'uomo. «Sono anch'io una schiava e una sacrificata.»
Kozlov aprì la bocca e udì il frastornato muoversi degli arbusti, i rami piegati e le foglie cadute e i fiori sospiranti. Non era il vento. «Arriva qualcuno.»
«Prendete la chiave, entrate nella Stanza. Rimanete dentro» disse la Sirena.
Il russo scacciò le patelle, prese e infilò la chiave nella toppa arrugginita. Si mosse in silenzio, a eccezione delle scarpe che facevano scricchiolare la ironshore. Tirò la porta verso di sé e attraverso la grata vide la Sirena che si tuffava.
La camicia bianca del capitano era pari, per chiarore, al corpo dei golomyanka.
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