4. (PARTE PRIMA)
Il giovedì la nave attraccò per la spola settimanale fra la Scozia e le Ebridi Occidentali, e Kozlov fu lieto di abbandonare i miasmi carboniferi per il respiro salmastro dell'isola di Harris.
Sulla nave, un brigantino prossimo alla fine, i marinai parlavano il gaelico e il russo dovette intendersi a gesti, fortunato in cuor suo di approdare nell'unico porto esistente.
I marinai si burlavano di lui e cercavano di confonderlo ogni qualvolta nominava il villaggio.
«An Tairbeart» diceva il timoniere.
«Tarbert» rispondeva Kozlov.
«An Tairbeart» insisteva il timoniere. Masticava tabacco ogni ora del giorno e della notte e quando dormiva le mascelle continuavano a muoversi come se avessero la carica di certe scatole musicali.
Kozlov, la calma allenata alla sopportazione, finiva con il replicare nel suo inglese accademico: «Portatemi dove volete, ci penserò io ad arrivare a destinazione.»
Dopo un viaggio nemmeno disagevole, il russo sbarcò ad An Tairbeart, poche case di pietra nel sobrio stile britannico, schiaffeggiate dal vento. Diverse imbarcazioni da pesca dondolavano con le vele serrate in mezzo a rocce metamorfiche che anticipavano la composizione del terreno.
«Il capitano Avery? Sapete dove posso trovare il capitano Avery?»
Gli uomini del villaggio guardavano lo straniero con espressioni imperscrutabili. Non erano schivi, ma il clima li aveva resi rudi e spicci, guardinghi. Soprattutto pareva che avessero dimenticato la lingua di Sua Maestà e le proibizioni circa l'idioma dei clan che gli scozzesi delle isole ignoravano con la più buona grazia del mondo.
Il Primo Lord dell'Ammiragliato aveva insistito perché andasse il secondo ufficiale. Kozlov aveva pensato a Fingal MacMourrog, la scelta migliore. Sarebbe arrivato a destinazione senza intoppi, evitando di girare per contee, scogliere e feannagan come un uccello ubriaco, dal momento che conosceva la Scozia al pari del salotto della casupola del faro di Mull of Galloway, quel gran figlio d'un guardiano.
Invece, il Primo Lord dell'Ammiragliato aveva operato una preferenza oculata e in linea con le direttive di Whitehall: il primo ufficiale, sebbene ancora sostituto di un primo ufficiale finito in fondo al Mar dei Caraibi, doveva restare a Londra per armare il nuovo progetto segreto, un prototipo di corvetta a vele dotata di un motore a elica, per lo spavento di Cristoforo.
Ascoltando la verbosa spiegazione nella stanza dell'Ammiragliato, il russo aveva pensato, con un'ironia tutta britannica: L'uomo giusto per un progetto scriteriato, un primo ufficiale in attesa di nomina a governare una corvetta a vapore sostituta.
Kozlov s'era portato dietro il suo bagaglio di ricordi e sentiva che gli appesantivano la ragione mentre camminava in mezzo a greggi erratici che tenevano i sentieri in larghezza e in buona parte in lunghezza. Gli ovini erano pungolati da pastori con il viso arrossato e l'occhio lungo e da cani col pelo folto. I belati soffusi e protratti rendevano il secondo ufficiale sonnolento e gli instillavano la tentazione di fermarsi sotto una volta della forma di cupola azzurra e sdraiarsi in mezzo ai fiori selvatici.
Ma ogni volta che si fermava per rifiatare, le cose che voleva lasciarsi indietro lo raggiungevano e lo spintonavano, lo pungolavano.
«My Lord.»
«Prego, entrate signor Kozlov.»
Rammentava il Primo Lord dell'Ammiragliato sulla poltrona, con la luce della finestra dietro le spalle ad adombrargli il volto. Intorno alla scrivania la raccolta dei mercanti in abiti civili.
Aveva pensato di dover condurre la flottiglia con una nuova fregata, intravvedeva i disegni svolti di quello che avrebbe scoperto essere un abominio navale, i bordi della carta che si arricciavano dove non erano bloccati dalle vaschette di bachelite. A fianco, i fogli famigliari dei dispacci con il nome di Avery e i suoi ordini: Per Borya John Kozlov.
John, l'astuzia di mio padre per fornirmi un futuro fuori della Russia.
«Vi ho fatto chiamare perché immagino sappiate cosa è accaduto lo scorso anno» aveva detto George Eden.
Kozlov aveva annuito e osservato il primo uomo sulla destra. Se avesse potuto, il signor Deadman si sarebbe strappato il codino – il nome con cui era ormai disprezzata la parrucca – per la merce, la nave e gli uomini che adesso stavano a marcire da qualche parte fra la Giamaica e le Cayman.
È stata lei, pensò Kozlov al presente, schivando un mucchio di escrementi. Lo aveva ritenuto plausibile fin dal giorno in cui il postino aveva recapitato nel suo appartamento una lettera di Bolton.
