4. (PARTE TERZA)
«Dovrete accontentarvi di una zuppa di salmone.»
Kozlov annusò l'odore dolciastro di ovino che Avery spandeva nella cucina. Era rimasto in camicia con la cravatta stretta, la giacca appoggiata allo schienale della sedia. «Andrà bene.»
«Potrebbe non piacervi. Pensate sia lo stesso salmone che mangiano i russi?»
«Non lo so, signore. È probabile che non lo sia. All'estremità orientale della Russia c'è il Pacifico e sopra l'Artico. North Harris è bagnata dall'Atlantico. Credo che siano specie diverse, dal momento che hanno nomi diversi. Dove abitano i Kozlov lo chiamano chum.»
«Non avete perso la risposta. Siamo sulla terraferma e non voglio sentirmi chiamare "Signore". Usate Avery. Ci conosciamo da abbastanza tempo.» Ne aveva bisogno. Dopo Lusia non c'era nessuno che lo graziasse di gentilezza. La cortesia del dovere aveva un valore differente, lo stesso che muove lo schiavo a dire: «Sì, padrone» e il marinaio «Aye, signore».
Kozlov si mise a esaminare il piatto e le posate, una disposizione precisa e marinara. Fiutò la tostatura del caffè. La menzogna che aveva scelto di perpetrare con l'intero equipaggio si era sedimentata in verità: ciascuno di loro l'aveva imparata a memoria come aveva imparato il mestiere e pareva che nessuno intendesse sollevarsi per scoperchiare il sepolcro. C'erano il passato e il futuro e Kozlov aveva istruito i marinai: erano due cose differenti, e al diavolo se uno era l'altro. Il passato era morto e il futuro che nasceva ogni secondo con, fra i due, lo spettro corrotto della menzogna, poteva divenire pericoloso con i suoi strumenti tardivi del rimorso.
Nessuno aveva osato ribattere.
«Pensavo foste in Camtacka ad arrostire i cormorani.»
Kozlov non corresse il capitano e non gli disse che si usava seppellire i cormorani in una buca di sabbia per cuocerli com'erano, piume e il resto, ricoprendoli di argilla. Guardò il mestolo di rame che rovesciava dentro il piatto una brodaglia densa di pezzi rosati, una cataratta dal sapore di grotta umida.
«Siete venuto di vostra volontà o vi hanno costretto? Mezza paga sulla terraferma non è un bell'affare.»
«Mi hanno richiamato per darmi l'incarico.» Avrei dovuto pensarci prima, considerato lo stato in cui siete.
Avery alternava momenti di silenzio ad altri in cui scagliava domande come palle incatenate, la sua tattica di guerra. Negli scontri a fuoco, al pari delle schermaglie verbali, alla prima bordata faceva seguire la quiete, lunghi minuti di sospensione per permettere al nemico di valutare e operare la sua scelta. Era come se comunicasse: ho i cannoni, non esiterò a usarli per disalberarvi, anche se le grandi battaglie navali sono ormai un racconto da tramandare.
Fidava nel discernimento, era il vizio a cui doveva sottostare, ed era per la fede incrollabile nel buonsenso che non riusciva a dare una forma intera al sospetto che i suoi uomini non avessero agito in buona fede quando lui era impossibilitato a difendere Lusia. Già una volta aveva perso la capacità di giudizio, obnubilato dalla progressione degli eventi: l'appuntamento mancato, la sua promessa sposa portata via dallo stregone, il carcere nel Forte, il muro di omertà delle giubbe rosse, l'attacco con le cariche, le decisioni scriteriate. E il Governatore. Antagonista o vittima di un raggiro o servo di una volontà soprannaturale, Avery non poteva dirlo con esattezza. Vivere troppo a lungo sulla terraferma gli toglieva la rapidità di pensiero che lo contraddistingueva quando navigava e riusciva a fare il suo bene e quello della ciurma. Levato dal suo elemento – in quei mesi era arrivato a dare adito alla leggenda locale per cui i migliori marinai nascevano dopo una fecondazione in acqua, quasi fossero composti della stessa sostanza dei pesci – diventava un omuncolo dalla mente confusa, truffato dalla libido. La terraferma lo costringeva a lunghi ragionamenti. Non era il padrone assoluto di uomini che gli si affidavano come a un oracolo. Sulla terra ce n'erano a bizzeffe di tizi con la sua stessa dose di potere e diritto di esercitarlo, addirittura superiori, e lui doveva badare a cosa diceva e al modo in cui lo diceva, osservare le regole sociali e le consuetudini strambe e senza fondamento. La terraferma lo obbligava a eviscerare ogni frase.
Non vedeva Kozlov da mesi, e anche prima non si era fatto vedere volentieri dall'equipaggio mentre si comprometteva in modi imbarazzanti, scendendo i gradini della dignità fino alla pozza dell'umiliazione. «Concedetemi la pietà dei vedovi. Lasciate che cerchi il relitto.» Tempo addietro, i presenti nella stanza principale dell'Ammiragliato l'avevano scrutato con gli occhi fissi e le labbra che si contraevano. Avery si era buttato in ginocchio davanti la scrivania del Primo Lord, al fianco del quale sedevano un Viceammiraglio e un Contrammiraglio che avevano l'espressione degli uomini empi, ma avrebbero barattato le glorie per evitare uno spettacolo del genere. Nessuno di loro sapeva bene cosa fosse successo a Grand Cayman, Lennox non ne faceva parola nei dispacci e i tre ufficiali della fregata continuavano a riportare la medesima versione, che poco spiegava perché il capitano fosse tornato con due buchi d'arma da fuoco in corpo e comparisse ogni giorno a chiedere se fosse entrata in porto la corvetta inglese Opal.
«Non possiamo organizzare una spedizione che copra le miglia di mare a est e a ovest delle Azzorre. Avete idea di quanti uomini e mezzi siano necessari? E comunque non sarebbe sufficiente, non esistono aggeggi che esaminino le profondità marine. Le correnti costanti di deriva potrebbero aver spinto il relitto molto in là.»
«Non potete scandagliare l'intero Atlantico» aveva detto il Contrammiraglio.
«E non dimenticate le correnti di gradiente» aveva detto il Viceammiraglio.
«Credete alla parola del capitano Clark?»
«Il capitano Clark non è un bugiardo» aveva risposto Avery, «ha riportato di aver incontrato una tempesta e di aver veduto alcuni frammenti di madiere che galleggiavano nei pressi di Flores. A trentuno gradi e tredici di longitudine ovest.»
Nella cucina della casa di pietra, Avery buttò la pentola di rame sulla stufa. «L'Ammiragliato?» Sedette a capotavola.
Kozlov lo fissò, uno dei riti nel quadrato. Gli parve di annusare il rognone nel fiato di Bolton, che di solito era sistemato accanto a lui, e dall'altra parte MacMourrog, il chirurgo e a volte il nostromo, quando vinceva la timidezza o non poteva esimersi. Li avvertiva tutti, i fantasmi sulle sedie vuote. «Vivete solo, signore? Non c'è nessun altro, qui?»
«La casa è di un parente di mia madre, è lei il ramo scozzese. Bado all'allevamento in cambio dell'alloggio. Drummond McCall è a South Harris per una fiera. Non tornerà fino a settembre.»
Kozlov pensò al giorno in cui aveva preso il treno da Londra per dirigersi nel Nord-ovest, Lancashire, Morecambe Bay, dove vivevano gli Avery e dove il capitano aveva inteso portare Lusia. Rammentò il viaggio di fianco a un ubriacone che russava appoggiato alla sua spalla, una seconda classe di domestiche e lavoratori, un continuo rumorio da alveare in sottofondo. Quindi rientrò col pensiero nella magione dove gli Avery avevano comunicato che il figlio non era presente e l'avevano indirizzato verso Ayr, dove Brayden aveva detto di volersi imbarcare per le Ebridi Occidentali, North Harris. Il figlio cercava un rifugio per riaversi, aveva spiegato la madre nel suo abito austero.
«John. Cosa desidera il Primo Lord dell'Ammiragliato?»
Kozlov ebbe il desiderio irrefrenabile di sfregarsi la fronte. Guardò le mani appoggiate al bordo del tavolo su cui c'era sangue vecchio e secco di pesci fatti a pezzi. «Vogliono che torniate a far da scorta ai convogli sulla vecchia tratta.»
«Lo sanno che la fregata è in fondo al mare? Non sono uno sciocco, ero a Londra quando arrivò la comunicazione. Lo sanno chi devono ringraziare, non è forse stato Bolton a stilare la rotta?»
«Signore, è stato quello scellerato di Evans che ha disatteso le raccomandazioni volendo partire in anticipo. Il signor Bolton resta il più valente meteorologo in servizio attivo della Marina Britannica. Non scordate che la meteorologia non è una scienza esatta e non ci sono stazioni sulle isole dell'Atlantico. Sapete meglio di me quanto possono essere improvvise e letali le tempeste.»
«Ne sono informato. Mi sono sorbito nozioni sul clima fin da quando mise piede sul cassero.»
«Evans arrivò a Grand Cayman il ventisette di settembre e la catastrofe si abbatté l'otto ottobre. Ignorò volutamente il pericolo a cui espose gli uomini.»
«E che mi dite dell'autunno del Quarantacinque? Clark riportò di aver incontrato la coda di una tempesta, a detta sua nemmeno letale da traversare una nave.»
«Signore, sapete bene che quell'anno il clima non fu favorevole, troppe piogge e nessun raccolto andato a buon fine. Altrimenti non si parlerebbe della Grande Carestia.»
Avery e Kozlov continuavano a fissarsi, ma ognuno aveva la mente altrove e ne era affetto al punto da mentire senza che le espressioni del volto lo tradissero.
«Non vi aspettavo e sono in grande imbarazzo nel chiedervi se intendete restare per la notte.»
Kozlov batté le palpebre. Avvertì un irrigidimento della mascella. «Posso dormire all'aperto.»
«C'è un posto nell'ovile.»
Kozlov chiese permesso e andò al bagaglio che aveva lasciato sul pavimento accanto alla porta. Ne trasse della stoffa arrotolata chiusa da una cintura. Levò la cintura e srotolò la stoffa di modo che il capitano potesse vedere che si trattava di un grosso sacco.
«Che cos'è? Cosa volete farci?»
«L'ho acquistato da un uomo che prese parte a una spedizione artica. È un sacco imbottito di lana di pecora – se devo dormire con gli ovini preferisco la lana senza la pecora – e rivestito di tessuto Mackintosh. È sufficiente stenderlo a terra e infilarsi dentro per dormire il più caldo dei sonni all'aperto.»
Se a qualcuno interessa sapere da chi ho preso spunto per i personaggi, qui di seguito può soddisfare la curiosità. Il primo è un cantante alternativo americano su cui ho cucito Avery.
Il secondo è un tennista russo che presta i connotati al secondo ufficiale Kozlov.
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