Mio caro amico,
solo ora mi sono riavuto dallo spavento che ha accorciato il poco che mi resta, come sapete ho compiuto i cinquantatré anni, e posso narrarvi della disgrazia che ha colpito la nostra fregata.
Un uomo gli venne incontro con il passo agile di chi è abituato a marciare per miglia e recare conforto ai malati, la figura dentro il pastrano nero agitato dal vento. Kozlov, che non portava il cappello, si inchinò, e l'altro fece altrettanto, il pollice premuto sul breviario per impedire che la pagina venisse voltata.
«Perdonatemi, padre. Temo di non conoscere bene il territorio. Sto cercando una persona, mi è stato detto che alloggia nella casa di un parente. Gli Avery. Sapreste dirmi se conoscete un uomo che si chiama Brayden Avery?»
Il pastore guardò lo straniero con gli occhi socchiusi nella forte luce del pomeriggio. «So che il dottor McLeod ha visitato di recente un Avery, non so se possa essere l'uomo che cercate. Non l'ho visto di persona, non è stata necessaria la mia presenza al suo capezzale.» Voltò lo sguardo rubicondo verso le montagne grigie e dentellate ricoperte di soffice muschio. «Laggiù, vedete la lunga casa di pietra senza recinto?»
Kozlov adocchiò cinque miniature che rispondevano alla descrizione, senza nessun particolare a distinguerle, non un lenzuolo bianco appeso o un comignolo diverso da un monolite sbozzato o una macchia floreale.
«Perdonate, non deve essere facile per voi distinguerle. Diciamo che è quella più vicina allo spatey.» Il pastore succhiò le labbra lasciando le guance pendule di cane. «Il ruscello, intendevo. Comunque, venite, vi accompagno.»
«Servo vostro.»
Kozlov era cresciuto ortodosso e non aveva molti argomenti da spartire con un pastore protestante. Decise che se l'uomo gli avesse posto delle domande avrebbe risposto come meglio poteva, ma non accadde. Il pastore continuò a camminare, immerso nella lettura del breviario. Eppure Kozlov si accorse che schivava le pietre che sbucavano dal suolo torboso e avrebbero potuto spezzargli una caviglia, saltava le pozze di acqua fredda che si riempivano con la pioggia e le deiezioni delle pecore. Il pastore salutò persino un uomo sbucato da chissà dove – non c'erano alberi a coprirlo – prima che il tizio si accorgesse della loro presenza.
I due salirono e discesero le ondulazioni del terreno fra sorbi sporadici. Il pastore si fermò e per qualche istante rimase a contemplare la borra di un rapace, prima di prenderla con un fazzoletto e avvolgerla, quasi avesse trovato un tesoro.
Dopo un miglio circa – Kozlov sapeva che nella distanza le misurazioni erano falsate – arrivarono allo spatey impetuoso che scendeva dalla montagna, trasparente al punto che il russo poté scorgervi il fondo di grandi ciottoli levigati e i parr che nuotavano, gialli e grigi con le macchie nere sui fianchi.
«Ci sono molti redds qui. I rifugi di ghiaia dove i piccoli dei salmoni continuano a crescere.»
«Siete un naturalista.»
«Mi diletto. Non troppo, altrimenti una gioia innocente diventa peccato. Rammentatelo signor?»
«John Kozlov.»
«Siamo arrivati. Vi auguro una buona giornata.»
Kozlov ricambiò il saluto con gentilezza e stette a guardare il pastore che tornava sui suoi passi, con la stessa pace e attenzione che aveva ammirato durante le miglia percorse fianco a fianco. Dopodiché si volse verso la casa di pietra. Non usciva fumo dal comignolo.
L'ufficiale si accostò alla finestra con il suo sguardo indagatore, trovando un interno immobile. Tavolo sgombro, porte chiuse.
Il sole del tardo pomeriggio di giugno inondava le montagne e la valle, acuiva i suoni gioiosi che si udivano nell'aria. C'era il rumore scoppiettante del ruscello, il belare di pecore sparse per un ampio perimetro dietro la casa, il canto insistito di una pispola.
Sulla spiaggia, Kozlov aveva visto le anatre bianche grigie e nere con la coda smilza e forcuta di una rondine, e sulle rocce aveva ammirato i pulcinella di mare e i becchi a rasoio. Il capitano era fuggito dalla pazza folla di Londra per ficcarsi in un posto dove, a quanto ne sapeva, finivano le coppie i cui parenti ponevano divieti al matrimonio. In entrambi i casi si trattava di una fuga e Kozlov stentava a credere che Avery avesse ceduto a un istinto da cui si teneva alla larga da che lo conosceva: per uomini come lui la ritirata era tradimento verso di sé, i propri uomini e la Regina.
È anche vero che è stata la sua indole a condurlo dov'è ora.
E dove fosse ora non era un posto piacevole, il russo lo sapeva. Il capitano non poteva liberarsi di se stesso né dell'ammontare di sofferenza che lo rodeva dall'interno e che si trascinava dietro nella rete a strascico dell'infatuazione per l'indigena.
Ancora, a distanza di quasi due anni, Kozlov non riusciva a pronunciare il vocabolo "amore".
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